Vivere a Madrid comporta anche venire a contatto con personaggi che vi hanno lasciato la loro impronta e vi hanno vissuto, in periodi diversi della loro vita, gli anni determinanti della storia e della politica spagnole.
Federico Garcia Lorca e Pablo Neruda (foto), scrittori e poeti accomunati da profonde inquietudini di matrice diversa, ma ugualmente incisive sui loro destini, si conoscono a Madrid, dove il giramondo-profugo Neruda è provvisoriamente console. L’andaluso Lorca, appassionato poeta amante della sua terra e degli ideali di libertà e il cileno che vive come dramma personale la tragedia storica che attraversa il suo paese, risentono fortemente nella loro opera delle vicende del tempo.
La loro è letteratura della fuga e dell’esilio che ne diventa cifra identitaria, ma ancor più determinante in tal senso è l’appartenenza agli anni d’inizio del ‘900, anni di fermento, di speranza, di novità nell’arte, nella letteratura, nella poesia e soprattutto nella speranza che dall’immobilismo politico si passi a cambiamenti concreti: in primo piano, quelli a favore delle classi oppresse. Di quest’ansia di nuovo, di quest’ideale in nome del quale sperano di riparare alle ingiustizie che rendono la vita di alcuni popoli una tragedia quotidiana, i due poeti si fanno portavoce al mondo.
Federico ama l’Andalusia, dalla natura alla musica popolare, e vuole trasmettere quest’amore alle giovani generazioni. E’ un gitano, e il duende gli fa vivere la vita nella segreta tensione di un dolore tenuto a bada dalla speranza nel futuro. Assetato di conoscenza, cerca contatti con nuove culture, ma sempre nell’obiettivo di restituire al suo popolo una radice storica e una identità culturale. I due poeti non si riconoscono nella realtà in cui vivono. Entrambi interpretano la storia nella visione globale degli eventi e la poesia è per essi apertura a un umanesimo proiettato nell’universale contro l’esilio culturale e politico del tempo.
Ha vissuto quegli anni un altro poeta, madrileno per scelta e passione, Augustìn Lara, compositore e cantante messicano entrato nelle grazie di Franco che gli regala una casa. Madrid gli ha eretto un monumento, ma tutta la Spagna si appropria del brillante e raffinato compositore di Maria Bonita, di Noche de ronda, di Solamente una vez, di Granada e di centinaia di canzoni indimenticabili, tutte entrate nel repertorio dei cantanti più famosi del mondo, da Sinatra a Pavarotti, Carreras, Domingo.
Le sue canzoni sono state cantate anche nei piano-bar, nei teatri, nelle case e nelle serenate d’amore. Lara è vissuto negli anni di Neruda e in parte negli anni di Lorca e, come le loro opere sono divenute espressione letteraria di uno status della storia, così la musica di Lara è stata la bandiera di un’ondata storica che ha avuto come fulcro le sperimentazioni e le avanguardie del nuovo secolo, nella maggior parte crollate sotto i colpi della Grande Guerra.
La Spagna vive il declino socioculturale cominciato dalla perdita delle colonie e una instabilità che può portare alla dittatura. Gli intellettuali sono incerti se chiudersi nel ricordo della grandezza passata o aprirsi ad altre realtà politiche più avanzate come accadeva in Francia, Inghilterra, Germania.
In quegli anni hanno vissuto i nostri tre poeti, e ognuno vi ha lasciato un segno. Uno di loro li ha soffusi di bellezza, di desiderio di felicità, di amore per le splendide città di una patria che l’ha adottato; gli altri due ne hanno vissuto il dolore, le delusioni, le passioni e le emozioni fuggitive della felicità e del dolore di essere poeti. Hanno contribuito a fare la storia con la loro arte usandola come antidoto contro il dolore e, riconoscendo “che ogni cosa ha il suo mistero”, hanno fatto della poesia l’affascinante mistero di tutte le cose” , parole di Federico Garcia Lorca, il poeta la cui vita si spezza insieme alle illusioni e agli ideali di libertà del quale tutto il mondo sta soffrendo, tuttora, l’irreparabile tramonto.