Da Lia Aurioso riceviamo e volentieri pubblichiamo una “visione” del film “Il bambino nascosto” di Roberto Andò, con Silvio Orlando. Il lavoro cinematografico è una delle otto proposte della Film Commission Regione Campania alla 78. Mostra internazionale del cinema di Venezia, presentato di recente anche alla Fondazione Premio Napoli.
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di LIA AURIOSO
Due occhi grandi da bambino
Due occhi enormi di paura
Eran gli specchi di un’avventura
E chiese al vecchio dammi il pane
Ho poco tempo e troppa fame
E chiese al vecchio dammi il vino
Ho sete e sono un assassino
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
Non si guardò neppure intorno
Ma versò il vino e spezzò il pane
Per chi diceva ho sete e ho fame
“Tu mi devi aiutare” è la richiesta perentoria di Ciro – Giuseppe Pirozzi – il bambino che il maestro Santoro si ritrova in casa a sua insaputa, e alla quale risponde senza porre troppe domande. Capirà in seguito che è figlio di un vicino poco affidabile ed è responsabile, insieme a un compagno, dello scippo fatto ai danni della madre di un boss, finita in coma. La camorra esige vendetta, Ciro ne ha paura e ha bisogno di nascondersi.
Gabriele Santoro – Silvio Orlando – è un anziano e apprezzato insegnante di pianoforte al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, da tempo si è nascosto alla vita scegliendo di abitare, solo e quieto, in un quartiere popolare e difficile, lontano dalla famiglia d’origine e da una promettente carriera di concertista, con gran disappunto del fratello – Gianfelice Imparato – magistrato in carriera.
Dalle sue finestre è solito sbirciare pezzi di vita altrui restando estraneo a tutto e a tutti, e ora spia le mosse di un suo ex allievo – il bravo e versatile Lino Musella – passato alla camorra e sguinzagliato alla ricerca del bambino. Il maestro intuisce che presto sarà costretto ad abbandonare la sua tranquilla postazione e a fare i conti con la sua esistenza.
Sceglierà allora di sporcarsi le mani, di affrontare la vita e il pericolo dando corpo ai versi del poeta Kavafis, che ama ripetere al mattino, radendosi, quale nutrimento per la memoria: “Quando ti metterai in viaggio per Itaca, devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze”.
Il bambino nascosto, il film che Roberto Andò ha tratto liberamente dal suo omonimo libro, con la collaborazione di Franco Marcoaldi, è il racconto di due solitudini e di due realtà sociali parallele presenti nel quartiere e nel tessuto urbano della città, realtà profondamente diverse ma assuefatte alla reciproca tolleranza, al proseguire fianco a fianco salvo l’incrociarsi accidentale che può rendere necessaria una scelta di campo. Per il maestro sarà una scelta etica e d’amore, non in linea col buon senso borghese.
I tempi della narrazione sono lenti, come la vita scarna di avvenimenti del professore, una lentezza necessaria al pensiero che precede l’azione, alla conoscenza reciproca e alla costruzione di un rapporto di fiducia col bambino, capace di travalicare i preconcetti iniziali e di alleare i due nella ricerca di una possibile, reciproca salvezza, non solo dalla morte.
Ciro spera di poter sfuggire al suo destino e alla strada, Gabriele finalmente respira, agisce, impara ad amare ed ad accudire l’altro da sé.
«Se dovessi scegliere tra la legge e l’amore, oggi sceglierei l’amore» gli aveva detto il padre, – il sempre meraviglioso Roberto Herlitzka – vecchio magistrato in pensione, durante il loro ultimo incontro.
I personaggi agiscono tra le mura della casa di Santoro, lungo le scale e i cunicoli del palazzo, un tempo di bella architettura e ora fatiscente tropo della realtà feroce che lo abita e frequenta, da essa si stacca, asciutta, la figura della madre di Ciro, un’intensa e dolente Imma Villa, mossa dall’amore, impotente contro le ragioni della camorra.
Lo sguardo elegante e poetico di Andò, la sua direzione degli attori, spogliano il film di ogni retorica grazie, anche, all’interpretazione essenziale, tacita e gentile di Orlando, che lavora a sottrarre, affidandosi agli occhi, all’espressività, seppur contenuta, del volto, alla maniera di Eduardo, toccando profondamente lo spettatore.
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” Nun tengo paura e nisciune… ” il ragazzo urla un canto sguaiato di un ritmo rap. Sdogana una paura celata e praticamente spalmata come nutella lungo tutto il narrato sbiadito da luci gialle e al neon. BELLA e centrata la dotta recensione.