Era già molto fievole, la loro voce. Il Covid-19 l’ha cancellata. Così anche la giornata dedicata a loro, il 29 febbraio, è passata inosservata dai media troppo impegnati a contare i contagi da Coronavirus.
Mentre il pensiero del presidente Mattarella, l’8 marzo, festa delle donne, è andato alle scienziate, dottoresse, infermiere , figure femminili strette intorno ai pazienti colpiti da questo fantasma che, improvvisamente, ha cambiato le nostre vite.
Non una parola per quelle donne vicine ad altre donne che si confrontano ogni giorno con l’asfissiante senso di colpa di aver trasmesso al proprio figlio un’anomalia genetica come l’adrenoleucodistrofia, per esempio, grave malattia degenerativa che colpisce il sistema nervoso.
La malattia di un figlio piomba addosso come un macigno. È come se fossi stata colpita da uno tsunami ricorda Beatrice: così si è sentita quando ha saputo che uno dei suoi tre figli soffriva di distrofia di Duchenne, patologia neuromuscolare caratterizzata da un’atrofia muscolare in rapida progressione. Anche in questo caso, la madre ne è portatrice per i figli maschi, in tenera età, con un’evoluzione inarrestabile.
Donne che trovano conforto in altre donne. Napoli è in prima linea. Spiega Tina Grassini, presidente dell’associazione Parla con me, counselor, formatore sistemico e operatrice dei centri antiviolenza: «Queste donne possono e devono compiere, per trovare e ritrovare la forza di amarsi totalmente e di vivere un amore sano, un percorso di consapevolezza sul proprio valore, che non dipende da quello che fanno, bensì da quello che sono intrinsecamente. Inoltre devono essere condotte alla presa di consapevolezza che non sono responsabili della propria anomalia genetica, un fattore che ricade al di fuori del loro potere di controllo. Devono trasformare in un’adulta consapevole quella bambina affamata di coccole, carezze e bisogno di accettazione. Parallelamente devono assumere consapevolezza, che se chi è loro accanto le svaluta, anche in maniera subdola, con frasi del tipo ti vorrei forte, capace, non le supporta e le abbandona non è mai stato un vero compagno e non vale la pena averlo nella propria vita».
Restituire fiducia e prendere coscienza del sé: è questo, infatti, l’obiettivo del progetto Ricomincio da me, attivo da circa 6 anni (totalmente gratuito per chi vi aderisce) promosso dall’associazione guidata da Grassini che mette poi in campo anche percorsi di sostegno alla coppia e di accompagnamento alla genitorialità.
Essere genitori in caso di malattie rare è un percorso tutto in salita. Richiede alle famiglie di adattarsi a una vita molto difficile, a partire dalla difficoltà di una diagnosi rapida e affidabile, senza dimenticare il peso di terapie quotidiane disponibili solo a costi elevati. Lo sottolineano Valentina Fasano, presidente dell’associazione italiana Adrenoleucodistrofia e Marina Melone, direttore del centro interuniversitario di ricerca in Neuroscienze, professore di neurologia dell’Università campana Luigi Vanvitelli.
Importante è lo screening neonatale: ne parla Maria Giuliano, presidente della Società Italiana Medici Pediatri (Simpe) Campania che lavora sulla diagnosi e nella gestione delle malattie rare in età pediatrica. «La Simpe – racconta- sta profondendo un grande impegno per promuovere la formazione e l’informazione dei medici pediatri e le attività di ricerca clinica, in collaborazione multidisciplinare. Una diagnosi precoce è uno strumento di equità e rispetto per chi grazie ad una conoscenza tempestiva della sua patologia può vedere tutelato il suo diritto alla vita e alla cura».
Un gioco di squadra per alleggerire gli ostacoli. Su questa strada si muove l’associazione Famiglie SMA Onlus che opera a livello nazionale, con una fitta rete disl sul territorio. L’obiettivo principale è offrire alle famiglie opportunità: dalla gestione della vita quotidiana (attraverso consulenze legali, socio-assistenziali, educative, psicologiche) alla messa in rete di standard clinici a livello territoriale tramite la formazione di team di medici, senza dimenticare il valore della ricerca.
Ne è rappresentante e formatrice, Chiara Maggadino: «Il mio compito- precisa- è quello di accompagnare i genitori nella gestione della patologia, che passa anche attraverso la percezione e l’accettazione della diagnosi. La mia figura nasce per offrire un sostegno unico nel suo genere, poiché racchiude in sé competenze professionali e personali allo stesso tempo perché provenienti da un professionista che vive in prima persona la disabilità, essendo una persona in carrozzina affetta da SMA (atrofia muscolare spinale ndr)».
Di invisibile tutte queste donne non hanno nulla. Anzi, ogni giorno lasciano un segno sul loro cammino. Sarebbe bello che se ne accorgessero anche quegli operatori della comunicazione troppo impegnati a cercare la notizia da urlo. Senza rendersi conto che proprio nel quotidiano si nasconde lo straordinario. Basta farlo emergere.
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