Se dieci anni vi sembran pochi! Il destino della Regione Campania, la prima Regione d’Italia in termini di densità di popolazione, la più importante del Mezzogiorno, sembra condannata all’oblio. I candidati più rappresentativi sono gli stessi del 2010, con qualche variabile, ed è probabile che proprio uno dei due vinca per affermare il “non cambiamento”. Salvo sorprese.
E se provassimo ad analizzare i dati macroeconomici, così per non parlare per partito preso? Si potrebbe obiettare: ma il Covid 19 ha rivoltato l’economia internazionale, dagli Usa all’Europa, dalla Cina ai paesi emergenti, immaginiamo l’Italia d il Mezzogiorno. E ancor più l’economia “millesimale” della Campania.
Allora l’analisi deve riguardare, forzosamente, il periodo antecedente alla crisi pandemica. Il Rapporto PMI Mezzogiorno 2019 – Cerved (Confindustria) – ci fa notare il rallentamento dell’economia nell’anno 2018: crescono i fallimenti (+5,3%), aumentano le liquidazioni volontarie di PMI in bonis (+5,1%), si allungano i giorni di ritardato pagamento da parte delle imprese (in molti da 20 a 60 giorni), maggiore dipendenza dal credito bancario dell’imprenditoria manifatturiera meridionale, minore aumento della nascita di nuove imprese di capitali.
La Campania, in questo scenario, si caratterizza per un dato che la dice lunga in termini di competitività e di apertura ai mercati internazionali: i libri soci delle Pmi campane ci dicono di una fortissima presenza di familiari nella compagine societaria, pari al 77%. La peggiore Regione del Sud in questo senso.
Il trend in crisi della Campania viene confermato, per lo stesso anno 2018, dal Rapporto di Banca d’Italia: “Economie Regionali – L’economia della Campania”.
La nostra Regione presenta una diffusione della povertà superiore alla media italiana e una disuguaglianza più ampia dei redditi, il benessere delle famiglie risente di una più bassa qualità di servizi pubblici e di peggiori condizioni di salute rispetto ad altre aree del paese.
I prestiti bancari continuano a crescere, si è ridotta la spesa sanitaria ma è aumentato il costo del personale, nonostante la riduzione degli organici. La qualità sanitaria ospedaliera rimane molto al di sotto degli standard. Le esportazioni campane sono diminuite del 2,1% rispetto all’anno precedente (2017), le importazioni sono aumentate, le imprese campane fuori dal mercato, siano esse di capitali o di persone, sono aumentate. Ma non mancano dati positivi, come un lieve miglioramento delle condizioni economiche e finanziarie delle imprese attive rispetto a un anno prima.
Questi dati dimostrano uno stato di salute poco brillante della Campania, per cui sarebbe di estremo interesse ascoltare i programmi, se ve ne saranno, dei candidati e le relative liste d’appoggio. Ma prima ancora sarebbe interessante sfidare i candidati presidenti ad analizzare l’economia regionale, partendo da alcuni temi fondamentali, quali la sanità, l’ambiente e l’edilizia residenziale pubblica.
La Campania è l’esempio più chiaro della mancanza di una classe dirigente del Mezzogiorno. Tanti se ne lamentano, tuttavia il blocco politico e sociale in questa regione è giustificato, innanzitutto, proprio dai pretendenti alla guida di questa istituzione. E non è meno problematico il consesso elettivo del Centro Direzionale; un’assemblea poco produttiva, che legifera pochissimo e contribuisce molto alla gestione.
In dieci anni è nato poco o null’altro di alternativo a questo appannamento della democrazia, complici anche e soprattutto una borghesia latente, sempre indaffarata dietro le quinte, e la sempre presente disarticolazione di movimenti sociali che, pur puntando su scelte di qualità politica e di rappresentanza territoriale, sono intrisi spesso dal germe della divisione. Una sorta di male “necessario”.
Ma la scommessa persa dai candidati del centro destra e del centro sinistra è sui rifiuti. Ogni anno partono 25 mila tir zeppi di rifiuti dalla Campania all’indirizzo del Nord.
Quei 5 milioni di tonnellate di ecoballe sono il simbolo del fallimento di politiche ambientali che inquinano, uccidono, compromettono l’ecosistema. Un vero e proprio biocidio, come lo etichettano gli ambientalisti.
Il grado di compromissione di centinaia di ettari di territorio campano ormai è irreparabile. Anche qui, per evitare leggende metropolitane, analizziamo lo studio condotto dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla Procura penale di Napoli Nord. Dopo tre anni tale studio ha rilevato che almeno 38 Comuni rientrano nella accezione meglio nota come “terra dei fuochi”: 426 chilometri quadrati e 2767 siti di smaltimento controllato o abusivo di rifiuti, oltre 354 mila abitanti risiedono a meno di 100 metri da un sito di rifiuti. Si “convive” con eccessi di mortalità, ospedalizzazione e incidenza dei tumori.
Bene che si affacci un terzo polo alternativo di sinistra, ambientalista, che metta al centro la salute pubblica, dalla sanità ai rifiuti, che sappia parlare a chi oggi (e ieri) non si sente più rappresentato, che difenda programmi per nuovi alloggi pubblici, che ponga al centro l’urbanistica e l’uso ordinato del territorio, che declini uno stato sociale di comunità, che proponga la cultura come volano economico e non come brand. Insomma, o si esce dall’oblio o ci si perde per sempre in esso.
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