La storiografia ufficiale, fortemente influenzata dalla retorica risorgimentale, ha sempre liquidato quale fenomeno prettamente delinquenziale la rivolta armata delle popolazioni rurali contro le truppe piemontesi scese al Sud dopo l’impresa dei “Mille”.

Alla vigilia delle celebrazioni del 150 esimo anniversario dell’Unit  Italiana, molti si chiedono se ciò che da anni viene raccontato nei testi scolastici corrisponda a quanto effettivamente accadde.

I dubbi sorgono soprattutto nell’analisi delle vicende raccontate, sistematicamente enfatizzate da scrittori e poeti liberali, che, in molti casi, non trovano alcun riscontro con gli archivi.

Alla base del processo unitario vi sono in realt  due concetti che gi  da soli in parte fanno luce sui veri motivi della violenta reazione che le popolazioni rurali meridionali ebbero all’arrivo dei piemontesi. Il primo riguarda la paternit  dell’idea di unit  nazionale che non nasce nei salotti liberali del nord, come si è indotti a credere, n, tanto meno, viene sviluppata dai cosiddetti “padri della patria” quali Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele II. Incredibile, ma il primo uomo politico a parlare di Nazione Italiana fu Carlo III di Borbone nel 1734 che, all’indomani della scacciata dal Sud Italia degli austriaci, annunciò il progetto di creare una nazione italiana libera, tra l’altro svincolata dalle influenze straniere. Impegno raccolto dai suoi successori fino a Ferdinando II che, nel 1856, propose con atto ufficiale al Piemonte la realizzazione di una confederazione di stati italiani.

Il secondo concetto è che il Piemonte rifiutò sempre categoricamente ogni approccio pacifico alla questione italiana perch, appropriatosi dell’ideale di unit  nazionale, aveva progettato la realizzazione attraverso l’uso indiscriminato della forza per sottomettere gli altri stati italici sotto la corona sabauda.

Appare chiaro che le cosiddette “guerre di indipendenza” furono delle vere e proprie guerre di conquista operate in violazione dei più elementari diritti e, quindi, il Risorgimento non fu altro che l’esaltazione di un’aggressione militare senza precedenti che lasciò una lunga scia di sangue ed una devastazione anche sociale e culturale, oltre che economica, dalle cui conseguenze le regioni del Sud e la Sicilia non sono più riuscite a riprendersi.

Alla genesi violenta di una “mala unit ” imposta, reag chi non era assolutamente d’accordo con il sistema adottato, manifestando il proprio dissenso con una opposizione scomposta e violenta, a tratti feroce e senza limiti, denominata dalla storiografia “brigantaggio”.

Uomini, donne e, spesso, bambini si lanciarono in una guerra santa alla disperata difesa di una cultura contadina antichissima, con le radici nella Magna Grecia, che i risorgimentalisti, bollando come arcaica, retrograda ed antiliberale, avevano condannato a morte senza comprenderla.

Nella grande confusione che si generò nel decennio che segu il 1861 furono commessi dall’una e dall’altra parte crimini di inaudita efferatezza che segnarono profondamente il carattere delle popolazioni meridionali e compromisero seriamente il sentimento di unit  nazionale originario che, come visto, da oltre un secolo veniva cullato proprio in quelle terre.

Paesi arsi e rasi al suolo, rastrellamenti e fucilazioni, un intero popolo fatto oggetto di feroci rappresaglie, fecero si che anche i più pacifici contadini si armassero e che, agli occhi della gente, diventassero dei veri e propri eroi di una guerra di liberazione senza fine, una guerra partigiana in difesa dell’identit  nazionale aggredita, dell’indipendenza soffocata e del vero ideale di unit  nazionale tradito.

Nella foto, morte di un gruppo di briganti

*Movimento Neoborbonico

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