Gildo De Stefano è saggista musicale (ha pubblicato oltre una decina di libri, fra cui l’unica “Storia del Ragtime” edita in Italia e in Europa) e narratore (è stato finalista al premio letterario Calvino negli anni ’90). Ha vinto un premio nazionale di giornalismo ed è il direttore artistico del Festival italiano di Ragtime. Collabora con la Fondazione Treccani per le voci enciclopediche relative ai musicisti afroamericani. Il suo sito è www.gildodestefano.it
. Con lui parliamo del nuovo libro " troppo tardi per scappare", da poco in libreria per le edizioni ilmondodisuk.
Nel primo racconto del libro lei presta particolare attenzione alle dinamiche interne alla famiglia, che appare quasi una famiglia borghese. I camorristi hanno acquisito comportamenti e abitudini tipiche della cultura borghese? il desiderio di creare in casa un’apparente normalit che lasci fuori la violenza di cui è impregnata la loro vita?
“Non potevo astenermi dalle dinamiche familiari di un nucleo familiare che risponde a esigenze di tipo violento o comunque coatte nei propri comportamenti. Comportamenti, naturalmente, mutuati anche dalla borghesia civile e normale a cui fanno riferimento e che, in un certo qual modo, vorrebbero invano emulare poich la camorra ha delle proprie regole a cui bisogna, prima o poi, assoggettarsi. Il desiderio di un’apparente normalit è soprattutto quello di Patrizia che, suo malgrado, si trova a vivere una vita che non avrebbe voluto ma che il destino le ha posto davanti”.
Il titolo del libro è una frase detta dal personaggio di Patrizia. Testimonia il realismo della donna o anche la sua rassegnazione?
“Non è realismo bens pura rassegnazione, dal momento in cui si è resa conto che il suo maggior interlocutore -il compagno- non la lascerebbe mai andar via, vittima anch’egli di un codice d’onore a cui deve coattivamente sottomettersi. Anche quando la richiesta di ‘fuga da quella realt insalubre’ viene da uno dei suoi figli, per lei si riaccende il triste semaforo rosso ossia la consapevolezza che non potrebbe più scappar via dal suo destino”.
Nel libro c’è una sottile disperazione che pervade le famiglie dei malavitosi, come se fossero prigionieri di un destino ineluttabile…
“Disperazione, dolore, violenza, sono le componenti principali di un tipico nucleo famigliare camorristico, componenti figlie sicuramente di un destino beffardo quanto ineluttabile”.
In uno dei racconti è evidente il desiderio dei protagonisti di farsi accettare dagli ambienti esclusivi della Napoli bene. Che cosa succede nella realt ? cos forte la commistione tra camorristi e buona borghesia partenopea?
“La realt nell’universo camorristico spesso supera il limite immaginabile. Quella di entrare dalla cosiddetta “porta principale” della societ -bene cittadina rappresenta una delle massime aspirazioni del camorrista. Purtroppo questo ‘passaggio-metamorfosi’ accade attualmente più del previsto creando una scellerata commistione tra gente comune e malaffare, maglie talmente sottili che perfino chi è preposto alla sicurezza pubblica fa fatica a rendere intelligibile”.
Lei scrive che il camorrista deve proteggersi dal pericolo di amare la propria donna per non correre il rischio di tradire il boss. La fedelt alla famiglia camorrista prevale su tutto?
“L’amore di un boss per la propria donna passa in second’ordine rispetto ad un codice d’onore che ha come principio base la violenza e la cosiddetta ‘cammurra’ la posta in gioco è vitale, e questo il boss o i suoi luogotenenti lo sanno bene. La fedelt va offerta innanzitutto al ‘sistema’ che ti d il viver quotidiano, a prescindere se gli strumenti per procacciarlo siano violenti e ingiusti o contro ogni regola razionale. L’amore per una donna è perfettamente sacrificabile se l’alternativa apparisse il salvataggio di un semplice ingranaggio malavitoso”.
in foto, l’autore
luned 26 agosto