Farfalle è la storia del legame inscindibile tra due sorelle e di tutto il mondo che vi passa in mezzo, con tutta l’ineluttabilità che questo comporta. Due orfane contemporanee, due baluardi contro un insistente flusso di vita che non risparmia loro come non risparmia nessuno.
Scrittura originale di Emanuele Aldrovandi, passata per  New York e già vincitrice del premio Hystrio 2015 e del Mario Fratti Award 2016, che Galleria Toledo ha ospitato con buon successo di pubblico.
Due attrici calate perfettamente nella scrittura, interpreti puntuali di un fare sceneggiatura capace di scavare nella rinnovata poetica teatrale, espressiva e legata alla vita giù dal palco.
Ma andiamo con ordine. Farfalle è un testo del 2013, uscito dalla penna di un autore anagraficamente giovane (e qui l’anagrafe conta poco)  con una produzione già vasta e un curriculum che abbraccia il teatro fin dagli studi universitari in filosofia.
Un testo che con ironia e in forma neppure troppo velata, si lancia con ampie falcate nel territorio della questione di genere che però, pur non rimanendo sullo sfondo, è solo uno degli elementi che invitano alla riflessione.
Perché Farfalle ci dona una carrellata di questioni sulla vita, sui legami affettivi, sulle prigioni d’oro, sull’ineluttabile, sulla scelta, sull’evitabile. 
Due sorelle che troviamo giovani, orfane per la morte della madre e l’abbandono del padre. Due sorelle in gioco con la necessità di creare un legame di ordine superiore per tenere insieme due personalità agli antipodi, evitando la scissione dell’ultimo legame familiare che esiste.
La loro vita è, così, affidata ad un collare a forma di farfalla che ceduto a turno lega le due attraverso prove capaci di influenzare il  loro destino. Chi possiede il collare, di fatto, può con una certezza abbastanza assoluta aspettarsi che l’altra faccia ciò che le viene chiesto, anche quando questo significa stravolgere la loro vita, tenuta assieme al di là delle pieghe che la vicende prende. Per queste scelte ci passa tutta una vita: dal matrimonio alla scelta di avere figli, dalla gestione del tempo quando la tragedia entra nelle vicende delle due, comunque legate alle loro rispettive visioni del mondo.
Due persone che affidano alla farfalla, all’effimero, la pesantezza di scelte che porteranno ad un inevitabile punto di rottura, ad un’infrazione del processo che nessuna delle due voleva causare.
La farfalla, l’effimero, diviene carreggiata per far passare una relazione non esaurita, ma altrettanto aleatoria. Soprattutto l’effimero si fa ancoraggio di una chiusura al mondo che fa delle protagoniste, anche con le loro timide aperture, un sistema non perforabile. 
Ma come si mette in scena tutto questo? Le due donne sono due singolarità, con differenze intrinseche anche sulla visione del mondo, post-emancipate, o emancipate dall’emancipazione, come si dice nello spettacolo.
Libere, ma in una dinamica che ricorda da vicino un po’ le sorelle Macaluso, un po’  le due gemelle, entrambe interpretate dalla Cortellesi, di una nota marca di acqua frizzante.
Il mondo in scena è il mondo creato da loro. Le incursioni di arie da realismo magico ritoccano al rialzo una semplicità dovuta all’assenza di altri protagonisti. Le due attrici in gioco, le due sorelle, sono partecipi, interpreti e creatrici di tutto il loro mondo.
Un mondo che sembra disegnato perfettamente per condiscendere per aderire perfettamente alla dinamica che le lega, consumata in uno scenario totalmente rosso accecante. 
Giorgia Senesi e Bruna Rossi sono le attrici che tutti vorrebbero vedere recitare sempre. Non si completano nel senso classico. Non sono la spalla, la chiusura l’una dell’altra.
Molto diverse tra loro, si calano alla perfezione nei molteplici ruoli che sono chiamate ad interpretare. Dal padre alla matrigna, dal becchino al medico, in una sequela di scene nella scena che non prevede altri attori in campo. Soprattutto sono perfettamente tutto quanto ci si aspetta dalle protagoniste principali. 
La complessità dei personaggi interpretati passa in secondo piano rispetto a una capacità di tenere il palco e l’attenzione del pubblico in maniera egregia.
La dinamica è pensata per non prevedere cali di attenzione. Il pubblico è rapito dal palco rosso sangue, rosso spontaneità, che lascia al lavoro dell’immaginazione il compito poco gravoso di costruire la fisionomia dei personaggi, non incarnati, interpretati dalle due.
Una scelta narrativa che pare dirci una cosa: quello che conta è il rapporto tra le due sorelle, e tutto quello che entra nella dinamica deve passare attraverso la scelta, l’osservazione, la visione, l’interpretazione.
Senesi e Rossi entrano nei personaggi a cui danno anima come se entrassero in  costume.
La scrittura di Aldrovandi ha uno sguardo disincantato sul reale.
Non prende posizioni.
Il gioco di contrasti, il confronto dialogico tra la sorella bionda e la sorella bruna, oltre a creare la più immediata delle divisioni stereotipate, dà la possibilità all’autore di mettere nel calderone discorsi complessi. La leggerezza con cui due donne parlano di emancipazione, di sessualità complessa, di sessualità funzionale, di futilità dei legami umani è il miglior modo per esprimere concetti che per altre bocche susciterebbero proteste, accuse superflue quando di teatro si parla, se è il teatro che effettivamente parla.  Una costruzione di temi incrociati, perfetta nel dialogo esplosivo di due giovani donne.
Le protagoniste di Farfalle sono sia un’invenzione sia una pesca a strascico nella vita. Strappate dalla pelle viva del mondo reale. 
Con la creazione di un mondo pirandelliano un po’ grottesco, Aldrovandi ci dà una prova di vitalità del nuovo teatro, capace con disinvoltura di calarsi attraverso discorsi complessi per aprire squarci utili su un mondo di fuori altrettanto complesso.
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