L’Accademia di Belle Arti di Napoli annuncia la riapertura della sua Galleria (Gan), con il recupero di molte opere e una nuova collocazione espositiva. Soprattutto manifesta è la volontà di aprire le porte al grande pubblico (possibilità su cui si lavora) oltre che a studiosi, docenti e professionisti del settore.
Se i numeri vogliono dire qualcosa, la conferenza largamente partecipata indica bene l’affetto che la città nutre per una delle istituzioni d’alta formazione più importanti d’Europa.
Presenti, oltre al sindaco (già ministro dell’Università e solerte nel riconoscere il lavoro delle Accademie artistiche come uno dei due pilastri della crescita culturale del Paese) una serie di personalità di spicco della cultura cittadina tra cui non passano inosservati Roberto Andò e Marisa Laurito, più numerosi esponenti politici della regione e della città.
La Galleria è forte di una storia piuttosto lunga. Pensata per dare visibilità alla collezione artistica dell’Accademia di Belle Arti, nasce con la promulgazione dei primi decreti post-unitari, quando cioè si comincia a fare dei regionalismi artistici il collante culturale del neonato Regno d’Italia. Una vicenda che conduce a oggi, attraverso tutto l’arco di un secolo e mezzo segnato da travagli e sciagure, legato alle grandi crisi sociali, politiche e culturali della Nazione.
La nuova esposizione, che mette insieme circa trecento opere su un arco temporale di 4 secoli, è un successo di organizzazione e relazioni pubbliche, con il recupero e il restauro di opere dell’accademia, ritorni importanti e opere date in comodato d’uso da proprietari ed eredi.
Soprattutto si avvale della professionalità di Federica de Rosa e Marco Capua (qui curatori) e dell’allestimento di Luciano Turchetta ed Enrica D’Aguanno.
La riapertura è di per sé un evento. Un po’ perché, come dice la presidente Rosita Marchese, maestri e allievi devono poter dialogare per assicurare un futuro ad una istituzione importante come l’Accademia, un po’ perché come dice invece il direttore Renato Lori, la cultura si forma in questo continuo interscambio.
L’allievo/a deve respirare in un ambiente di cultura alta fin dai primi passi, traendo ispirazione dai migliori per poter dare il massimo nel panorama artistico e culturale in cui si muove.
L’esposizione, come detto, raccoglie 300 opere che tracciano una linea diretta dal 1600 a oggi. Un percorso che da Luca Giordano e lo Spagnoletto porta alla fotografia di Jodice e Caccavale.
Nel mezzo tutto quello che è stato origine e ha garantito la crescita di una delle più importanti istituzioni formative del Mezzogiorno: dalle opere pittoriche del settecento allo studio del nudo, dalla ritrattistica imperiale al romanticismo, passando per le sculture di Gemito, l’arte coloniale, il futurismo e i linguaggi del dopoguerra.
Un’ala della mostra è dedicata a Lea Vergine. Si tratta di uno spazio adibito all’allestimento di esposizioni temporanee, insieme dialogo con la nuova arte e linfa continua per la collezione della Galleria: gli artisti, di volta in volta in esposizione, lasceranno una loro opera all’Accademia.
Con il beneplacito di una cittadinanza entusiasta e con qualche parola piccata dei promulgatori, riapre una delle istituzioni fondamentali della cultura cittadina.
La galleria dell’Accademia si pone come terreno di prova anche per i responsabili della politica culturale cittadina e regionale.
Al di là di qualche parola piuttosto stonata venuta fuori dalla conferenza ( critica alla cultura che non sia quella ufficiale e qualche parola di troppo contro la stampa, accusata di non capire la realtà dei fatti) si spera che chi di dovere agisca nel rispetto del diritto all’educazione artistica della cittadinanza.
Perché se la cultura che conta è davvero quella alta, allora si deve dare opportunità a tutti di crescere in un ambiente che educhi alla bellezza e al valore dell’arte. Mettendo da parte critiche e vacuità. E in questo, l’apertura della Galleria può davvero aiutare.
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