Lento, ma tenace. Lo ha afferrato alla gola da tempo e ancora lo tiene in pugno in un’agonia senza fine. Assassino inesorabile, il tramonto, ha affondato i denti nella tenera carne dello Stato di diritto che ancora si dibatte flebilmente, tuttavia gi rassegnato alla fine. Resta in piedi solo la sua caricatura, una carcassa esangue e sfibrata, che muove passi incerti, intimidita dalle movenze sfacciate di una cerchia d’iniziati, impegnata a tessere la ragnatela del potere economico e politico, riducendo a ghetto gli spazi di chi si muove seguendo l’istinto delle idee e della passione.
La libert è diventata ancella di gruppi eminenti, in guerra fino all’ultima parola di carta stampata, televisiva o finanziaria, pronti, tuttavia, a deporre le armi in vista di fruttuosi accordi, nemmeno tanto invisibili.
Eppure l’allarme che non debba continuare cos e che l’avidit possa strozzare la voce del futuro arriva da chi il viso dei potenti lo conosce a distanza (molto) ravvicinata. Esperto d’economia, scrittore, consigliere del monarca repubblicano Franois Mitterrand, guida della commissione (concepita dal presidente Sarkozy) per rilanciare la crescita in Francia, Jacques Attali, nel libro da poco pubblicato in Italia per Fazi editore, « La crisi, e poi ? », conia l’utopia urgente per curare il presente colpito dalla catastrofe finanziaria globale e per affidarsi, finalmente, a un orizzonte sereno.
La ricetta: azzerare la cupidigia, facendo quadrare il cerchio tra il mercato e la persona, lo sviluppo e l’intelletto, il profitto e la legalit .
La parola altruismo avvolge il filo del suo ragionamento, nella speranza che un giorno l’unica crisi possibile nel mondo appartenga alla sfera del privato, variabile e capriccioso come gli umori della vita , di una vita in grado, però, di legittimare un’importante verit : l’umanit potr sopravvivere solamente se ci si render conto di quanto sia necessario comportarsi meglio degli altri.
Ma l’esigenza dell’ottimismo annunciata da Attali non basta a mettere in fuga la sconcertante esplosione di un egoismo dispotico, esclusivista e universale in strada e nei luoghi della pubblica decisione, dove prevale la gestione impugnata dal gruppo, non il (buon) governo. E di questo egoismo Napoli è interprete efficace.
Ragazzi intercettati dal branco e picchiati mentre passeggiano si vedono costretti a recitare il ruolo di un’eroica resistenza metropolitana, cos come chi crede nel rigore e nella disciplina di una cultura pura, sganciata da sistemi di appartenenza, deve inseguire i propri obiettivi nella trincea della solitudine, scontrandosi (spesso) con la mediocrit istituzionale.
Il forum mondiale delle culture del 2013 rischia di annegare nella palude delle occasioni sfumate se manca la vera voce della citt . Sopraffatta da un’orchestra di musicisti indifferenti e distratti. Spaventati dai suoni che non sanno dominare.
In homepage, la rappresentazione del genio: Beethoven nel Conservatorio napoletano di San Pietro a Majella