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Maddalena Cerasuolo. In alto, quei sorrisi del 1943

Inaugurata al Teatro San Carlo con l’orchestra della Banda dei Carabinieri, la celebrazione del 75° anniversario delle Quattro Giornate di Napoli inizia il suo trionfale percorso nella stampa e nella divulgazione internazionali.
I tòpoi del percorso sono d’obbligo, dai cortei storici delle scuole alla deposizione delle corone di lauro nei luoghi della memoria, dal Vomero a Piazza Bovio al Mausoleo di Posillipo dove, insieme ai fanti della Grande Guerra e ai caduti della seconda riposano alcuni dei giovani che dettero la vita per una causa che le conteneva tutta: la libertà spirituale di un popolo che aveva saputo trarre dalle tremende esperienze della sua storia millenaria non l’arte dei arrangiarsi, ma l’arte del vivere, rifiutandone il peggiore dei compromessi, la schiavitù spirituale, la perdita della libertà interiore, l’attentato a quella linea d’ombra fra l’individuo e la parte più intima di sè dove si annidano le poche consapevolezze di essere un uomo e che è vietato  varcare pena la vita, pena la morte.

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Il magnifico Ercole Farnese

La scelta della sede non poteva essere più appropriata. La zona del Museo Archeologico  nazionale di Napoli è stata frontiera, trincea e centro nevralgico del popolo delle Quattro giornate. Da essa parte la strada e poi il ponte che nel decennio francese collegò la città alla Reggia-Museo edificata nel 1737 per accogliere la collezione donata da Elisabetta Farnese al figlio Carlo di Borbone, primo re indipendente di Napoli, e trasferita poi al Palazzo del Real Museo, oggi Museo Archeologico Nazionale.
E sono appunto le sale della collezione Farnese, quella del Cielo Stellato, quella della Venere Callipigia ad accogliere le testimonianze di un nuovo modo di fare la guerra e di sostenerne le relative fatiche. Perché il popolo, un popolo senza discriminazioni d’ età o di altro si unì quasi miracolosamente in un’impresa che a molti richiese, in cambio della vittoria, la vita.
Ci piace vederli come altrettanti Ercules nelle diverse età, posizionati sullo scacchiere della storia da eventi dei quali sfuggiva loro ogni logica, ma non la violenza del potere e l’ingiustizia della sopraffazione.
Il popolo di Napoli, male armato e solo in Italia, giocò nelle Quattro Giornate di fine settembre del 1943, la propria parte con la sola forza dell’intelligenza e della disperazione, quella che riuscì a erigere in poche ore barricate per tutta la città semplicemente e disperatamente buttando i mobili dalle finestre, che fece circolare le armi clandestine anche tramite i giovanissimi, forse con l’illusione e la speranza che passassero più inosservati degli adulti e che seppe dare un’altra delle prove della sua sagacia, della sua insofferenza alla sopraffazione, del suo bisogno di libertà stratificati nel suo spirito da millenni di storia.
Ma torniamo al cuore della mostra, al punto caldo dove essa parla il lessico famigliare che unisce tre generazioni col robusto fil rouge degli affetti e delle memorie, sfondo mobile di avvenimenti dove protagonista è la vita. Perché da queste sale, da queste statue assorte da millenni nella loro emblematicità d’arte e di storia, questa dolcezza pacata e armoniosa di dee, le linee perfette di corpi fatti per l’amore e con amore, la sognante tristezza di Antinoo e la pensosa fronte inanellata di Adriano si accordano senza stridori con le fotografie e le rispettive leggende affisse alle pareti.
Se nelle sculture e nelle statue è accumulata la conoscenza millenaria del mondo e ognuna di esse, dai Tirannicidi ai Corridori all’Ercole Farnese acquista qui il valore che i secoli non scalfiranno, la mostra che si dispiega sulle pareti ne riflette e ne ripete l’emblematicità.

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Gennaro Morgese

Ecco lo splendido Ercole Farnese che ritorna al nostro appello e che qui sembra cedere finalmente alla stanchezza delle sue fatiche, pur stringendo nella mano le mele d’oro rubate dal giardino delle Esperidi. La sua statua è parte integrante del macrocosmo infinito come tutto quanto nel tempo va accumulandosi in queste sale: la conoscenza, il sapere, la sola certezza che ha l’uomo per non dimenticare di esserlo.
Qui oggi ci chiamano all’appello le testimonianze delle Quattro Giornate di Napoli, la mostra intitolata a Ercole che ritorna e che, invece delle mele d’oro, stringe nella mano le bombe che porteranno l’ordine e la libertà. Gennaro Morgese, fotografo del laboratorio di restauro del Museo e ideatore, organizzatore e realizzatore della mostra, peraltro fortemente voluta dal Museo nella persona dal suo direttore  Paolo Giulierini del quale sono noti lo spirito critico, la sagacia, la profonda cultura, è stato ben attento nella scelta dei manifesti e  delle fotografie, le bellissime fotografie da collezione offerte generosamente dal collezionista Gianmaria Lembo.
Ed ecco Napoli dopo l’8 settembre del 1943, preda dei tedeschi divenuti da alleati nemici. L’esercito è disperso, non ci sono capi che prendano iniziative o diano istruzioni. Solo alcuni militari, come il tenente Enzo Stimolo, che tratterà anche le condizioni di resa con i tedeschi, il tenente colonnello Ermete Bonomi collegato al comandante del distaccamento di Materdei, Carlo Cerasuolo, i fratelli Ezio e Tito Murolo guideranno alcuni dei gruppi, di solito organizzati da capopopoli estemporanei quali il professore del liceo Sannazzaro Antonino Tarsia in Curia, gli studenti, quelli della fattoria Pagliarone e tanti altri rimasti anonimi, ma è tutto il popolo che esplode nelle strade e recita la parte che gli è stata assegnata con un unico obiettivo comune: riconquistare quella libertà quasi dimenticata, quella dignità ferocemente vilipesa che il servaggio rischia di far perdere per sempre.
Le Quattro Giornate di Napoli non sono strumento di vendetta, pretesto per innescare nella guerra al nemico anche una personale guerra civile, ma sono una delle più alte manifestazioni di quell’istinto di libertà del quale più volte Napoli dette prova.
Dalle fotografie di Gennaro Morgese, dal bel libro di Gaetana Morgese intitolato La guerra di Mamma, dalla dedica a Maddalena Cerasuolo del Ponte della Sanità da lei salvato,  dai manifesti delle scuole, dai giocattoli di guerra, dalle belle fotografie di Lenuccia che nel grembiale di casalinga retto ai lembi come una borsa per la spesa porta armi agli insorti e li informa dei programmi di nuovi attentati, di tutta quella apparente follia collettiva che in soli quattro giorni cambiò le sorti di buona parte di uno Stato e di una Nazione ci parla la storia.
E’ la stessa storia che ci parla di quei popolani di Napoli che nel 1547, laceri, male armati e soli in Europa, tennero lontano l’obbrobrio dell’Inquisizione spagnola, scendendo in strada non nel nome di un bisogno materiale, ma di un desiderio di libertà dello spirito che vividamente si rinnova nell’impresa più folle, più assurda, più incredibile di fronte alla quale perfino quelle di Ercole rischiano di impallidire: Le Quattro Giornate di Napoli dove nessuna voce si distacca dal coro che sa dimostrare, ancora una volta, al mondo che il servaggio è male di popolo, ed è più colpa dei servi che dei padroni. Lo avevano dimostrato, ancora una volta Masaniello, quelli della Repubblica del 1999, la più ideale delle rivoluzioni settecentesche, e la più autentica e sincera.
Ce ne parlano, e da allora ce ne parleranno sempre, questi giovani martiri che hanno preso dimora presso mausolei e cimiteri e non hanno avuto un posto per loro, un luogo fiorito che ne accogliesse il sonno e a loro ci rivolgiamo, ai piccoli eroi Ciro Capuozzo, 11 anni, Filippo Illuminato, 13 anni, Pasquale Formisano, 17 anni, Mario Menichini, 18 anni; tutti ci rispondono e ci risponderanno: Presente.

Il ponte dedicato alla partigiana napoletana, nel quartiere Sanità
Il ponte dedicato alla partigiana napoletana, nel quartiere Sanità

A loro, come alla città di Napoli, è stata assegnata la medaglia d’oro al valor militare, ma non quel giardino delle Esperidi che avrebbero meritato, con le sue mele d’oro che nelle loro piccole mani si erano trasformate in oggetti di morte. A loro va il nostro grazie e il rimpianto per le loro vite troppo presto perdute: a quei bambini e a quei ragazzi divenuti adulti senza aver avuto l’adolescenza e hanno dato la vita senza averla vissuta, che hanno amato la libertà come  si amano i sogni, ma che non hanno avuto il tempo di imparare l’amore.

Hercules alla guerra, fino al 31 gennaio al Museo archeologico nazionale di Napoli
Per saperne di più
https://www.museoarcheologiconapoli.it/it/2018/09/29-settembre-2018-31-gennaio-2019-hercules-alla-guerra/

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