Qui sopra, l’ex calciatore Nicolás Amodio. In alto, foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay 

«Essere diabetici non è un limite», racconta l’ex calciatore del Napoli, Nicolás Amodio. Nicolás soffre di diabete giovanile, mellito, insulino-dipendente sin dall’età di 9 anni, ma la sua malattia non gli impedisce di giocare a calcio. Il 14 ottobre 2006 riceve il premio come Atleta diabetico dell’anno consegnatogli dall’Associazione italiana Medici Diabetologi. Nel 2007 diventa testimonial della Federazione Nazionale Diabete Giovanile, collaborando a diverse iniziative per sostenere il progetto di ricerca denominato Nuove Strategie terapeutiche sul trattamento del diabete mellito tipo1.
Il diabete non impedisce ai bambini e ai ragazzi di praticare sport. L’attività fisica ha un valore terapeutico perché tra i tanti benefici che apporta, è stato dimostrato che aiuta a regolare i valori della glicemia e il compenso metabolico.
La sua storia e la sua esperienza sono la dimostrazione di come le persone con diabete possono e devono praticare sport; di come si può vivere una vita normale, felice e ricca di soddisfazioni. Ha sempre assecondato la sua passione, cercando di migliorare costantemente se stesso ed il suo livello di prestazione atletica, e ha raggiunto così il suo sogno di bambino.
Nicolás ci ha raccontato il suo rapporto con la malattia.
Hai scoperto di avere il diabete all’età di 9 anni. Nel 2006 lo hai rivelato; è stato difficile per te convivere con questa malattia dato il tuo lavoro?
«Io sono diabetico dall’età di 9 anni. Penso che chi vive la mia stessa condizione debba avere più cura di se stesso, ma di certo non è un limite, e se si fanno le cose nel modo migliore, non ci sono ostacoli o impedimenti. Sin da piccolo sono stato seguito da dottori che hanno ritenuto l’attività fisica una pratica consigliabile, addirittura importante, e che mi hanno sempre sostenuto nel mio percorso sportivo. Praticare sport è importantissimo: l’attività fisica consente di avere una vita più sana ed equilibrata».
Hai mai avuto problemi nel fare sport e giocare a calcio?
«No, per fortuna non ho mai avuto problemi. Per seguire il mio sogno e, diventare calciatore professionista, non ho mai dovuto affrontare ostacoli. Qualche volta solo cali di zucchero durante gli allenamenti, ma poi subito mi riprendevo, prendendo un po’ di zucchero, ma questa cosa può capitare a chiunque, anche a chi non è diabetico».
Tu sei uruguaiano e sicuramente sei legato alla tua squadra in Uruguay. Ma qual è invece la squadra italiana a cui sei più legato?
«In Uruguay sono cresciuto fin da bambino tifoso del Peñarol dove ho avuto la fortuna di giocare un paio di anni. Poi in Italia ho un legame con la Sambenedettese, ma soprattutto con il Napoli perché ho vissuto dei momenti incredibili. A Napoli ho molti amici. Amo la squadra, la città e i napoletani. Napoli la porto nel cuore e sarò legato a vita anche perché uno dei miei figli è nato lì».
Quando sei arrivato a Napoli, quanto tempo vi sei stato e com’è stata la tua esperienza nella squadra? Che emozioni hai provato?
«Sono arrivato a Napoli un anno dopo essere arrivato in Italia. Il Napoli è stato un traguardo incredibile nella mia carriera e nella mia vita. Ho vissuto delle cose emozionanti, la promozione dalla serie C alla serie B e subito dopo alla serie A. È stato un anno bellissimo, un campionato molto bello da ricordare. Abbiamo raggiunto un traguardo che non era per niente facile».
Come tutti, anche tu eri legato a Maradona, el pibe de oro. Cosa ha significato per te e cosa hai provato alla notizia della sua scomparsa?
«Purtroppo, non ho mai avuto la fortuna di conoscere Maradona di persona. La notizia della sua morte ci ha sorpresi, ci ha sconvolti, perché nessuno se lo aspettava. Vivendo a Napoli, mi è maggiormente dispiaciuto perché sentivo parlare di lui dalla gente, ascoltavo le cose che lui ha fatto per la sua squadra e per la città. Sicuramente non è stato un momento bello quando ho ricevuto la notizia, non potevo crederci».
Adesso che sei in Uruguay, come stai trascorrendo le giornate?
«Qui in Uruguay sono dal 2015. Ho preso il patentino per diventare allenatore. Ho avuto la mia prima esperienza come vice allenatore in una squadra di serie B. Quest’anno sono in una squadra di serie A. Ho tanto da imparare come allenatore: è una cosa totalmente diversa dall’essere calciatore. Devi essere nella testa di 25/30 calciatori e non è facile, ma a me piace, e ora che non posso essere sul campo, posso essere molto vicino al campo quando ci sono le partite. Spero di poter crescere ancora con questa professione».
Grazie del tuo tempo, Nicolás. E in bocca al lupo per questa tua nuova esperienza.
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