«L’abitazione dove ho vissuto, assieme alla mia famiglia, per circa dieci anni era ubicata quasi alla fine della cortina. Di fronte al forno e al lavatoio. Vivevamo in quattro in un’unica stanza di circa 40 mq. Il gabinetto all’aperto, distante circa 50 metri, in comune con altre famiglie abitanti sulla loggia. Era la casa dove era vissuto mio padre con i suoi genitori e i suoi due fratelli (Luigi e Antonio) e dove viveva, ormai, da sola la nonna Angela». Comincia cosi il libro fresco di stampa dal titolo: “La strada sotto al Vesuvio” di Giovanni Attademo, Edizioni Apeiron, pagg. 200, euro 12.
Una infanzia, quella dell’autore, povera ma bella, come recitava il titolo di un vecchio film di successo di fine anni ’50. Stentata ma dignitosa, semplice ma piena di valori. Il racconto di una provincia pervasa da storie intense, vissute, un tutt’uno tra luoghi e persone, ambiente e territorio, legami e parentele, vicinato e comunità di riferimento.
Una periferia, Trecase, ai piedi del Vesuvio, che raccoglie in sé tutti i limiti di un luogo decentrato, lontano dalla centralità della grande città, ma fatto di vita semplice e vera, in cui l’autore si spoglia e si racconta. Si racconta dentro quello scenario di riferimento, dove il protagonista non è lui, ma il posto, il vissuto di storie, le emozioni e i comportamenti assunti dentro quel mondo che non ritornerà. E che lui fa rivivere con intimo trasporto in questo suo primo libro.
Giovanni Attademo apre il suo cuore in scrittura guardando all’indietro, recuperando quel “tempo sociale” che non gli verrà più restituito, ma che egli sente l’esigenza di compartecipare con il mondo. Una sorta di operazione-verità, capace di far sentire qualsiasi lettore padrone di quella infanzia, di fare suoi quei trascorsi, di sentirsi attore principale in quel teatro all’aperto, in quelle scene quasi recitate che possono vedere accomunati i trascorsi di tutti i bambini.
Come la carrellata di personaggi che hanno caratterizzato la sua infanzia. Da Ciccio Chiavariell, instancabile organizzatore della “Juta”, il pellegrinaggio settembrino alla Madonna di Montevergine, a Carmela ‘a Capon, nella cui casa si giocava a tombola tutto l’anno. E poi, Maria ‘a comunist, la prima ed indiscussa femminista di Trecase.
La famiglia e il Pci integrano quest’opera autobiografica dal sapone antico e nobile. A partire da mamma Rosalia, ‘a Serrengar, quella che faceva le siringhe al vicinato in difficoltà. Una donna “fatta” per accudire e proteggere i figli, di formazione cattolica, che si divideva tra la cucina e un percorso mistico, a cavallo tra paganesimo e cattolicesimo. Un punto di riferimento per contrastare il malocchio, i patemi d’amore, quel popolare che sapeva di vicinanza. Poi il Partito comunista, altro nodo centrale che, come per tanti percorsi “sinistroidi”, aiutava a crescere, a distinguere, a selezionare temi e fare proselitismo, a difesa delle sofferenze, degli sfruttati e degli oppressi. Una scuola di vita che ha forgiato l’uomo e che trasuda in questo suo rivelarsi d’autore.
Il libro di Giovanni Attademo è pieno di storie avvolte nella autenticità, un linguaggio non fine a sé stesso, una semplicità che diventa sincerità, genuinità. E pur consapevole che non gli verranno più “restituiti” gli odori, le persone e quei luoghi, lui ci mette il cuore, incastonato in una dolce melanconia. Sente il bisogno di una fermata per mettere a punto emozioni e sensazioni, per poi guardare avanti, tuffarsi in questo nuovo mondo, irto di contraddizioni, ma che va vissuto con altrettanta intensità e più matura consapevolezza.
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