Stendhal li chiamava “i filibustieri di terra”.Sui briganti sono circolate tante leggende, ma è certo che fossero uomini legati alla terra e vivessero nascosti tra i boschi e le montagne, per rendersi imprendibili ed esercitare il loro mestiere, fatto di agguati, rapine e sequestri di persone. “Banditi e briganti. Rivolta continua dal Cinquecento all’Ottocento” (Rubbettino Editore, pagg. 191, euro 18) è un libro di Enzo Ciconte, dedicato al racconto delle vicende che videro protagonisti i banditi e i briganti nell’arco di quattro secoli, con una particolare attenzione per l’analisi del contesto sociale, dei fattori propulsivi, del rapporto con il potere locale e con le classi dirigenti.
Scrive l’autore “Per trovare le tracce dei briganti bisogna avventurarsi tra boschi e foreste, vallate e sentieri, attraversare boscaglie e fitte selve, incamminarsi su aspri sentieri di montagna, penetrare con loro nel profondo di grotte, caverne, anfratti è l dentro che li troveremo.” La conoscenza dei luoghi in cui erano cresciuti ne favoriva gli spostamenti, anche grazie all’aiuto e alla solidariet delle comunit locali, che li mitizzavano per la loro avversione al potere e alle ingiustizie. Il termine “brigante” si affermò quando arrivarono i francesi in Italia, che definirono in quel modo tutti coloro che si opponevano all’occupazione militare, senza fare alcuna distinzione tra i criminali comuni e chi combatt per restaurare la monarchia dei Borbone. Prima dell’800, il banditismo si affermò e fu un fenomeno endemico di tutta l’Italia, attraversò tutte le classi sociali e ag in particolare coincidenza con fermenti politici e sociali o con eventi naturali che sconvolsero la tranquillit sociale. Nello Stato pontificio alla fine del 500 molti signori feudali guidarono delle formazioni di banditi in reazione alla politica del nepotismo papale, al punto che la nobilt romana produsse un numero davvero rilevante di banditi. Alla fine del 600 il banditismo divenne un’arma essenziale nella lotta tra i singoli principati, poich il modo più efficace per colpire un avversario era destabilizzarlo attraverso la criminalit .
In un’epoca caratterizzata dall’uso sistematico della violenza più efferata, in cui l’unico strumento per trovare soluzione ai conflitti pareva il ricorso alla crudelt , la vita delle popolazioni fu condizionata dal clima di terrore per l’insicurezza che regnava sovrana. Enzo Ciconte lo racconta nel libro “Di questi tempi è frequente trovare agli angoli delle strade i cadaveri, o pezzi di essi, dei banditi orrendamente sfregiati e tagliati in quarti; è un fatto consueto, fa parte del panorama abituale perch tutti sono convinti che l’orribile spettacolo possa essere da esempio. La testa di solito è infilzata su un’alta picca perch sia da monito a tutti”. Anche le famiglie del bandito furono sottoposte a pressioni di ogni tipo per convincerle al tradimento e consentirne la cattura o l’eliminazione fisica tutto era lecito pur di perseguire lo sterminio dei ricercati.
Con l’occupazione francese e l’affermazione del brigantaggio cambiarono le implicazioni sociali del fenomeno criminale, poich lo scenario delle gesta brigantesche divenne identico a quello delle lotte contadine e la rivolta contro l’oppressione e lo sfruttamento si sommò alla componente criminale e politica. La guerra di sterminio voluta da Murat segu la tradizionale politica di repressione delle autorit nel territorio italiano e fu poi ribadita anche dai governi del nuovo stato unitario, che intendevano in tal modo soddisfare le richieste della borghesia meridionale.
Ma gli sforzi delle autorit per cancellare le tracce dei brigantinelle zone teatro delle loro scorribande non riscossero il successo desiderato. In montagna e nelle campagne le gesta di questi tagliagole ribelli e coraggiosi si sono tramandate nel corso dei secoli e ancora oggi è molto vivo il ricordo di alcuni di essi, assurti a simboli della resistenza dei ceti subalterni al dominio delle classi dirigenti.
In foto, la copertina del libro