Il Teatro Stabile di Napoli, entrato a far parte gi  dal 2011 del progetto quinquennale europeo Cities on stage sul tema aggregante “la convivenza umana all’interno delle grandi citt “, assieme al Teatro nazionale di Bruxelles, il Folkteatern di Gothenburg, Il Festival di Avignone, l’Odon Thtre de l’Europe di Parigi, il Teatrul National di”Radu Stanca” di Sibiu, Il Teatro de La Abadia di Madrid, aggiunge alle collaborazioni produttive e gli scambi di esperienze gi  avviati Le sorelle Macaluso, testi e regia di Emma Dante che l’Italia schiera tra i registi di riferimento delle varie coproduzioni.

Scena nuda, fondale nero. A terra, verso proscenio, cinque scudi di latta rimandano all’opera dei pupi, il teatro di marionette tipico della tradizione siciliana. Un indicatore spaziale, cheanticipa a livello narrativo la dimensione socio-culturale di un intero mondo, da sempre al centro della poetica teatrale di Emma Dante, sicula di origini e napoletana d’elezione. Una metafora della vita, vista come manipolazione dall’alto di marionette umane che si dibattono inutilmente, nulla potendo contro un Mangiafuoco, inesorabile e crudele, che regge con fili invisibili e tuttavia intaccabili, saldi come l’acciaio, le povere vite di un’umile famiglia.
Un’epica rovesciata, plebea, quella dei Macaluso, il nero degli abiti dei personaggi che rimanda a una realt  contadina e alla sua cultura analfabeta, alle sue ingenuit , alle sue paure, ai suoi sogni che puntualmente si infrangono. Ispirato, come la stessa regista ci fa sapere, da un dialogo di sapore surreale tra figlia e madre moribonda,la storia delle sette sorelle si dipana a partire dal giorno del funerale di una di loro.
Una storia ancora più tragica di quella della verghiana della “Casa del Nespolo”; di tinte più forti, la scarna sintassi verista qui soppiantata da un linguaggio corporeo gridato, ricorsivo, talvolta scomposto, in cui l’agitarsi contorsionistico di gambe e braccia traduce visivamente la fatica del vivere, gettata in faccia più che offerta agli spettatori, con gli accenti crudi e spigolosi ai quali il linguaggio privo di compromessi di Emma Dante ci ha abituato.
Nessuna seduzione narrativo-descrittiva, solo uno stormo nero vestito, corvi di Mzzaro moltiplicati che partecipano surrealisticamente al loro funerale. Non più alcuna barriera tra sogno e realt , vita e morte.
Un inizio da realismo magico, dove la lotta tra i componenti della famiglia e la vittoria sognata da ciascun membro conosce il sapore della vittoria solo nel vagheggiamento onirico. Una scarna vicenda di miserie ricordidi lotte per la sopravvivenza quotidiana tra piccole solidariet  e grandi recriminazioni tra riso e pianto i lavori più umili fatti dal padre per mandare avanti la famiglia; il suo amore per la moglie che va oltre la morte; la banale fine di una delle sorelle in una gara di resistenza in apnea; le frustrazioni della sorella brutta; le ambizioni di un’altra che riversa la sua voglia di riscatto nell’impegno calcistico del figlio dal cuore di latte che incontra la morte per inseguire il mito di Maratona e infine le aspirazioni ballettistiche di un’altra che corona il sogno di una vita entrando in un bianco tutu solo dopo la morte.
I protagonisti, otto attrici e due attori, tutti bravissimi per doti recitative e cinestetiche, sono sempre in scena come in una sacra rappresentazione. Quelli “di turno” a favore di luce, gli altri nell’ombra. Il passaggio da una situazione all’altra è indicato dalla entrata e dall’uscita dai loro abiti neri dai quali emergono ora in costume da bagno o in una mise che rimanda alla situazione rievocata. Essenziale ma di grande effetto il disegno luci di Cristian Zucaro che gioca anche sugli scudi Di Gaetano Lo Monaco Celano.
Si replica fino a domenica 26

Per saperne di più

www.teatrostabilenapoli.it

Nella foto, una scena dello spetatcolo (scatto di Carmine Maringola)

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