Diversamente e appassionatamente bambina, a 90 anni. Bianca Pucciarelli Menna. Sulla scena artistica internazionale si è armata d’ironia contro la disparità uomo /donna, ribattezzandosi con il nome maschile di Tomaso Binga.
La sua opera di poesia visiva, sonora e performativa da artista audace, scintillante d’ingegno, vibrante di amicizia e amore, inonda la galleria della storica dell’arte Tiziana Di Caro, salernitana come lei.
E’ la sua terza mostra che la gallerista propone nel luminoso e suggestivo spazio di piazzetta Nilo, spicchio della Napoli antica.
Pochi giorni ancora per poterla visitare, fino a sabato 9 gennaio, con la certezza, però, che presto si potranno ascoltare tre delle sue poesie sonore su vinile, per un’iniziativa ideata da Tiziana: “La Storia” (1993) sul lato A. Quello B, invece, riproduce “Son Zopp” (1996) e “Do Re Mi” (1983). Cascate di suoni con spartito verbale e assonanze di frasi/sentenze contaminate da una ironica e disincantata versione del mondo.
Intanto, si può osservare la capacità di Bianca nell’anticipare i tempi, percependo già nel 1972 la minacciosa irruzione mediatica nel quotidiano, pronta a condizionare i pensieri delle persone.
Le foto recuperano l’originalità della performance “Vista Zero” presentata alla sesta edizione della rassegna internazionale d’arte contemporanea Acireale turistico termale trasmessa e registrata la sera del 24 settembre, utilizzando il video tape recording.
Tomaso Binga appare in un lenzuolo bianco: la sua testa è fasciata di garza. Dopo aver incollato occhi di carta di varie dimensioni, termina l’azione artistica applicandosene due giganteschi sulla fronte.
Su un altro terreno scorre l’operazione “Diario romano”. Binga acquista da un rigattiere il taccuino di una sconosciuta su cui la donna annota appunti dei suoi giorni nel 1895. Cento anni dopo, Bianca ne compila un altro, della stessa dimensione, con informazioni di uguale tenore. Tuttavia, le due donne differiscono nei ritmi.
La signora che viene dall’ottocento è siciliana, ma abita a Roma. Molto religiosa, frequenta la chiesa dove partecipa alle messe, appartiene all’alta borghesia, ha figli e un consorte napoletano chiamato Ciccio. Frequenta teatri e salotti aristocratici (nella capitale, ma anche a Palermo dove torna per le vacanze), dedita soprattutto alla famiglia e alle faccende del focolare domestico. Bianca, all’opposto, conduce una vita frenetica, insegna all’Accademia di Belle arti di Frosinone e riesce a riposarsi appena una volta la settimana.
I fogli fitti della loro scrittura vengono fotocopiati, diventando un’estesa installazione che pone a confronto l’essere donna a distanza di un secolo. Una presa di coscienza visiva (si possono leggere, infatti, le pagine dei 2 diari) ma anche sociale dell’esistenza trascorsa al femminile.
Lacrime di carta adornano le foto di paesaggi marini estivi esposte nella terza sala: sono le immagini che le invia un’amica di cui non si conosce l’identità, nell’agosto 2017. Un modo per farle compagnia in un periodo di solitudine per Bianca: dopo la morte del marito Filiberto (1988) non è mai rimasta sola grazie a Piera, attenta e onnipresente collaboratrice familiare, che da poco si è spenta.
Trentuno scatti che sono completati da un collage di sguardi lacrimosi e poi stampati su tela, come opera unica: un filo misterioso collega le due vite attraverso empatia e emozioni.
Tante sensazioni trasmettono pure, in una stanza diversa, i disegni della scultrice romana Elvi Ratti, splendidi bozzetti delle sue sculture, e istantanee della fotografa Grazia Menna che immortala momenti in campo della squadra di calcio della Roma. Che siano donne lo svela il particolare delle unghie laccate sul pallone.
Così Binga cede lo spazio ad altre artiste: è il primo passo del progetto Transumanze Creative. Da questa in poi, nelle sue esposizioni ci sarà sempre un posto per i lavori delle altre autrici: è il confrontarsi con generazioni diverse. Una necessità, per Bianca, di ritornare al dialogo. Con la forza aggregante dell’arte.
©Riproduzione riservata