I nostri strani giorni non sono finiti, e mentre il presidente della Regione Campania De Luca prima, e il premier Conte poi, ci dicono che la nostra quarantena si prolungherà almeno fino ai giorni di Pasqua io continuo a pensare agli artisti che conosco e che mi piacerebbe conoscere meglio. Spesso quando ci incontriamo alle mostre, fuori di un bar per uno spritz (ve la ricordate quella piacevole sensazione sulla lingua? Io sto iniziando a dimenticarla, però chissà perché ho l’acquolina in bocca ) ci perdiamo in chiacchiere futili e generiche senza cercare i dettagli.
Del resto, ascoltando un’intervista con Amanda Lear, le chiedevano di Salvador Dalì. La regina di Tomorrow ha raccontato di una telefonata tra il pittore surrealista e Picasso. Esiste una splendida versione con i CCCP di questa canzone. la trovate facilmente su Youtube.
Da due geni chissà quale alta conversazione ti aspetti e invece loro erano lì a parlare di prostata. Quindi ci può stare che davanti a uno spritz ( ritorna questa dolce parola ) noi parliamo di cose stupide e banali, senza affrontare i grandi problemi dell’esistenza umana.
Ma non qui, non in una di queste sera di quarantena. Ho pensato di chiedere a Maria Manna, artista napoletana dalle mille sfaccettature di farmi compagnia per un’oretta, sempre da lontano e con un cellulare in mano ( ma ci pensate questa quarantena vent’anni fa? ) per chiederle della sua arte.
Maria parla molto e non si fa interrompere facilmente. Io mi sono impegnato e questo è il risultato di una lunga conversazione.
Antonio: Io ti ho conosciuto come performer poi ho visto le tue opere, ho scoperto che sei un’attrice, hai scritto un libro, ho visto delle tue installazioni e bazzicando nell’ambito della mail art ho visto che hai realizzato una tesi sperimentale su questo mondo ancora poco conosciuto. Sono curioso, come fai a essere una e centomila pur mantenendo una così forte impronta personale.
Maria: A volte, anzi molte volte, confesso che me lo sono chiesta anch’io e la risposta pur volendo resta sempre e banalmente la stessa, “metto l’identico amore in e per ogni cosa”. Poi, inizio a scavarmi dentro e a spostare poco per volta le percezioni, le emozioni, quella radice differente che a disuguaglianza del nucleo centrale è in cerca di una strada di periferia. Un po’ come Vitangelo, restando in tema pirandelliano, scendo in quel percorso di scoperta interiore; uno, nessuno e centomila; così provo a essere unica pur sapendo di non essere nessuno e facendolo attraverso le molteplici capacità che mi sono state affidate nel momento in cui sono venuta al mondo. Qualcuno li definisce “Carisma”. Antonio: Te lo chiedo perché io mi perdo sempre e non riesco a seguire troppi progetti contemporaneamente. Qual è il tuo segreto?
Maria: Nella pluralità applico gli stessi principi e lo stesso fine del mio “uno. Scompongo immagini e parole per cercare di capire perché esse arrivino a me e cosa vogliano che io faccia per loro. Ascolto il più possibile e poi su canali diversi e secondo ciò che ho immagazzinato anche negli anni, nelle esperienze di vita o formative, do libero arbitrio alla creazione. Sempre e comunque rispettando ciò che realmente ho acquisito e senza mai improvvisarmi nel fare. In questo, sono molto critica verso me stessa, per cui ciò che non conosco del tutto o non mi appartiene non l’adopero come mezzo di creazione.
Antonio: Quello che mi colpisce è che sei sempre tu, quando mi arriva una tua cartolina per l’archivio, se ti vedo in performance, anche all’improvviso su facebook vedo dei disegni, è Maria Manna, lo riconosci subito. Hai una forte riconoscibilità, una carica tutta tua, ovunque tu la applichi.
Maria: Tutto è legato tra loro, tutto ha la stessa impronta. Parole che si fermano su fogli bianchi dei giorni che si susseguono, prendono poi forma in lemmi, in colore, in gestualità, in comunicazione, in personaggi cuciti su se stessi e in sperimentazione. Ho lavorato parallelamente a più progetti e fino a ora sono riuscita nel mio piccolo a non perdermi e a portare a termine ciò che mi ero prefissa e nel migliore dei modi. La cosa in cui mi capita invece di perdermi facilmente, come sicuramente farò in questa intervista, sono le parole.
Antonio: Sì, questo mi sembra abbastanza evidente anche perché hai tanto da dire, non suonano vuote.
Maria: Questo perché in alcune situazioni non riesco a contenerle per cui scriverei “trattati” senza neanche rendermene conto.
Antonio: So che per motivi personali l’ultimo anno lo hai trascorso come diremmo oggi, in quarantena, poi è arrivato il Coronavirus e la tua quarantena è diventata la quarantena di tutti.
Maria: La sensazione è quella che tutto ciò che ho vissuto in quest’ultimo anno, non sia stato altro che una strada di preparazione a ciò che poi è arrivato ora e sfortunatamente per tutti.
Antonio: Dopo tutto quello che mi hai detto mi chiedo come riesci a gestire e tenere sotto controllo la creatività che è dentro di te, non ti esplode dentro?
Maria: Ero abituata a mesi di fermo in casa, anzi, a letto. Per cui il restare in casa ora non mi pesa, anche perché a differenza dei mesi addietro in questo momento, almeno posso girovagare per casa senza essere costretta a letto e tutto questo, nonostante tutto, è una sorta di passo avanti. Per fortuna neanche gli attacchi di panico o di ansia si sono presentati alla porta a differenza della creatività che invece ha continuato a bussare e per buona sorte in modi come sempre diversi.
Antonio: E quando bussa alla tua porta? Spalanchi tutto come le nostre nonne al mattino per far cambiare aria alla casa? Per portare un po’ di luce in queste gabbie dorate ma grigie? Come ti comporti, che fai?
Maria: Centinaia di disegni con tecniche varie che si sono aggiunti ai precedenti; figure che spesso non mi appartengono perché sembrano non essere in connessione tra loro ma che fortemente gridano per venire alla luce. Mani che sembrano guidate da uno strano essere che insaziabile ha continuo bisogno di nutrirsi. Parole che provengono anche da un rispolvero di passato e che sono in cerca di nuova vita e nuove emozioni. Stoffe e pupazzetti che si modificano in mascherine d’artista e che vengono date in dono a chi ne ha fatto richiesta. La bandiera dei mondiali che diviene parte di un messaggio collettivo “Andrà tutto bene”. Personaggi tridimensionali in cerca della loro storia del loro nome. Progetti che ritornano e sogni che si progettano.
Antonio: Tutto torna o tutto va dove deve andare, noi di che progetti stiamo parlando?
Maria: Dopo anni di ampia ricerca tra visioni cosmiche e meditate, evoluzioni e rappresentazioni umane attraverso forme e tecniche o macchie di colore, sono finalmente giunta a ciò che mi ero prestabilita “essere identificata”. La grande liberazione, il non dover firmare un dipinto ma finalmente nascondere il mio nome per dar spazio “all’opera” in tutto il suo essere.
Antonio: Quando parlo di riconoscibilità quindi sei d’accordo con me, come ci sei arrivata?
Maria: La tecnica che ha dato modo a tutto ciò di venire alla luce è stata l’utilizzo di un filo di lana, spesso di colore nero, unito al colore ad olio. Ma soprattutto, il senso di questa unione. Il messaggio che di volta in volta, attraverso la cucitura sulla tela, definisse il personaggio stesso.
Antonio: Mi sa che stiamo parlando del Sogno di Skinky, lo vuoi raccontare? Sono molto curioso, è molto lontano da me.
Maria: Proprio così, sto parlando del personaggio di Skinky e di un grande progetto che nel 2016 ha dato forma alla personale “balloons” alla galleria di Salvatore Serio di Napoli. Dietro questo progetto ci sono stati anche anni di studio sulla psicoanalisi infantile e adolescenziale. Il filo di lana usata come tratteggio dei contorni sia nei personaggi che negli elementi ritratti crea un’osmosi tra il dentro e il fuori. Una sorta di imbastitura che lascia la libertà di scelta. Quella prigionia che può essere lasciata alle spalle nel lieve dramma di essere al mondo. I personaggi non hanno espressione, i loro visi ridotti a circhi o altre forme geometriche, arti diseguali e a volte monchi, sfondi informali trattati finemente con più strati senza creare forti spessori e situazioni di contrasto con le cuciture. Aghi grossi e spessi che scrivono di vite tra realtà e fantasia. Infantili visioni che raccontano nonostante l’apparire gioioso di un argomento molto serio e soprattutto con una forte e grande speranza. Una via d’uscita. La soluzione aspettata e desiderata nascosta dentro ogni cuore di bambino che con occhi diversi vive se stesso e ciò che ruota intorno.
Antonio: Avverto una spinta positiva e di speranza e mi chiedo come fai e da dove prendi tutta questa energia quando io in questo periodo vorrei diventare un unicum con il cuscino.
Maria: Tutta questa energia, come tu chiedi “da dove nasce?” Nasce sempre quando è essa stessa a chiedere spazio, io, sono semplicemente un tramite. Attendo e trasformo. Ascolto e comunico.
Antonio: Mi hai detto che stai lavorando a un progetto nuovo, la prossima volta mi farebbe piacere tu me ne parlassi. So che adesso devi andare a cucinare, un po’ come tutti anche io sto perdendo il senso del tempo, per fortuna lo stomaco che brontola ci aiuta a ricordare certi ritmi. Buona serata e salutami Skinky.
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In foto, Maria Manna tra opere e performance