Dal 21 maggio 2022 ha riaperto a Napoli la sede museale di Gallerie d’Italia di Banca Intesa, Nel palazzo progettato da Marcello Piacentini per il Banco di Napoli, animo economico-finanziario e sociale della città è stato aperto un nuovo grande museo. Il Banco con i suoi archivi custodisce tanta parte della  storia e dell’identità di Napoli e del Mezzogiorno. Carmine Negro conduce lettrice e lettori in un viaggio nella bellezza attraverso i tesori esposti.

Progettato da Marcello Piacentini alla fine degli anni Trenta del Novecento, il Palazzo, già sede del Banco di Napoli, è oggi il nuovo museo che prosegue e amplia l’offerta espositiva e culturale proposta nel vicino Palazzo Zevallos Stigliano dal 1999 al 2022 (Sito web di Banca Intesa)

PRIMA PARTE
RIFLESSIONI
Il 9 maggio, alle ore 12.58, mi viene recapitata una mail che mi invita a partecipare il 20 maggio, alle 12, alla presentazione del nuovo Museo nella sede del Banco di Napoli. Negli anni ho apprezzato molto le mostre svolte a palazzo Zevallos e partecipo con piacere a questa inaugurazione ma mentre rifletto su questa ripartenza i miei pensieri ritornano  su fatti ormai passati, gli stessi che erano stati rievocati quando avevo sentito parlare per la prima volta della chiusura della vecchia sede e dell’apertura del nuovo Museo.
Il ricordo va al dicembre 2002, quando in piazza Plebiscito, Rebecca Horn, presenta la mostra “Spiriti di madreperla” che celebra il fascino delle anime del purgatorio.
L’installazione nasce a seguito di una visita effettuata dall’artista il 25 settembre 2002 a una coppia ultranovantenne nella loro casa della Sanità, al vico Lammatari. In quella occasione viene a conoscenza di un culto molto popolare nella città: quello delle anime del Purgatorio.
Si tratta di anime ignote e abbandonate, i cui crani e ossa sono state ammassati negli anni al Cimitero delle Fontanelle: i devoti si portano in questo luogo, ne adottano un teschio (capuzzella) e se ne prendono cura lucidandolo e pregando per “lui”.
L’installazione in piazza è costituita da 333 teschi fusi in ghisa ed è sormontata da 77 luci al neon circolari. È in quel periodo, in particolare il 31 dicembre del 2002, a seguito anche di turbolenze finanziarie iniziate diversi anni prima che fu fatta la fusione per incorporazione del Banco di Napoli nel Sanpaolo IMI.
Mentre si assisteva alla perdita di autonomia di quello che fu il più grande istituto finanziario del Mezzogiorno, che portava nelle sue radici la storia e l’identità dell’Italia Meridionale, una parte della politica era impegnata a chiudere l’operazione confinandola in un problema di mala gestione e l’altra si intratteneva nella spasmodica lotta alle capuzzelle di Rebecca Horn.
I neon che si levavano verso l’alto sembravano allontanare secoli di autonomia e di civiltà mentre la città sprofondava sempre di più, insieme alle sue capuzzelle, nel baratro. Era questo ricordo a rendere difficile la comprensione di quella trasformazione: il luogo dove si decidevano i destini del sud diventare un Museo.

Sala delle Udienze con i finestroni di alabastro (particolare, ph Negro)

L’INAUGURAZIONE
Il 20 maggio,  alle 11:35, passo attraverso i Quartieri Spagnoli per raggiungere la sede della Banca: da un basso la canzone ad alto volume di Pino Daniele “‘Na tazzulella ‘e cafè” non aiuta molto a liberarmi da alcune perplessità. Mentre percorro l’ultimo tratto del quartiere, sempre brulicante di vita e ultimamente anche cosmopolita, mi propongo di non confondere gli ambiti e che la riflessione di oggi riguarda la proposta di questo nuovo Museo.
L’arrivo su Toledo, la strada più popolosa e allegra del mondo[1], contagia lo spirito perché rende tutti protagonisti: è come trovarsi in un teatro in cui lo spettatore è anche protagonista. Senza le recinzioni che l’hanno tenuto ultimamente prigioniero è possibile vedere il palazzo che ospiterà il museo in tutta la sua monumentalità.
È stato realizzato tra il 1936 e il 1940 su progetto dell’architetto, urbanista e accademico italiano Marcello Piacentini, protagonista sulla scena dell’architettura italiana nel trentennio che va dal 1910 al 1940 e massimo ideologo del monumentalismo di regime di quegli anni.
La dura pietra grigia di Biliemi proveniente da Palermo che costituisce l’austero basamento e la fascia intermedia in travertino sormontato dall’attico di chiusura, contribuisce a dare solennità alla facciata che, dopo la pulizia a cui è stato sottoposta per l’occasione, sembra ancora più maestosa. Persino gli interventi del 1986 di Nicola Pagliara, vasche, foriere e sedili  sembrano essere valorizzati dai nuovi scivoli e dai gradini in ottone che rendono elegante l’ingresso quasi a sottolineare le preziosità che custodisce.
Quando l’ascensore si apre sul secondo piano, luogo della manifestazione,  dall’alto si può osservare lo scalone monumentale reso leggero dalla luce proveniente dalla vetrata di Luigi Parisio: un’osservazione attenta consente di individuare tra le differenti trasparenze e le opacità del vetro immagini che sanno raccontare la storia di una società costruita attorno al banco attraverso i simboli di un’epoca.
Ad accogliere gli invitati è il Salone delle Assemblee: uno spazio elegante a doppia altezza con volta cassettonata; rivestito con marmi provenienti dall’Etiopia è pervaso da una luce calda che filtra dalle lastre di alabastro supportate da distinti e raffinati finestroni. A moderare la manifestazione è il direttore del Mattino Federico Monga, che ricorda lo scrittore Pamuk e la sua concezione di museo, un luogo “dove il tempo diventa spazio[2]
  Il presidente emerito di Banca Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, che collabora a progettare e realizzare il Progetto Cultura, ricorda che la sede delle Gallerie d’Italia di Napoli nei 15 anni di attività è diventata uno dei luoghi di riferimento dell’offerta culturale della città e che oggi con la nuova sede di 10.000 metri quadri gli spazi sono triplicati.
«Nel luogo in cui ci troviamo si possono rintracciare le radici più antiche del nostro gruppo e in questa area fu costituito nel 1597 il Banco di San Giacomo e Vittoria che insieme ad altri banchi sarebbe confluito nel costituito il banco di Napoli entrato poi a far parte del gruppo Intesa San Paolo. Diventa questo palazzo un museo di Intesa Sanpaolo e riconsegnato alla città”. Il Presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro illustra gli indicatori di esercizio nel Meridione: i risultati ottenuti descrivono l’istituto che presiede come la banca più grande del Mezzogiorno, sia per i depositi dei correntisti che per gli impieghi nel mercato”. “La cultura – continua – è uno degli elementi della crescita e diventa più importante ancora in Italia, che ha il più grande patrimonio culturale al mondo. Noi investiamo perché sappiamo che c’è un ritorno economico non solo sociale. Per questo crediamo nell’apertura di questo nuovo spazio espositivo, cheha portato qui oggetti importanti come i vasi attici che provengono dalla Puglia ed erano a Vicenza».
Il sindaco di NapoliGaetano Manfredi, dopo aver ringraziato Intesa Sanpaolo per questo grande investimento culturale in città, fatto in un momento particolare quando gli investimenti nella cultura sembrano essere essenziali per le risoluzioni di problematiche di carattere sociale, ricorda la storia di questo edificio. Prima ancora di essere ricostruito dal Piacentini era un tutt’uno con l’edificio alle spalle, Palazzo San Giacomo, storica sede del Municipio di Napoli.
Michele Coppola, il direttore delle Galleria d’Italia, nel suo intervento sottolinea il grande impegno del gruppo nel portare avanti con dedizione i lavori dell’edificio che, malgrado le difficoltà legate alla pandemia, sono durati soltanto ventidue mesi.
«Napoli ha il futuro di capitale della cultura permanente del Mediterraneo. Qui c’è la bellezza dell’arte ma anche la verità della città che accoglie tanti turisti dal mondo senza smarrire le proprie origini, la propria autenticità». Lo ha detto il ministro della cultura Dario Franceschini nell’intervento che conclude la conferenza per l’apertura della nuova Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo a Napoli. E nell’annunciare che Napoli sarà capitale del Mediterraneo anche con la presenza degli esponenti della cultura dei governi dell’area dichiara: «Il 16 e 17 giugno portiamo i ministri della cultura del Medio Oriente e dei Paesi del Nord Africa, per continuare con loro il dialogo. Non c’è un momento storico più importante di questo, in cui la cultura va contro l’odio e alimenta i rapporti reciproci».

LA STORIA
Le radici più antiche del Banco di Napoli, istituto di credito di diritto pubblico, si fanno risalire alla fondazione del “Sacro Monte di Pietà”, sorto a Napoli nel 1539 ad opera di un gruppo di nobili napoletani con l’intento di concedere prestiti gratuiti su pegno a persone bisognose. Qualche anno dopo l’attività si amplia: comincia a ricevere depositi e si trasforma così in esercizio bancario.
Dopo alcune sedi provvisorie, nel 1597 il Monte di Pietà di Napoli acquista il palazzo dalla vedova di Girolamo Carafa, lo demolisce e lo ricostruisce su disegno dell’architetto Giovan Battista Cavagni.
E, a proposito di arte, nella piccola cappella aggiunta al palazzo, motivo di pregio dell’architettura, lavorarono artisti come Michelangelo Naccherino, Pietro Bernini, Belisario Corenzio e Fabrizio Santafede. In particolare, le statue della Carità e della Sicurtà, scolpite da Bernini nel 1601, rappresentano due piccoli orfani appena vestiti di stracci tenacemente attaccati alla madre Carità, mentre la Sicurezza invita alla fiducia.
Ciò nonostante sì è pensato di alienare questo bene dalla valenza fortemente identitaria attraverso una discutibile operazione di vendita. Da studi recenti è emerso che le origini del Banco di Napoli pare siano ancora più antiche: progenitore del Banco di Napoli fu la “Casa Santa dell’Annunziata”, la cui cassa di depositi e prestiti eseguiva operazioni fin dal 1463, quindi ben nove anni prima di quel 1472, data di inizio delle attività della prima Banca in Italia: il Monte dei Paschi di Siena.
I “Monte di Pietà” furono istituiti da gruppi di benefattori aristocratici e benestanti per sottrarre i poveri dall’usura con prestiti su pegno senza interessi.
La tradizione, comunque, vuole che il Banco di Napoli sia sorto dall’unione di otto istituti: il Sacro Monte di Pietà (1539), il Sacro Monte dei Poveri (1563), il Banco della Santissima Annunziata (1587), il Banco di Santa Maria del Popolo (1589), il Banco dello Spirito Santo (1590), il Banco di Sant’Eligio (1592), il Banco di San Giacomo e Vittoria (1597), il Banco del Santissimo Salvatore (1640). Nel 1794 Ferdinando IV di Borbone riunì tutti i banchi pubblici nel “Banco Nazionale di Napoli”.

Dopo successive soppressioni e fusioni attuate dal regime napoleonico di Gioacchino Murat, i banchi confluirono nel 1809, nel “Banco Nazionale delle Due Sicilie”. Con la proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, diventa “Banco di Napoli”
Fino al decreto del 6 maggio 1926 il Banco di Napoli è istituto di emissione; da quella data è definito Istituto di Credito di Diritto Pubblico. Nel 1991 si attua la “Legge Amato” di trasformazione da Istituto di Diritto Pubblico a Società per Azioni. A fine 2002, per effetto della fusione per incorporazione, il Banco è stato assorbito in Sanpaolo IMI.
Per l’architetto Michele De Lucchi, fondatore dell’Amdl Circle[3], docente universitario e designer, che ha firmato il progetto di riqualificazione di Palazzo Piacentini, lavorare in una sede importante come la sede del Banco di Napoli vuol dire confrontarsi con una narrazione stratificata un luogo che custodisce in se la storia economica e sociale di un territorio.
Napoli, afferma De Lucchi, è una città particolare, è la prima capitale d’Italia unica non solo per le opere d’arte, ma per il modo di vivere. «Qui la qualità della vita non è il lusso, ma il saper vivere. Una città umana». Tornando alla storia di palazzo Piacentini, non si può fare a meno di non parlare di quegli  edifici che si sono succeduti in quello spazio urbano che, come ci ha ricordato il sindaco, condividevano la storia con la costruzione del palazzo del Comune di Napoli. 
Nel 1540 fu costruita la chiesa di San Giacomo degli Spagnoli annessa a un preesistente ospedale. Nel 1597, alcuni nobili iberici, per venire incontro alle necessità finanziarie della popolazione di quella nazione, fondarono il Banco di San Giacomo e Vittoria, con sede all’interno dell’edificio che già ospitava l’ospedale e la chiesa.
L’ospedale fu poi abbattuto nel 1817 per costruire l’imponente Palazzo dei Ministeri di Stato borbonici progettati da Stefano Gasse e il Banco acquisì la proprietà della parte rivolta verso via Toledo dell’imponente palazzo. Il lato di San Giacomo era stilisticamente simile all’altro che si affacciava sulla strada ma più basso di un piano e con un portone in meno; in compenso godeva della vista su Toledo, strada importante della città. Lungo il prospetto dell’edificio si affacciavano, le vetrine di diversi negozi: “I ricami di Napoli”, la gioielleria “Cinque e De Simone”, la calzoleria “Radice”, la profumeria “Arène”, il bar “Jolanda”.
Tra le vetrine anche l’altro portone, quello di destra, l’imbocco della Galleria Gasse, un corridoio-passaggio a vetri, molto luminoso che anticipava più o meno di quarant’anni la moda italiana delle Gallerie in ferro e vetro e permetteva di scendere da via Toledo direttamente sulla piazza del Municipio, all’epoca Largo di Castello.
Tra il 1936 e il 1939, su progetto dell’architetto Marcello Piacentini è stato realizzato per la sede principale del Banco di Napoli l’edificio odierno che riconduce al classicismo romano, rivisitato in chiave moderna. Per De Lucchi, chiamato da Banca Intesa Sanpaolo a strutturare l’esposizione nelle Gallerie d’Italia: «La cultura contemporanea si evolve grazie alla multidisciplinarietà e alla multifunzionalità, che necessitano soprattutto di spazi e strutture altamente flessibili e adattabili. Esse vivono di eventi e manifestazioni temporanee che non pretendono alcuna durabilità nel tempo. Richiedono però solide basi culturali su cui costruire l’impermanenza del futuro. Il luogo dell’arte è quindi un palcoscenico dotato di un retropalco ricco della storia passata e una macchina scenica altamente prestante che gestisce le stravaganti scorribande generate dalla immaginazione dei contemporanei».
Senza snaturare la stessa natura dell’edificio, l’architetto De Lucchi ha realizzato degli spazi estremamente fruibili per il visitatore, secondo i moderni criteri museografici con le opere pregevolmente esposte ed illuminate. Quando in una intervista gli è stato chiesto come ha fatto a progettare spazi espositivi per epoche tanto diverse tra loro ha risposto che: “è stato molto stimolate. Ho studiato e fatto delle scoperte: l’arte antica si incornicia per attrarre l’attenzione nel fuoco dell’immagine, e invece quella del Novecento si amplifica nello spazio, ha bisogno di invadere il contesto nel quale si trova[4]”.


La vetrata di Luigi Parisi. Sopra e al centro, lo scalone monumentale e l’intervento di Franceschini alla conferenza stampa (ph Negro)

NOTE

[1] Stendhal

[2] Ferit Orhan Pamuk (Istanbul, 7 giugno 1952) è uno scrittore, accademico e saggista turco  Premio Nobel per la letteratura nel 2006 esprime questo concetto nel romanzo Il museo dell’innocenza (Masumiyet Müzesi, 2008), trad. Barbara La Rosa Salim, Torino, Einaudi, 2009.

[3] Amdl Circle acronimo Architetto Michele De Lucchi  con CIRCLE è un gruppo di progettisti esploratori, innovatori interdisciplinari.  Nella realizzazione del progetto sono inclusi artisti, antropologi, umanisti, psicologi, futurologi e ogni personalità che possa contribuire all’eccellenza del progetto stesso.

[4] Repubblica Napoli sabato 21 maggio 2022 pagg. 2-3

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