Giuseppe Centore, autore della raccolta di poesie intitolata L’ostaggio delle muse, Armando Curcio editore, (182 pagg. euro 12,90) e gi direttore del Museo Campano e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Capua, è considerato uno dei maggiori esponenti della lirica religiosa dell’ultimo secolo.
“I poeti immaturi imitano, quelli maturi rubano”, questo è il pensiero di Eliot che esprime appieno il senso del lavoro del poeta e sacerdote, Giuseppe Centore.
Per quanto paradossale possa sembrare, secondo il poeta, copiare un verso scritto da altri, significa essere veri poeti, essere ci capaci di farsi catturare dall’emozione di un verso, in modo così folgorante da non poter fare a meno di appropriarsene, trasfigurandolo, trasponendolo in un contesto nuovo.
Si tratta di un vero e proprio coup de foudre tra poeta e versi di un altro poeta.
Dinanzi alla irresistibile bellezza di un verso altrui, l’artista se ne innamora perdutamente e lo fa suo.
Da questo fecondo amplesso nasce una nuova ispirazione.
Fra i poeti si crea un interminabile fil rouge che accomuna chi è stato rapito dalle muse ammaliatrici della poesia diventandone ostaggio accondiscendente.
Nel titolo del libro è racchiuso, infatti, il significato della sua fatica.
Nessuna poesia scaturisce senza emozione e nessuna emozione nasce senza poesia.
Oppure, si potrebbe dire che Leopardi sta all’Infinito come l’Infinito sta a Leopardi.
Queste due equazioni ci danno la certezza della perfetta, unione che intercorre fra l’anima del poeta e la sua poesia, mentre il “mestiere” di poeta si identifica per Centore anche nell’arte di ridare vita a un verso imperdonabilmente bello e rifarne materia nuova « nella scia di questi antefatti specifica l’autore stesso nella sua premessa che qui consegno i risultati di un’operazione iconoclasta e altera: ridurre testi di poesia già tradotti a pretesto e materia di una più alta demiurgica ri-creatrice».
E proprio in questa efficace rielaborazione, Giuseppe Centore è riuscito a mettere in risalto la divinità poetica dei più insigni maestri del Novecento.
Ognuna delle più di cento rapsodie, composte da Giuseppe Centore, e apparse gi in una prima edizione nel 1983 con il titolo La veste di Arlecchino, porta il nome del grande poeta a cui si è ispirato: da Garcia Lorca a Pablo Neruda, o ancora Thomas Eliot, Carol Woita, Guillaume Apollinaire o Samuel Beckett, per citarne solo qualcuno.
Esse hanno l’intento, dichiarato dallo stesso autore, di far rivivere nei lettori, in un rapporto empatico, le loro emozioni personali con la medesima intensità da essi avvertita.
Giuseppe Centore è stato tradotto in numerose lingue, e è a sua volta curatore della versione italiana del Cantico dei Cantici, delle poesie di san Giovanni della Croce e de Il cimitero marino di Paul Valery.
Dello stesso autore è da segnalare la raccolta ” Antologia personale”, poesie dal 1967 al 2007, Armando Curcio Editore, (pagg. 197, euro 12,90).
Una compilation letteraria, selezionata dallo stesso Centore, dal corpus della sua quarantennale attività scrittoria.
Il valore di queste poesie risiede nel loro carattere religioso, nell’intensità spirituale con cui l’autore sa infondere nel lettore conforto e sollievo.
Nelle foto in home page, le copertine dei libri