Su per le antiche scale. È il titolo dell’installazione realizzata da Antonio Marras all’Istituto italiano di cultura di New York in collaborazione col Consolato generale d’Italia nella Grande Mela. Creata ad hoc sulla scalinata e inaugurata con una performance che evoca il flusso migratorio riassunto in due verbi, Andando Restando. Una formula breve, che racchiude il dolore, la sofferenza e la fatica di allontanarsi per dare una svolta alla propria vita e un futuro alla famiglia.
L’opera è stata presentata con una manifestazione curata da Valeria Orani, nella XVII Giornata del contemporaneo promossa da Amaci (Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani), patrocinata del ministero della cultura.
L’azione artistica si è svolta su una coreografia di Marco Angelilli, su disegni dello stesso Marras con Gabriel Da Costa e Francesco Napoli e accompagnamento del contralto Maurizio Rippa produzione 369gradi – Amina anima (Soul) Project, per la Regione autonoma Sardegna.
Nella ricostruzione di una storia di emigrazione concentrata sulle esperienze di 2 emigranti non poteva mancare lo struggente brano di Libero Bovio Lacreme napulitane: Mia cara madre,/che so’, che so’ ‘e denare?/Pe chi se chiagne ‘a Patria, nun so’ niente./Mo tengo quacche dollaro, e mme pare/ca nun so’ stato maje tanto pezzente./Mme sonno tutt’ ‘e nnotte ‘a casa mia/… E nce ne costa lacreme ‘st’America. La prima canzone che accompagna il faticoso viaggio.
Si ripercorrono così le tematiche già presenti nell’installazione dando spazio al sentimento e e alla decisione di partire Un percorso che è anche l’impossibilità di dare risposte precise ad un problema che si trova di fronte a due soluzioni, che per quanto opposte sembrano entrambe valide: radici e irrequietezza, attaccamento e necessità di allontanarsi. Luce e ombra. Ordine e disordine. Corpo e spirito.
I due sono coperti da pesanti giacche di pelle che non riscaldano, sono carichi di valigie vuote, tuttavia legate con stoffa bianca strappata e annodata ma. Lenzuola, teli da cucina, parte del corredo di casa, materiale semplice, ma ricco di affetti e memoria. Trascinano funi ancorate a terra e sono destinati a soffrire, meschini, costretti a vivere in terre straniere.
Ellis Island è l’isolotto artificiale nel grande porto dove gli italiani e tutti gli altri europei venivano confinati per passare al vaglio di ispezioni sanitarie: la loro “New York New York” (sullo sfondo la musica in versione spezzata e frammentata) era un tuffo in un mondo sconosciuto e temuto.
Si spogliavano dei loro vestiti per immergersi in un’altra vita. L’addio nella performance è lacerato, la mente vola altrove, ma occorre rimanere per avere dignità e lavoro.
Si può ammirare l’opera installata nell’istituto di Park Avenue, dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 16. Fino al 31 gennaio.
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