Un’atmosfera allegramente conviviale, mercoledì scorso, all’apertura del nuovo “Frame” a Napoli, che da piccola galleria d’arte si è trasformata, spostandosi nell’edificio di fronte, in un vasto locale plurisala, che avrà anche plurifunzioni.
Tanta gente, amici di vecchia data della coppia Antonio Mussari e Paola Pozzi, tra cui quelli del vicinato. Dove, in un luogo di mezza collina, al corso Vittorio Emanuele, nei pressi del numero 525, esiste, chissà perché, un folto gruppo di gente pazza per arte e dintorni.
Al Frame diverse le attività in fieri: ancora mostre d’arte, di una fila di artisti importanti, con installazioni digitali particolari dell’artista Pascal, ma anche laboratorio di teatro, cinema, letture…
Non per nulla “ frame” è parola inglese che significa cornice, telaio. Darà supporto a tante iniziative. Ne vedremo delle belle, mosse da quell’attivo motore che è Paola. La quale mi dice: Non voglio la solita galleria con i quadri appesi alle pareti, che stanno lì a farsi guardare da visitatori che vengono il giorno dell’inaugurazione e poi scompaiono. Voglio un locale vivo, nel quale chi ha buone idee e capacità di realizzarle è il benvenuto.
Il locale è stato organizzato e arredato da lei, valente architetto anche di interni: diversi sono gli edifici e le abitazioni che ha creato, a Napoli, in costiera e altrove. Qui, al Frame, appare il suo gusto, che unisce alla praticità un’eleganza non superficiale, espressione della spiritualità del vivere.
Per ora, qui c’è una mostra di belle fotografie degli anni Settanta di Antonio Mussari. “Fermo immagine” si intitola. Ed emblema significativo ne è soprattutto la fotografia della risacca, del momento in cui l’onda del mare che va verso le riva è fotografata mentre si ritira e va indietro: è il ritratto di un istante, quello cercato, individuato e ripreso, forse dopo diversi appostamenti.
Ho guardato queste fotografie prima di conoscerne l’autore. Ho pensato a uno spirito solitario, raffinato, in un certo senso elitario, gentile senza affettazione. Ci sono le fotografie dei suoi viaggi. I cavalli della Camargue bianchi e bellissimi (foto). Uno di loro, solitario, è sullo sfondo ma è quello che attira l’attenzione.
E’ una questione di teleobiettivo- mi spiega poi Antonio. C’è una Francia, di cui si intuisce il ritratto in una fotografia dall’elegante verticalità, una Venezia senza gondole stereotipate ma con il mare e una barca. Un mare che diventa vivissimo in una fotografia astrattizzante.
Ho usato il doppio scatto– mi spiega ancora l’autore Ci sono anche degli straordinari alberi dal fogliame rosso. E ancora Antonio mi dice: Ho usato una semplice pellicola Agfa Crome e una semplice Nikon, che va a prendere e mi mostra maneggiandola con affetto.
Poi mi fa vedere anche una fotografia che non è al Frame. Rappresenta l’Italsider di Bagnoli ancora funzionante: c’è un’enorme aerea nube di fumo che lui è stato capace di trasformare in materia concreta, rilevata com’è dal contorno più scuro.
Questa dell’Italsider è tra le fotografie di una rivista che negli anni Settanta andava per la maggiore, “Nuova fotografia”, in cui un lungo articolo è dedicato a lui, Antonio. Che vi appare come un osservatore e uno sperimentatore. Non per niente ha una laurea in fisica Che non ha molto sfruttata, preso dalla passione per la fotografia che, a quel tempo, lo ha reso celebre. Non si sofferma su un incidente che lo ha bloccato. Comunque ora– confessa- non mi piacerebbe usare la fotografia digitale, è troppo facilitata.
Le fotografie in mostra al Frame (fino al primo luglio) sono come dipinti, opere d’arte che indagano sul mondo dei colori e degli affetti, della luce e delle penombre, rielaborazioni affascinanti che narrano questa o quella storia, che captano quell’irripetibile momento, che è un momento di vita.
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