SHOW, la mostra di diciotto artisti napoletani nella galleria d’arte di Paolo Bowinkel può costituire, nella sua varietà, un allettante invito per critici ed esperti in grado indagarne con competenza il polisemantico linguaggio. Può invece sembrare quasi una provocazione per il visitatore semplicemente interessato e curioso del genere e una sfida a cercare, sotto l’apparenza dei segni, l’elaborazione del pensiero che a volta cela all’artista stesso i suoi percorsi segreti. Libero da impegni di mestiere, il visitatore comune si consente di maturare, se non di esprimere, la sua interpretazione di quanto dalle pareti gli viene incontro, senza tentare giudizi critici e soprattutto senza credere di esser giunto, con la sua analisi, a una universale verità.
Fa da introibo alla mostra il colore di Marco Abbamondi, colore puro, pigmento vero naturale di una land che non accetta misture, variegato nelle nuances delle viole o di certi mari che imbevono un’impronta profonda, un’orma che potrebbe tentare gli esperti del genere a una indagine su chi l’abbia impressa più che sulla sostanza della quale è composta.
Ci riportano ad altri Guerrieri quelli di Fermariello, piccole file di soldatini o figurine da ritagliare ma dei quali lo schieramento da parata militare conferma l’identità. Le sculture di Riccardo Dalisi sembrano esprimere per simboli l’origine storica e leggendaria, forse croce e delizia entrambe, di una città nata per essere regina. Le terracotte di Antonio Ambrosino appaiono come una calda nota di colore presepiale accanto ai corpi inarcati nello Yoga di Lucia Ausilio e i libri di Maya Pacifico sembrano confermarci, ancora una volta, che il bisogno di conoscenza dell’uomo supera i roghi storici dei libri e quelli dei monatti di Fahrenheit dove il genio di Ray Bradbury assicura loro l’eternità mediante la trasfusione nella memoria, purchè sia collettiva e tenace.
L’opera e i colori di Roxy in the Box ci riportano d’emblée alle policrome copertine delle riviste in voga nel secolo scorso, moda che ebbe il suo imbattibile primato nelle Signorine Grandi Firme ideate da Gino Boccasile per la rivista omonima diretta da Pitigrilli.
Il Vesuvio di Lino Fiorito sembra ondeggiare dolcemente sul mare nella luce radiosa di un’eterna mattinata di maggio. Di fronte, un angolo abitato dalla fotografia, quella fotografia-opera d’arte che seppe rendersi, oltre un secolo fa, del tutto autonoma dalla pittura. Nella fotografia di Luciano Ferrara la forma ondosa del Vesuvio si delinea nella essenza luminosa dello sfondo vagamente argentata come di foglie sotto la luna. E’ l’alba del mondo quella che il gabbiano annuncia e solca col suo volo, un mondo innocente colto nella sua incantata epifania ed espresso dall’artista in uno dei suoi simboli, un Vulcano dove vita e morte possono conciliarsi o coincidere.
A fianco, il Matrimonio anacaprese di Maria Regina De Luca. Nella sua calda policromia appena striata d’ombra, la messa in scena sembra catturare un frammento di passato e segnare una pausa nel tempo: un tempo immobile colto nella sua fuggevolezza, che non sarà lo stesso un attimo dopo ma che è il solo dove i personaggi possano occupare con questa grazia austera i posti dove lo studium dell’autrice li colloca, a diverse distanze dalla sposa inginocchiata in un rito ormai perduto sulla quale si addensa candida la luce: il punctum, che colpirà di chi guarda la mente o il cuore.
Nello Show della galleria Bowinkel vi è materia per ore di studio di esperti e di profani interessati e curiosi del genere. Non è facile dare risposte alle molte e complesse domande del canto a più voci di una mostra che apre molte vetrine sul mondo di ieri e su quello contemporaneo, allargandone le percezioni.
E a tal proposito è d’obbligo parlare del primo negozio d’arte aperto a Napoli da Ernst Bowinkel nel 1879 nella allora elegante via del Chiatamone, il primo negozio con vetrine della zona che presentava al pubblico la sua già ricca rassegna d’arte. Trasferito a fine ‘800 a piazza dei Martiri, il negozio d’arte di Bowinkel che continua a essere fonte di ricerca e di confronto su testi, documenti, oggetti e antiche iniziative editoriali che hanno diffuso e diffondono tuttora la conoscenza nel campo dell’arte.
Dal prezioso archivio di famiglia ci viene offerta da Ernesto Bowinkel la fotografia di un inedito Eduardo, appassionato collezionista d’arte, che argutamente sottolineava ad ogni acquisto che la sua firma sotto gli assegni valeva più dell’opera stessa.
Uno dei nipoti di Ernst, Uberto, forte delle esperienze assunte dagli studi ai corsi d’arte universitari di Los Angeles e dalla collaborazione alla galleria d’arte moderna a Beverly Hills, apre a Napoli nel 1974 un negozio a via Santa Lucia. Oggi, nella galleria di via Calabritto, riceve i visitatori entrandovi in sintonia e indirizzandone ed arricchendone la percezione: arte sopraffina dei grandi esperti e mercanti d’arte di un tempo. I Bowinkel, venuti dalla Germania e impiantatisi a Napoli testimoniano la vocazione cosmopolita della città.
Citiamo qualcuna di queste ‘dinastie’, dai Caflisch venuti dalla Svizzera all’olandese Van Bool poi fuso con Feste, dai Gay Odin trapiantatisi dal Piemonte a Gutteridge proveniente dalla Scozia e da tanti altri “forestieri” che, venuti in visita e poi rimasti a Napoli, sono entrati in simbiosi con la città mettendovi radici. Di diversa provenienze, hanno tutti in comune la tendenza a intrecciare rapporti e scambi non solo mercantili con la città, ma culturali, unico mezzo per giungere a una reciproca, ininterrotta crescita che continua a dare i suoi frutti.
Passando a diverse e non minori dolcezze citiamo Guglielmo Cottrau, venuto da Strasburgo a Napoli per ricoprire cariche amministrative e artistiche e del figlio Teodoro che nella sua rivista, Passatempi napoletani, salvò antiche preziose canzoni dimenticate e ne rielaborò molte altre, come quella sull’eterna battaglia navale del Guarracino. Non dimentichiamo i Rothschild, la cui politica creditizia assumeva tendenze diverse a seconda del sovrano da finanziare.
Lasciamo la galleria con l’impegno di tornarvi a cercare quanto ancora quelle fotografie e quei quadri hanno da dire anche ai profani della materia. Portiamo con noi il Vesuvio argenteo di Luciano Ferrara, la incantata scena di un Matrimonio di un tempo perduto, le forti simbologie della nostra città, la vivida impronta dalle sfumature di viole e un po’ di tutto il resto, di tutto quanto un artista offre di sé stesso, anche a chi non sappia leggerne fino in fondo i significati nascosti.