«Osvaldo era contento: lavorava alacremente e si divertiva anche, nonostante avesse constatato che il servizio non forniva ausilio né sostegno per la gestione di determinate situazioni operative. Tutto veniva lasciato alla fantasia del singolo, che era libero di agire senza alcuna regola da rispettare. In questo modo, rifletteva Osvaldo non senza preoccupazione, l’agente operativo che si assumeva dei rischi autonomamente poteva anche diventare un boomerang rivolto contro lo stesso servizio. Quella attività li proiettava continuamente su palcoscenici naturali dove dovevano confrontarsi con la realtà senza poter fare alcuna prova».
Il lavoro nei servizi segreti offriva alla personalità istrionica di Osvaldo, napoletano dotato di grande verve, la possibilità di vivere come su un palcoscenico, simulando multiple identità e plurimi scenari pur di raggiungere i suoi obiettivi operativi, affinando la sua arte nel camuffamento. E fu per quella libertà e quei continui scossoni di adrenalina, che Osvaldo aveva scelto l’operatività sul campo a scapito della sicurezza di un posto fisso in ufficio.
Ed è proprio intorno al suo personaggio – camaleontico e scanzonato – che si sviluppa l’intreccio di “Un appassionato disincanto” (Grausedizioni, pagine 224, euro 15) che già dal titolo rimanda al suo modo di essere: positivo seppur disilluso dall’approccio con un contesto lavorativo di luci e ombre. Una narrativa inframezzata da molti dialoghi – come una sceneggiatura – con la predilezione per un punto di vista esterno per conferire più veridicità al racconto.
Per Antonio Bonagura, originario di Nola, comunicatore con esperienza del settore pubblico, si tratta del primo romanzo nel quale riversa, non solo la sua esperienza sul campo, ma anche la sua passione per il teatro trasferendola nella caratterizzazione di Osvaldo Bonetti, un investigatore che conosce e applica le tecniche sceniche e il valore dell’improvvisazione nel suo lavoro.
«Osvaldo e i suoi colleghi si trovavano spesso a operare sul campo indossando i panni di personaggi inesistenti, magari confezionati su misura in modo da renderli adeguati alle situazioni in cui dovevano reperire dati e notizie. Osvaldo, Ciro e Ninetto avevano grande fantasia, su questo non c’era dubbio, inventavano delle storie da cucire addosso ai loro personaggi, delle cover-stories, come le avrebbero chiamate ufficialmente qualche anno dopo. Era un po’ come fare teatro, e in questo Osvaldo si sentiva avvantaggiato: anche qui la sua passione riusciva ad emergere e ad essere utile quasi quotidianamente».
Un romanzo ricco di immagini vivide: il mare e il savoir faire napoletano contrapposto alla magia del barocco romano, con le sue roccaforti istituzionali e politiche. Sogni, aspirazioni e realtà che compongono un grande collage di emozioni, desideri e ideali. (Stefania Tretti)
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