Cercate una pacata serenità? La troverete realizzata in un dipinto di Vermeer, arrivato nella reggia di Capodimonte dal Metropolitan Museum di New York e da venerdì scorso visibile al pubblico (fino al 9 febbraio 2017). Rappresenta una tranquilla stanzetta.
Il pavimento a cardamone, cioè con le mattonelle collocate di sbieco, amplia lo spazio, la parte sinistra della parete di fronte, di colore chiaro, lo affonda, il tavolo posto accanto alla finestra lo anima e lo sguardo di una giovane donna volto a sbirciare oltre i vetri di questa finestra lo fa tracimare verso l’oltre della stanza. La luce trascorre su questo piccolo mondo dolcemente, avvolgendolo in un’atmosfera magica.
La ragazza che è in questa stanza è “La donna con il liuto”, uno strumento molto diffuso all’epoca tra le giovani donne, come da noi il pianoforte in tempi più recenti. L’autore, nato e vissuto (1632/1675) a Delft, rappresenta la vita del ‘600 in Olanda. Che noi possiamo supporre più tranquilla di quella dei nostri tempi. Ma, se immaginiamo che quella di Vermeer si svolgesse in modo sereno, nella silenziosa tranquillità della sua casa, saremmo in errore.
Infatti, ci spiega il direttore Sylvain Bellenger nell’ampia e sintetica presentazione fatta nel giorno dell’inaugurazione, la vita del pittore non era affatto tranquilla. Né la sua casa era silenziosa: era un caos.
Vermeer aveva quattordici figli che certo non stavano in religioso silenzio, viveva in ristrettezze e aveva difficoltà economiche: di conseguenza la sua vita era fatta di ansie, preoccupazioni e mortificazioni. Ma accade, a volte, proprio questo: che, appunto per fuggire da una vita tormentata, un individuo si immagini un mondo diverso e a questa sua immaginazione rimanga attaccato, con una assoluta, disperata concentrazione che lo porta altrove. Né ciò significa che Vermeer sia stato un irresponsabile e che le preoccupazioni non gli abbiano pesato. Anzi. Tanto da morirne. A 43 anni.
Come testimoniò la vedova: «A causa delle grandi spese dovute ai figli e per le quali non disponeva più di mezzi personali, si è afflitto talmente che ha perso la salute ed è morto nel giro di un giorno e mezzo ».
Peraltro era un grande, sensibilissimo artista che ci ha lasciato opere bellissime come “La donna con il liuto”. Quest’opera straordinaria ci dà anche una lezione su che cosa sia la pittura ovvero ci spinge a osservarla. Perché è un dipinto che stimola l’osservazione, ponendo degli interrogativi: che cosa c’è fuori della finestra? perché è così strana la posizione del tavolo? che senso ha quella carta geografica? in che modo è stata resa magica l’atmosfera di questa stanza? come sono impastati insieme luce e colore? Non a questi, forse, ma a molti interrogativi potrà rispondere un’applicazione gratuita usufruibile con uno smartphone: una straordinaria novità tecnica adottata dal Museo di Capodimonte.
Comunque l’opera è un capolavoro e, come tale, è stata esposta con una cura attenta e rispettosa e collocata in una sala a lei dedicata. Vi si accede attraverso sale illuminate da altri capolavori, che la Reggia borbonica conserva. Che ci dicono che stiamo procedendo nel regno della bellezza. E poi eccoci all’ingresso della sala.
La porta è sormontata dalla scritta “IV MEER”, che è la sigla con cui Vermeer firmava le sue opere. Nella sala c’è anche la riproduzione di un liuto fatta da un valente artigiano, donata per l’occasione da un collezionista napoletano. E c’è la riproduzione, che era conservata nell’Istituto Napoletano di Storia Patria, di una carta geografica dell’epoca rappresentata nel dipinto.
Nel giorno dell’inaugurazione, c’era anche una piccola e deliziosa orchestra con tre sensibilissime interpreti. In una sala accanto sono altre 4 pitture di donne suonatrici, una di Bernardo Cavallino, l’altra di Carlo Sellitto, la terza di Francesco Guarino, che denunciano lo spirito religioso che le ha ispirate; una quarta è opera di una donna-pittrice, la cremonese Sofonisba Anguissola.
Bellenger ci ha parlato anche dei capricci della fama e di Vermeer ci ha detto che per secoli era stato dimenticato. Fin quando, nell’Ottocento, un critico francese lo portò in auge e quindi all’attenzione dei colleghi e del grande pubblico.
Analoga sorte toccò a Caravaggio, che, sì, aveva avuto successo nei primi anni della sua attività, ma poi, per secoli, dopo essere stato perseguitato dalla giustizia, era stato dimenticato, fin quando, negli anni Cinquanta dello scorso secolo, un prestigioso critico italiano lo riportò alla luce e lo osannò.
In un primo tempo fu soprattutto ammirato per il suo cosiddetto realismo; per alcuni soprattutto per avere avuto nientemeno (!) il grande coraggio di avere dipinto in primo piano dei piedi sporchi. Soltanto poi, si è osservata la sua concezione del mondo, dello spazio, della vita, della luce. Una magica luce drammatica. Vermeer, pressoché suo contemporaneo, usa anche lui magicamente la luce ma non per esprimere un dramma ma per creare la catartica serenità nella quale possiamo rifugiarci.
Per saperne di più
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