“Quo vadisse, Pulecenè” è la raccolta di poesie che Antonio Bennato, nato nel 1947 a San Marzano sul Sarno (Sa) regala ai suoi lettori come dono d’amore. L’autore stesso lo definisce tale, in quanto ogni poesia è un atto d’amore, perch parte dal cuore. Questo collage riordina sotto un unico titolo il meglio di tutta la produzione dello scrittore salernitano. Bennato esordisce giovanissimo nel 1969, dopo aver abbandonato gli studi religiosi, con la raccolta “Sospiri e pause”, dalla quale, “Quo vadisse Pulecenè” (Ed. Guida, 100 pagine, 9 euro) seleziona 10 brani dalla poetica ricca di sensibilit e di passione.
Il vago sapore autobiografico accompagna tutta l’opera di Antonio Bennato nell’arco di circa trent’anni e trasferisce nelle sue poesie il suo senso religioso e l’idea che lui ha dell’umanit , di Dio e di Cristo. Sulla poesia riversa talvolta quel senso di delusione che da giovane lo allontanò dalla vita religiosa, ma che nella Parola scritta gli fece ritrovare la speranza di condividere con il suo prossimo i suoi sentimenti, le sue esperienze, il suo modo di vedere il creato. Si vive, nello sfogliare queste pagine, un percorso ben delineato in tutta la sua evoluzione: dalla prima e inarrestabile esplosione di pensieri giovanili e palpitanti dell’antologia “Sospiri e pause”; al disincanto della miscellanea “Nel segno delle pietre”, poesie scritte negli anni Settanta, in cui, la storia umana, da Caino in poi, si popola di assassin e di lapidazioni. In queste poesie, Caino costituisce l’archètipo di un’umanit dal cuore di pietra, e dietro di lui segue una schiera di figure simboliche volte a rappresentare la cattiveria del genere umano.
Il poeta invita alla conversione. Egli vuole scuotere l’animo delle genti, negato verso il perdono, sempre pronto a condannare, a giudicare perfino Cristo. L’allegoria di alcuni versi lascia chiaramente immaginare chi si cela dietro la strofa finale della lirica II a pagina 27: “E l’uomo trovò la sua potenza/Nel masticare i bacilli più astuti/Del ferro e del fuoco.[…] Lui finse uno scarabocchio/Di quattro bracci una giostra/E mentre le stelle volteggiavano/Le acciuffò con un reticolato/Dietro cui dissanguava/Pure Dio,ancora una volta deportato/Da un secolo di crocifissioni. Antonio Bennato descrive attraverso le tappe più significative della sua esistenza, l’itinerario di fede percorribile, una via praticabile dopo essersi persi negli abissi del “Pozzo di Sichar”, altra raccolta poetica con la quale Bennato si aggiudicò una “nomination” nella rosa degli otto finalisti del Premio Bergamo.
Il rigenerante florilegio chiude il sipario con un’originale scena in versi dialettali “Quo vadisse Pulecenè”, nostalgica immagine di una maschera che non ha più senso, che ha perso la sua ragione di vita in una Napoli totalmente sfigurata e indifferente ai sentimenti. Pulcinella fugge, ma il suo vecchio amico Tatò lo trattiene e insieme ricordano i bei tempi andati. Fra una chiacchiera e l’altra si fa giorno, e con le parole “…s’arriva sicuro a fenetura da nuttata”, di vaga ispirazione edoardiana, si chiude la scena mentre a Napoli spunta il sole.
In alto, la copertina del volume