C’era una volta l’Albania. Quell’Albania dalla quale le persone volevano fuggire, ma non per rincorrere sogni di ricchezza: volevano fuggire da un regime totalitario e repressivo. Fuggire da uno Stato la cui mano, spesso violenta, non esitava a rinchiudere chi non si allineava in luoghi tetri, le cui mura trasudavano dolore e disperazione. Il carcere di Spaç.
Elvis Dona ha realizzato un’opera di rara efficacia, riuscendo a intervistare ex detenuti, ma anche ex guardie carcerarie e funzionari del regime comunista guidato da Enver Hoxha dal 1944 al 1992.
Il libro nasce dall’esigenza di Elvia Dona di scrivere un testo che non solo potesse indagare il passato, ma in un certo senso riconciliarsi con lo stesso, lasciando andare ogni tipo di risentimento.
Sarà proprio un viaggio in Albania, paese d’origine dell’autore, a stimolare in lui l’esigenza di un libro d’inchiesta che potesse raccontare la storia albanese degli ultimi cinquant’anni. Fin dalle prime pagine si respira l’aria d’oppressione cui riversava l’Albania di quegli anni: non vi era infatti possibilità di parola, di associazione, di scelta religiosa. Quello che racconta Dona, attraverso il suo emozionante libro, è un mondo sospeso nel niente, dove la libertà è un miraggio lontano.
Il lasso temporale specifico del racconto è quello che va dal dopoguerra fino all’approdo della democrazia. In questa faccenda si fa avanti la figura di Hoxha, presidente del consiglio di quegli anni. La sua è una figura austera, raccontata con minuzia e severità.
Non sarà infatti, una figura positiva, saranno molte le azioni che lo riguardano che lo rendono agli occhi del lettore un personaggio riprovevole: egli condanna il burocratismo, decurta gli stipendi ai funzionari, costringe gli studenti al lavoro dei campi per favorire le attività manuali, vieta i riti religiosi e molto altro. L’oppressione raccontata da Dona è presente in tutte le pagine, raccontando una realtà complicata dove ogni tipo di libertà viene a mancare nel tessuto sociale.
La realtà raccontata dall’autore è fortemente diretta, complice le numerose testimonianze di chi ha vissuto realmente nel campo di Spac. Le loro parole, raccontano una vita fatta di stenti, dove il cibo scarseggia ed è di pessima qualità, dove le camerate sono sovraffollate, dove l’isolamento è un incubo infinito, e dove chi non rendeva più lavoro veniva brutalmente ucciso o spinto alla morte. Le miniere da cui sottrarre rame, appaiono agli occhi del lettore fortemente vivide, grazie al racconto preciso e coinvolgente di Dona.
Diviene, quindi, un gioiello tra i libri di inchiesta, capace di raccontare in maniera diretta ed emozionante la storia dell’Albania degli ultimi cinquant’anni, dove la parola libertà era un miraggio lontanissimo. (Miriana Kuntz)
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