Qui sopra, la copertina. In alto, il cortile di Città
della Scienza. Foto di Gabriele Nosso (pubblico dom
inio)

Una cittadella scientifica a occidente della città di Napoli, in un’area in decadimento post-industriale; da un lato un panorama mozzafiato, dall’altro il deserto sociale ed economico.
Eppure due “visionari” napoletani – Vittorio Silvestrini e Vincenzo Lipardi – si inventarono un progetto scientifico per rendere Napoli una città aperta, connessa, moderna. La scommessa fu vinta, fu sconfitto, al contrario, il pensiero unico prevalente del “nonsipuotismo”. Bagnoli e l’arco flegreo, duecento ettari circa da riqualificare, videro nascere un polo scientifico, un’avanguardia in attesa che il territorio e l’ambiente circostante si allineassero.
Comincia con questo scenario di contesto il libro di Diletta Capissi Che fine ha fatto Città della Scienza. Un giallo napoletano o una metafora del Mezzogiorno? Guida Editore, pagine 258, euro 15: presentazione mercoledì 8 giugno alle 17, al Palazzo delle arti Napoli (Pan, via dei Mille,60). Con l’autrice, ne parleranno Marco Demarco (che ha firmato la prefazione), Luigi Nicolais e Marilicia Salvia.
Scienza, tecnologia, idee e progetti; dall’industria pesante a sito di trasformazione immateriale, dall’inquinamento al risarcimento di un luogo tra i più suggestivi al mondo. Ebbene si vinse, anche contro tutti gli ostacoli burocratici e una classe politica fin troppo distratta ed apatica di fronte alle alterne vicende che la stessa incontrava.
Napoli con Città della Scienza guardava alla internazionalizzazione del suo principale destino, la divulgazione scientifica non era intesa come prodotto esclusivo di un target sociale elevato, ma sapeva essere anche popolare; si apriva alle scuole, alla formazione, alle esperienze dal basso. Il rapporto tra scienza e società, innanzitutto attraverso la creazione di Incubatori d’Impresa, diventò visibile, praticabile e non qualcosa di proibitivo.
Un luogo per giovani che intendevano mettersi in gioco, che avevano voglia e capacità di “inventarsi” un mestiere. Così cominciarono a macinarsi numeri da capogiro, il Science Center, nel 2003, fece registrare ben 300 mila visitatori. Bagnoli diventa un punto di riferimento internazionale per produzione di progetti giovanili, nascono idee, cultura. Scienza e impresa fanno crescere aziende innovative con un tasso di sopravvivenza di oltre l’85%.
L’autrice del libro “visiona” dall’interno le mosse di Città della Scienza, le racconta con linguaggio limpido e con forza di analisi a corredo dell’incubatore scientifico di cui parla, riferendosi sempre alle scelte fatte e al successo delle linee di attività prodotte in quegli anni. Si sforza (riuscendovi) di portare alla luce un concetto importante e pervasivo: un progetto che nasce per il Mezzogiorno, prodotto dalle sue forze interne, che sa guardare al mercato digitale anche oltre i confini nazionali.
Poi l’incendio, individuato da Diletta Capissi come il punto fondamentale di tutte le future incertezze per la ricostruzione del Science Center. L’autrice snocciola con precisione tutti i passaggi istituzionali e gli intendimenti di Governo, Regione Campania e Comune di Napoli inerenti Città della Scienza.
Nei capitoli successivi vengono analizzate le prime crepe all’interno del cda, con la spaccatura verticale tra il presidente Silvestrini da un lato, e i restanti componenti dell’organismo collegiale interno dall’altro. Il tema è l’autonomia di Città della Scienza dalla politica. Una notte dai lunghi coltelli, purtroppo.
Un libro che non cerca colpevoli quello di Diletta Capissi, che analizza le cause di un conflitto istituzionale, riportando, fedelmente, il protagonismo dei lavoratori, del management e degli enti pubblici di riferimento.
Una occasione persa o un monito per rilanciare un polo scientifico che ha raggiunto livelli internazionali? Insomma, “cosa ci si aspetta da questo libro”?
L’equilibrio dei fatti raccontati e la voglia di portare a sintesi le divisioni nate nel corso di alcuni decenni lascerebbero intendere che, secondo l’autrice, si può ritornare a sperare in una ripresa di Città della Scienza.
La città di Napoli e l’intero Mezzogiorno hanno il dovere di riposizionare sullo scacchiere nazionale una eccellenza scientifica che guarda al futuro, un contenitore che si è fatto avanguardia rispetto a quello che oggi sembrerebbe essere il più interessante dei mondi, la tecnologia digitale.
Magari ripartendo da un processo condiviso e affiancato da elementi diffusi di democrazia delle decisioni, coinvolgendo ancora di più la città, le periferie, i luoghi esclusi e quelli che, purtroppo, sono stati solo spettatori di un qualcosa di grande e di prestigioso come Città della Scienza.
Non è affatto un compito proibitivo. Non lo è mai quando il fine è un traguardo in progress di sviluppo e ricchezza.
Ecco, questo potrebbe essere un primo input al perché leggere questo libro. Al perché esserne dei piccoli accompagnatori di speranza e bellezza.
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