5 domande per Napoli. Proseguiamo con la nostra rubrica di approfondimento. Obiettivo: determinare un quadro di idee, analisi, contributi, dubbi, proposte, di autorevoli commentatori in uno spirito di coraggio, umiltà e compartecipazione, a servizio della città a venire. Ne parliamo con Rachele Furfaro, presidente Foqus – Fondazione Quartieri Spagnoli
1)Napoli è tra più fuochi: un avamposto contro l’autonomia differenziata avanzata dalle Regioni del Nord, una città alla ricerca di un’identità perduta tra le tante “anime” del Mezzogiorno ed un capoluogo che non accetta fino in fondo la sfida nell’ambito dei paesi del Mediterraneo. Avere un’idea di città significa avere un’idea di futuro. Quale la tua?
Penso che una visione di sviluppo reale della città dovrebbe partire ponendo tra le priorità l’impegno a favore delle più giovani generazioni, creando servizi per la prima infanzia, investendo nelle politiche educative e sociali, sulla mobilità sostenibile, su un diverso modello di economia, sui beni comuni, sull’internazionalizzazione di Napoli (che avrebbe tutte le potenzialità per essere una città europea) e su un ruolo di guida per l’intero meridione, soprattutto ora che per il Sud appare molto incerta la destinazione degli investimenti attesi dal Recovery Plan.
La trasformazione della città, la sua possibilità di ridiventare luogo di accoglienza e di benessere, invece che di emarginazione e fragilità, è una sfida che riguarda tutti e da cui nessuno può sentirsi esonerato.
Occorre ridisegnare i concetti di comunità ripartendo dall’educazione, dai diritti dei bambini e proprio a partire da questo approccio educativo, sperimentare nuovi modelli di welfare, cittadinanza, rigenerazioni urbane e, di nuovo, strategie educative innovative e aperte, che prevedano l’impegno di reti pubblico-private, e da parte del pubblico la capacità di studiare e applicare nuovi strumenti di governo della spesa e della partecipazione a sostegno delle esperienze di novità sociali emergenti.
Questo credo sia il compito che dovrà assolvere il prossimo Sindaco di Napoli: disegnare il destino prossimo della città.
2)L’esigenza di una piattaforma programmatica propositiva, di medio-lungo periodo, non necessariamente in contrapposizione alle città del Nord, è più che una necessità per Napoli e per il Sud. Questa scelta impone un dialogo pressante con i Governi, qualsiasi essi siano, per un capoluogo che conti e non solo racconti. Il dialogo istituzionale è positivo sempre e comunque oppure deve passare prima per una rottura traumatica, viste le tante “sottrazioni” a cui gli esecutivi nazionali ci hanno tristemente abituati?
Non mi appassiona ragionare per esclusione, perché voglio essere coerente con la mia modalità professionale, che riconosce la pratica dell’inclusione come condizione essenziale dell’agire educativo.
Credo che il dialogo sia sempre positivo a maggior ragione quello istituzionale e che la città meriti di essere messa nelle condizioni di scegliere tra strategie e obiettivi chiari, di ragionare per trovare la migliore soluzione, per rimediare ai suoi problemi e lavorare a progettare il suo futuro colmando quel vuoto di visione che abbiamo subito in questi lunghi dieci anni.
3)Le categorie sociali ed economiche di Napoli molto spesso disegnano “separatamente” il destino dei cittadini, ognuno con la presunzione della conoscenza che diventa verità assoluta e non riproducibile da tutti gli altri. Il dialogo, la sintesi, una comunità di interessi, tra i soggetti sociali della nostra città sono possibili o ci dobbiamo rassegnare per sempre?
Credo che creare comunità nei luoghi delle fragilità sociali, sia la sfida cui siamo chiamati a rispondere, se vogliamo arginare le disuguaglianze del nostro tempo e la disgregazione sociale e del tessuto urbano a cui stiamo assistendo, in parte, inermi.
Nell’epoca dei non luoghi, della frantumazione del senso comunitario, farsi invece luogo, farsi invece comunità è l’obiettivo che tutti (educatori, insegnanti, operatori sociali e politici) responsabilmente dovremmo inserire nelle nostre agende. C’è bisogno di luoghi in cui pensare e agire collettivamente, in modo trasversale tra generazioni. Spazi in cui contaminare saperi, in cui meticciare culture. C’è bisogno di contaminazione sociale a tutti i livelli, nella scuola come nella città che non riesce più a rispondere alle nuove domande poste da una società in continua, profonda trasformazione.
4)Dopo il COVID – 19 è cambiato il mondo e le città non potranno restare a guardare. Secondo te, Napoli in quale miglior modo può reagire, quale terreno deve principalmente recuperare per non “perdersi” definitivamente?
Ci troviamo davanti a una sfida imponente: ridisegnare la metropoli nella fase post-pandemica (ma anche post-crisi economica degli anni scorsi, non ancora assorbita). Cosa abbiamo imparato da questa emergenza globale? Possiamo cogliere questa occasione per un cambiamento radicale? A quale modello di riferimento vogliamo aderire per costruire la città del futuro? Quale ruolo vogliamo assegnare alle complessità delle nostre molte periferie e come vogliamo arginare le diseguaglianze colmando quel gap socio-economico che condiziona indelebilmente intere generazioni?
Forse occorrerebbe ripartire dal dialogo, dall’ascolto e dalla partecipazione attiva alla vita democratica dei cittadini, partendo ad esempio dal metterli nella condizione di discutere le idee, il disegno di città, le priorità con cui ogni candidato intenderà restituire dignità e ruolo alla nostra città, così da esercitare in modo consapevole il proprio diritto al voto.
5)La partecipazione è un elemento di valore e dovrebbe riguardare la politica, ma anche e soprattutto l’ambito sociale e culturale, ma troppo spesso evoca scenari senza sporcarsi le mani. Napoli ha bisogno di un orizzonte ma anche di certezze amministrative e comportamentali. Al futuro ci si arriva con atti concreti, costanti e duraturi. Da dove si comincia per allargare la base democratica in città?
Credo che la città sia esausta, abbia scontato a sufficienza scelte e politiche sempre dettate dall’ultima urgenza. Abbiamo bisogno di competenza e lucidità, di approcci sistemici, di progetti di medio e lungo periodo, di policy capaci di redistribuire con prospettiva nuove opportunità, sperimentare modelli economici capaci di porre ognuno in un orizzonte di obiettivi chiari e dichiarati.
Servono strategie di lungo periodo, alleanze inedite tra soggetti e saperi diversi, programmi costruiti per scardinare le trappole del sottosviluppo emergenziale, da cui la città pare non riesca a uscire: un percorso che parli a tutta la città, rendendola partecipe e attiva di un disegno comune.
Bisogna per questo partire dai territori, dalle aree della fragilità sociale, delle marginalità e delle diseguaglianze che sono vuoti all’interno della città, dismissioni storiche e recentissime, per gli esiti della crisi economica, che alcuni definiscono criticità, ma che sono invece un’opportunità, campi di trasformazione possibile per ridisegnare la nuova città.
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Nelle immagini, piazza Bovio in uno scatto di Mrdidg da Pixabay e Rachele Furfaro