È un anno felice per il cinema indipendente napoletano. Lo dimostra l’affermazione de: «La santa piccola», opera di esordio della regista Silvia Brunelli. Nata a Roma, classe 1988, ha da sempre una grande fascinazione per Napoli.
Lo si può carpire in modo palpabile dalla sua bella pellicola, ambientata nel Rione Sanità con un cast integralmente selezionato in loco. Il film ha raccolto un grande successo alla Biennale di Venezia nella sezione La Biennale College. E non sorprende l’affermazione nei festival di mezzo Mondo, dal Messico al Giappone.
Alla prima visione partenopea, svoltasi nella Sala grande del Cinema Vittoria, era presente tutto il cast, che ha ricevuto applausi a scena aperta da parte del pubblico.
La trama, ispirata da un racconto di Vincenzo Restivo, si avvia con una processione religiosa. In primo piano appare don Gennaro (Gianfelice Imparato), che di fronte alla folla dei fedeli assiste attonito a un presunto miracolo della bambina Annaluce (Sophia Guastaferro): una colomba in volo si schianta al suolo dopo aver sbattuto contro una statua della Madonna e la piccola la “resuscita” baciandola sul capo.
Da quel momento, il parroco inizia a credere che Annaluce abbia dei doni miracolosi. La credenza si rafforza quando la bimba “resuscita” anche la madre (Pina di Gennaro) da una scampata tragedia casalinga. Così, prende moto una processione di fedeli nell’umile abitazione, che don Gennaro fomenta in ogni modo, facendo leva sulla superstizione popolare e sui bisogni materiali della povera gente.
La trama, però, è duplice e corre su un binario parallelo. Infatti, il fratello maggiore di Annaluce, Lino (Francesco Pellegrino), è fortemente scettico sul plagio che si sta operando sulla bambina. Lino si fa carico di portare avanti nella quotidianità l’intera famiglia, alternandosi fra lavori precari, la cura della bambina, il conforto alla madre depressa. Motivo per cui vive una vita notturna, in cui riversa parte del suo desiderio di evasione.
A fargli compagnia c’è il fedele amico Mario (Vincenzo Antonucci), che nutre verso Lino sentimenti che sfociano nell’amore e nel desiderio erotico, frustrati entrambi dalla dissolutezza di Lino. Quello di Mario è un personaggio tormentato, a tratti inebriante, che pare emerso dalla drammaturgia greca.
Tutta la trama regge su un pathos che potrebbe trascendere da un momento all’altro nella violenza, nel sesso, nella decadenza. Saranno poi, gli eventi successivi a decidere quale corso prenderà la storia, da cui si possono evincere tematiche importanti, come la mercificazione del sentimento religioso, l’omosessualità, l’amicizia, l’amore, il desiderio di fuga da una realtà pesante e amara.
L’opera prima di Silvia Brunelli risulta originale, fresca, godibile, leggera. Soggetto e sceneggiatura sono stati scritti dalla regista assieme a Francesca Scanu. Tra pandemia e tempistiche serrate, bisogna prendere atto del grande lavoro svolto, frutto di una determinata passione.
Dalla pellicola emerge con vigore l’interpretazione di talenti esordienti, come Sophia Guastaferro, Francesco Pellegrino e Vincenzo Antonucci, che hanno superato una prova difficile: rendere una fotografia dello spaccato quotidiano delle viscere di Napoli, senza cadere nella stereotipizzazione da cartolina. Al contrario, anche se in modo tenue, emerge uno stralcio della vita del vicolo, in cui tutti si conoscono e interagiscono fra loro, rivelando anche un intento antropologico nel voler descrivere con curiosità e dolcezza un mondo apparentemente ostile e diffidente.
Notevole, dal punto di vista iconico, la scena in cui Assia (Alessandra Mantice) ha un aborto spontaneo davanti alla statua della Madonna. Scena che, di questi tempi, suona come un atto di ribellione agli orientamenti retrivi assunti in materia dalla Corte Suprema USA e da altri governi occidentali che fanno vanto della loro democrazia.
Fra gli altri, si è distinto Vincenzo Antonucci, alias Mario, cui sono state affidate nella pellicola pochissime battute, al fine di esaltare la mimica facciale, i micromovimenti del volto, la grande espressività degli occhi che rendono perfettamente il grande conflitto interiore nel rapporto con l’amico Lino.
“La santa piccola” ha riscosso un successo tale da venire selezionato in diverse rassegne di festival internazionali, nonostante sia al di fuori dei circuiti di grande distribuzione. Finora, la pellicola è giunta a Guadalajara (Messico) e Kyoto (Giappone), senza dimenticare il Tofifest Film Festival in Polonia.
Anche il Tribeca Film Festival di New York ha scelto la pellicola, strizzando l’occhio a un cinema indipendente italiano che pare offrire molti più spunti delle pellicole distribuite dalle grandi produzioni.
Oltre la critica, che si è espressa in modo favorevole, è il pubblico ad apprezzare con entusiasmo la trama, che sembra dare sostanza ad una nuova scena napoletana con una forte proiezione internazionale.
Dopo decenni a suon di cinepanettoni e film smielati, chissà che non sia la volta buona di tornare a vedere dell’ottimo cinema nelle sale.
©Riproduzione riservata
Per saperne di più
La santa piccola