Sabato 16 gennaio 2010 alle ore 10,30 a Napoli in Castel Nuovo si riunisce il Parlamento delle Due Sicilie. Proprio cos, avete capito bene, sembrerebbe la parte iniziale di un verbale di una seduta parlamentare dell’Ottocento, invece è proprio vero. Dopo 150 anni esatti dalla fine del Regno delle Due Sicilie, nell’antica capitale borbonica si è dato convegno un gruppo di cittadini delle Due Sicilie. Si tratta di persone lontane da intenti secessionisti, che fondano questo “parlamento” come iniziativa di carattere civico-culturale nel necessario e attuale dibattito sul Sud e sui suoi problemi. Lamentano la mancanza di una classe dirigente adeguata. Rappresentano diverse fasce di quel popolo delle Due Sicilie privato dell’identit  storica dall’annessione piemontese guidata dai garibaldini. Sono imprenditori, professionisti, artigiani, artisti e numerosi giovani. Tutti affezionati alla loro terra. Obiettivo: formare un nuovo gruppo dirigente capace di dar vita a un “parlamento ombra” ma qualcuno precisa “luce”- nel rispetto delle leggi dello Stato italiano e dell’Unione Europea.
Un parlamento riunito e suddiviso in commissioni di lavoro, che ricalcano le competenze di veri e propri ministeri. I) Economia e Finanze, II) Attivit  produttive – Opere pubbliche Infrastrutture e Trasporti, III) Beni Culturali e Ambiente, IV) Cultura e Istruzione, V) Giustizia, VI) Interni, Difesa e Esteri, VII) Lavoro, Sviluppo e Turismo, VIII) Pari opportunit  Nord-Sud, IX) Sanit  e Ricerca, X) Comunicazione, XI) Meridionali all’Estero, XII) Spettacolo e Sport, XIII) Sedili di Napoli.
I lavori del parlamento sono stati preceduti dalla benedizione impartita da un sacerdote con tanto di stola e aspersorio d’argento con l’acqua santa, seguita dalla recita del “Padre nostro”, come si addice al parlamento di uno Stato cattolico. Dopo si sono udite le note dell’inno borbonico che Giovanni Paisiello (1740-1816) compose nel 1787 su commissione del re Ferdinando IV di Borbone (1751-1825). Il maestro di camera e di cappella, intitolò la composizione “Inno al Re” e fu fino alla caduta del Regno (1860) l’inno ufficiale delle Due Sicilie. Ferdinando era figlio del re Carlo di Borbone (1716-71), che diede inizio alla dinastia napoletana, le cui grandiose opere, improntate a principi sociali precursori dei tempi, furono proseguite e poi ampliate dai sovrani suoi successori. Opere che portarono Napoli al terzo posto, per importanza, tra le Capitali d’Europa e che ancora oggi testimoniano l’impegno dei Borbone per il progresso, la prosperit  e il benessere della popolazione dell’antico Reame. Presidente del Parlamento è stato nominato Giuseppe Genovese, console onorario del Belgio per la Campania e la Calabria. Gennaro De Crescenzo, presidente dell’Associazione Neoborbonici è seduto al tavolo della presidenza, dove al centro è un posto vuoto. Sulla spalliera della sedia e poggiata, avvolta, la bandiera del Regno delle Due Sicilie. Denota il posto che avrebbe occupato il re. Un posto vuoto, un trono vuoto. Alle spalle due sentinelle in uniforme borbonica, con tanto di sciabola. L’esordio di De Crescenzo è chiaro. «Niente politici, quest’iniziativa è scollegata dalle correnti politiche, perch si ritiene che nessuno dei politici attuali farebbe qualcosa per il Sud. La secessione non è un argomento che interessa il parlamento del Sud, che vuole dare inizio a un patto di sangue per la difesa e la prosperit  del Sud». E ancora «Il Sud non ha il nemico alle porte come nel gennaio del 1799 all’arrivo dei francesi del generale Championnet. Il nemico è tra noi, è quello che priva gli abitanti delle Due Sicilie della memoria storica. Vogliamo la giusta verit  storica. Non abbiamo mire elettorali».
Interviene Alessandro Romano che con il suo acceso eloquio fa notare che ricorre il genetliaco del re Francesco II, nato il 16 gennaio del 1836. Ma spiega che si tratta di pura coincidenza, un segno del destino, era il primo sabato libero nell’agenda del Comune di Napoli per poter usufruire della sala. «I politici che governano l’Italia non conoscono la storia. Per questo sbagliano nel loro agire, nei loro atti, ripetono gli errori commessi per il passato proprio per ignoranza della storia».
Prende la parola il presidente Genovese. «Bisogna intraprendere uno studio giuridico per far valere i diritti del popolo del Sud. Per prima cosa chiederemo al ministro Gelmini l’istituzione della Giornata della memoria per il sacrificio del Sud alla causa italiana». Intervengono in tanti, anche il giornalista Guido Palliggiano, che fa parte della Commissione Beni Culturali, Franz Riccobono da Messina, che ha ricordato il sacrificio dei messinesi per la strenua difesa della cittadella dagli attacchi piemontesi e garibaldini.
Sonia Falace, ministro degli Esteri, vive a Roma ma è di origine salernitana, ha ricordato che i meridionali sono spesso mortificati dalle offese dei settentrionali che non conoscono la vera storia del processo di unificazione e non sanno che è stato il meridione d’Italia la culla della cultura.
L’avvocato Ferrandini vive ad Arce nella             6                  «    oè è á«sptLlibrined dd dpG7e:EèHlèNO» OJe
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:     îî  îè  îèî  w  è  îïn       a>    îï    w   èî  î     èî   ïèî Í—      ï   áØ  ï   ï   g valle del Liri, ma le origini sono melfitane, De Crescenzo precisa che è un discendente documentato di un ministro del re Ferdinando IV. Ricorda che esiste la Nazionale di calcio delle Due Sicilie, che parteciper  quest’estate a Malta ai Campionati del Mondo delle squadre di stati fagocitati o non riconosciuti.
Intanto arrivano da Roma i saluti di Annalisa de Sivo, pronipote di Giacinto, lo storico legittimista che ci ha lasciato struggenti pagine sulla fine del Regno delle Due Sicilie. Interviene un’anziano avvocato che si dichiara legittimista estremista. Il suo sogno? Rivedere i Borbone sul trono di Napoli. Ma non solo. Chiedere al Governo italiano la restituzione alle genti del Sud delle riserve auree sottratte nel 1860 al Banco delle Due Sicilie e che costituivano almeno quattro volte le riserve dello Stato piemontese. Come? Attraverso un’assegno pro-capite ai cittadini delle antiche Province meridionali. Anzi, perch prosegue non chiedere un indennizzo per i danni subiti. Non l’hanno chiesto anche gli Indiani d’America? Un altro parlamentare viene dall’Argentina, ma è calabrese. Ha raccontato che dopo lo sfacelo dell’antico Regno borbonico nel 1860, l’Argentina accolse i primi emigranti napoletani, ci meridionali. Ancora oggi li chiamano Tanos, che sta per napolitanos e che ancora oggi sono una grande comunit . Nella dispersione anche il Brasile accolse i Napoletani, molto si prodigò Januaria di Braganza, moglie di Luigi di Borbone e sorella di Pietro II, imperatore del Brasile, che aveva sposato Teresa Cristina di Borbone, sorella di Luigi, conte d’Aquila, entrambi fratelli del re Ferdinando II. Intervengono in tanti, sarebbe lungo citarli tutti, rappresentano più o meno tutte le Province del Regno dissolto. Ultimo a prendere la parola è Lorenzo Terzi, archivista-ricercatore, studioso di formazione accademica e noto agli ambienti della cultura napoletana. Fa notare l’importanza delle fonti storiche per l’affermazione delle verit  sulla fine del Regno borbonico.
A fine lavori quello che si nota è la mancata presenza, anche discreta delle istituzioni locali. Ma soprattutto si nota l’assenza del corpo della cultura napoletana ufficiale. Una classe intellettuale confusa tra la memoria dei martiri della reazione del 1799, il passato monarchico-borbonico e la difesa dell’attuale Italia meridionale. Per non parlare dei capisaldi costituiti da Cavour e Garibaldi via Mazzini. Si pensi che solo recentemente le cattedre universitarie di Storia del Risorgimento si stanno tramutando in Storia dell’Ottocento e simili. La verit  è che solo attraverso una memoria certa condivisa l’Italia potr  giungere a una pacificazione sociale. Il ruolo della gente di cultura è fondamentale per uscire da luoghi comuni che non servono al progresso civile di una patria.
Agli esuli si rivolse Giacinto de Sivo, scrivendo un opuscolo di commemorazione per i caduti della campagna sul Volturno e sul Garigliano. Scrisse: «La Patria nostra, dalla quale siam lontani esuli e raminghi era buona e bella, era il sorriso del Signore. La provvidenza la faceva abbondante e prosperosa, lieta e tranquilla, gaia e bella, aveva leggi sapienti, morigerati costumi e pienezza di vita, aveva esercito, flotta, strade, industrie, opifici, templi e regge meravigliose, aveva un sovrano nato napolitano e dal cuore napolitano. Ma fatale era tanta prosperit , l’invidia, l’ateismo e l’ambizione congiurarono assieme per abbatterla e spogliarla. Calunnie e corruzioni, un lento decennale lavoro prepararono l’opera e tutto ciò spaventer  un giorno l’imparziale posterit .». L’imparziale posterit  siamo noi.

Nella foto (di Maria Volpe Prignano), alcuni momenti del Parlamento delle due Sicilie

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