C’è una dinamica ben precisa che gli avvezzi agli spettacoli teatrali di certo riconosceranno. Nel tran tran furioso dei ritardatari, nella freschezza dei primi appuntamenti tra persone già in là con gli anni, nei sorrisi coperti che si intuiscono sotto giovani occhi vivaci, negli spintoni da botteghino che pure ci sono, gli spettatori si guardano in faccia e si riconoscono.
E non serve che si conoscano sul serio. Si sa che si è là per un motivo preciso, conosciuto a tutti. Questo basta. È una sensazione diversa da quella che si prova nella asettica indifferenza della coda da cinema o nell’esuberanza carnevalesca dei concerti.
È dire: noi, questa sera si è qui, e si è scelto il teatro. Così sia.
Ci si guarda, sentendosi compartecipi del mistero di cui vive ogni Prima. Anche se questa di cui parliamo, andata in diretta streaming dei mesi scorsi, non è una vera prima. Ma, visti i tempi, mi si passi lo sgarro.
Di fatto il Mercadante riapre al pubblico con Spacciatore, una sceneggiata. Testo di Andrej Longo, diretto da Pierpaolo Sepe con in scena alcuni degli attori più noti del panorama partenopeo.
Da locandina, lo spettacolo già pone i primi accenti su quanto ci si possa aspettare. Qualche settimana fa, Spacciatore veniva presentato come una rielaborazione del tema della sceneggiata. Una dedica ad uno spaccato importante di cultura partenopea, con insieme la ricerca di nuovi linguaggi.
Ma quanto, della sceneggiata, si mantiene in questo spettacolo?
C’è la storia d’amore strappalacrime, c’è violenza, ci sono personaggi ascrivibili a ruoli di genere stereotipati.
Ancora, c’è l’attore che se la intende con il pubblico, che un artificio narrativo mette fuori dalla scena pur ponendolo al centro sempre.
C’è l’ironia.
Viene però meno la caricatura, qui intesa come esagerazione di aspetti positivi e negativi. I personaggi sono poco in chiaro, più sotterranei, con personalità che si intuiscono complesse, ma che mai vengono definite formalmente. Una caratteristica che fa cadere anche dicotomie classiche come giusto o sbagliato. Ci si muove tutti insieme aspettando che accada qualcosa.
Domina una rassegnazione cupa, con arie crepuscolari che ben dispongono ad una crescente partecipazione emotiva. I colori prendono la palette di toni metallici del crime contemporaneo.
Il miscuglio di linguaggi teatrali, più volte dichiarato, c’è tutto.
I passaggi da un linguaggio all’altro, però, sono a tratti macchinosi.
Comunque il mix riesce e quanto accade sul palco non perde di incisività, dando l’impressione di funzionare bene per come è pensato lo spettacolo.
La recitazione si alterna alle classiche cantate da sceneggiata, con una scrittura musicale che non appiattisce i caratteri dei vari protagonisti, ma aderisce ai ruoli.
Ruoli preponderanti, in una messa in scena senza nomi. Così un Riccardo Ciccarelli curvo, dal fare scimmiesco, sarà semplicemente lo Spacciatore, uno qualunque. Mariachiara Basso, la Fidanzata, è tutte le studentesse fuorisede di Napoli. Daniela Ioia, capace di passare fulmineamente dalla totale pacatezza alle ferite inferte con lingua velenosa, sarà la Sposa, la più classica dei capizona.
Allo stesso modo, Del Gaudio, il Padre e Castiglione, il Poliziotto, padre anch’esso, scorrazzano ininterrottamente sul filo di una genitorialità sofferta che segna l’intera vicenda.
Pure dove i nomi ci sono, questi sono puramente funzionali a definire un ruolo. Accade così per Dragon Ball (un magistrale Stefano Miglio) e Mercuzio (Daniele Vicorito), con rispettive dediche a certo immaginario di fine anni ’90 che ha segnato la visione di una generazione e ad un non certo meno segnate immaginario del seicento, quella nota vicenda tra Montecchi e Capuleti che non occorre ricordare.
Ruoli che viaggiano sul vago, dalle non sondate riserve di personalità.
Una misconoscenza che rende un po’ ingenua la trama, messa al sicuro da una recitazione superba.
I personaggi appaiono consumati, rassegnati a qualcosa di ineluttabile, come la sensazione che la serenità stia per cedere nella rottura dell’equilibrio. Vera e propria presa di coscienza del reale. Palese perdita dell’innocenza.
Tutto è dinamismo, senza strutturate filosofie, come da buona sceneggiata. Il rapporto di forza tra i protagonisti è sempre definito ma muta in continuazione, come nella più classica delle guerre tra poveri. La psicologia, le scelte, sono influenzate da episodi fugaci, da motivi futili. Ne viene fuori una furibonda lotta per il proprio angolo: tutti sono in competizione tra loro. Ognuno alla ricerca della propria sostanza stupefacente, che sia roba, soldi, sesso, amore.
Gli equilibri saltano, in una escalation emotiva che non permette più allo spettatore di chiedersi se quanto accade sia giusto, sbagliato. Lo stesso giusto e sbagliato si inseguono continuamente fino al parossismo.
Resta una sola scelta: spogliarsi della capacità di giudizio e seguire, da spettatori passivi, lo scorrere degli eventi.
Ci sorprenderà, il finale? Lo stavamo aspettando dall’inizio?
Tutto ciò non conta. Le cose accadono, e la cosa importate è che accadano. Lo spettacolo definisce una propria lingua da strada, derivata da quella cinematografica, con tonalità basse, raschianti, figlia di anni di riscrittura del crime napoletano.
La sceneggiata incontra Gomorra, e non è solo un modo di dire.
Il Mercadante, nella sua rinnovata azione, tenta di creare una nuova comunità di frequentatori. E lo fa allargando il discorso a chi si affaccia per la prima volta sulle dinamiche culturali della città.
La strada, lasciata per decenni ai margini nonostante la continuità spaziale con le zone cartolina di una Napoli composita, diventa soggetto/oggetto di un’operazione bifronte: il teatro va sulla strada con i progetti, la strada viene portata nel teatro, perché pubblici dalle abitudini differenti, comincino ad abituarsi l’uno all’altro.
Il Nazionale di Napoli, l’unico al sud, si pone come mediatore sociale per una rinascita che vede il palco al centro. E lo fa iniziando dal trovare nuovi linguaggi per nuovi pubblici. Non ci resta che dire: finalmente il Teatro. Si alzi il sipario.
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SPACCIATORE
una sceneggiata
di Andrej Longo e Pierpaolo Sepe
drammaturgia Andrej Longo
regia Pierpaolo Sepe
con Mariachiara Basso, Ivan Castiglione, Riccardo Ciccarelli, Roberto Del Gaudio, Daniela Ioia, Stefano Miglio, Daniele Vicorito
musiche e canzoni Francesco Forni
scene Francesco Ghisu
luci Luigi Biondi
costumi Gianluca Falaschi
aiuto regia Valia La Rocca
assistente scene Christina Psoni, assistente costumi Anna Missaglia
direttore di scena Alessandro Amatucci, capo macchinista Enzo Palmieri, macchinista Giuliano Barra,elettricista Fulvio Mascolo, fonicoDaniele Piscicelli, sarta Daniela Guida
foto di scena Guido Mencari
Durata dello spettacolo 2 h
In scena fino a domenica 23 maggio
martedì, mercoledì, venerdi, sabato alle 19.00
giovedì e domenica alle 18.00