La tappa napoletana di Francesco Guccini (venerd 9 aprile) fa segnare il tutto esaurito. Tanto che le sedie del Palapartenope non bastano e sono in tanti a seguire il concerto seduti a terra. Puntuale il cantautore emiliano sale sul palco e, come di consueto, intrattiene gli spettatori per poi “sorprenderli” con il brano d’apertura: “Canzone per un’amica” (amica la cui identit Guccini ha sempre tenuta segreta).
Il palcoscenico offerto da Napoli gli consente di scherzare più di una volta su una certa piega presa dalla canzone partenopea. E cos non risparmia frecciate al duo Berlusconi/Apicella. Per proseguire con una terribile profezia: la scomparsa del dialetto napoletano, fagocitato da quello bergamasco. Lingua ufficiale di una temuta Italia in verde.
Tra una battuta e un bicchiere di vino, attinto non da un bel fiasco ma da “un umile bottiglia” Guccini canta le sue poesie, tra cui, “Canzone quasi d’amore”, “Don Chisciotte”, “Cyrano”, “Vedi cara”, “Dio è morto”, “Il vecchio e il bambino” e “Noi non ci saremo” in ricordo dell’amico Augusto Daolio (indimenticata voce dei Nomadi). Intenso il momento di “Su in collina” (brano pensato solo per la dimensione live e mai registrato su disco), storia di partigiani, lontana da ogni forma di retorica. Sulle splendide note composte da Flaco, prende forma il testo (in italiano) tratto da una poesia in dialetto emiliano. “Per non dimenticare”. Un ricordo che deve restare vivo, una storia che non deve essere cancellata. Come anche il tema cantato in “Auschwitz”.
La mancata esecuzione del pezzo/manifesto, “L’avvelenata”, delude molti spettatori. Ma da tempo il pezzo non è più in repertorio. Qualcuno dal pubblico alza uno striscione: “Autogrill”. Ma la richiesta non viene soddisfatta. E intanto parte “La locomotiva” (il concerto volge al termine). Pubblico in piedi. E pugni al cielo per il trionfo della “giustizia proletaria”.
Nella foto, Francesco Guccini