Dal mese scorso ha riaperto a Napoli la sede museale di Gallerie d’Italia di Banca Intesa. Il Nuovo Museo affacciato nella vivace e centrale via Toledo amplia lo spazio espositivo e si rinnova con la presentazione di proposte inedite: una raccolta di ceramiche attiche e un’importante selezione di opere del Novecento. Ce ne parla Carmine Negro che ha già guidato lettrici e lettori la settimana scorsa all’inizio di questo viaggio alla scoperta dell’arte e della storia.
SECONDA PARTE
Le collezioni: la sezione archeologica
Al secondo piano, poco lontano dalla Sala delle udienze, troviamo l’itinerario espositivo dedicato alla sezione archeologica, costituita da ceramiche attiche e magno – greche. Si tratta di 500 esemplari della storica collezione Caputi, trasferita da Vicenza a Napoli in accordo con le Soprintendenze competenti.
La collezione nacque per iniziativa dall’arcidiacono Giuseppe Caputi che a Ruvo di Puglia, nell’attuale provincia di Bari, contemporaneamente ad altri appassionati collezionisti del luogo, intorno al 1830, iniziò a raccogliere alcuni dei vasi figurati che erano venuti alla luce dagli scavi condotti nei fondi di sua proprietà; il suo operato fu continuato dal nipote Francesco Caputi. I reperti, prodotti da grandi artisti che operavano nelle botteghe ceramiche d’Atene e dell’Italia meridionale nel V-III secolo a.C., venivano acquistati dall’aristocrazia di Ruvo di Puglia del tempo come bene di prestigio per arricchire il corredo che accompagnava il defunto nella sepoltura.
Sono in genere contenitori per liquidi, cibi e unguenti che uniscono all’uso pratico l’alto valore storico e artistico. Rappresentano una testimonianza preziosa dell’alto livello raggiunto dall’artigianato greco e magno – greco, che attraverso oggetti, forme e immagini, comunica i valori e i contenuti della società in cui si trova ad operare ma anche la straordinaria raffinatezza culturale della ricca società del luogo, che si identifica con il mondo della grecità e che ne acquisisce i prodotti più ricchi e costosi, sia dalle officine ceramiche della madrepatria, sia da quelle che si sono sviluppate sulla costa jonica.
Uno dei capisaldi della legislazione borbonica consisteva nella facoltà dello Stato di esercitare il diritto di prelazione sul materiale archeologico rinvenuto entro i confini del Regno di Napoli. Le opere acquisite venivano conservate nel Real Museo Borbonico di Napoli, spazio espositivo per eccellenza di tutta l’Italia Meridionale. Per questo motivo ritroviamo nelle raccolte dell’attuale Museo Archeologico Nazionale (Mann), una collezione importante di materiali alle culture fiorite, in epoca antica, nel territorio dell’attuale Puglia.
Ci furono comunque delle eccezioni. Giovanni Jatta, magistrato e archeologo di Ruvo, afferma che durante gli scavi di ampliamento delle cantine di Palazzo Caputi intorno al 1814, furono trovati da Matteo Caputi vasi dipinti e una tomba raffigurante miti greci.
L’intero corredo fu venduto all’ambasciatore inglese presso il Regno di Napoli, Sir. William Temple[1] che acquistò un gran numero di reperti provenienti dal territorio di Ruvo donandoli in seguito al British Museum[2]. Un’altra eccezione è la collezione ceduta dagli eredi nel 1920 al marchese Orazio de Luca, imparentato con la famiglia Caputi, che la trasferì a Roma. Negli anni Cinquanta del Novecento l’intera selezione fu acquistata dall’ingegner Giuseppe Torno, che la conservò a Milano. Successivamente, alla fine degli anni Novanta, l’intera raccolta, insieme ad altri vasi antichi acquistati da Torno è entrata a far parte del patrimonio artistico di Banca Intesa.
Capolavoro della collezione è la splendida “hydria kalpis” attribuita al Pittore di Leningrado (V secolo a.C.). Il rinvenimento è stato segnalato da Giovanni Jatta nell’articolo pubblicato il 19 marzo 1876 in “Notizie degli Scavi di Antichità”. Lo studioso riferisce che, nei primi giorni di febbraio, il nobile Francesco Caputi rinvenne in un suo fondo situato nella contrada Arena «due tombe greche contenenti vasi dipinti di varia forma e grandezza». Tra questi lo Jatta ricorda in modo particolare un «vaso a tre manici» a figure rosse con una rappresentazione insolita: «sono raffigurati tre giovani vasai, intenti a dipingere dei grandi vasi e in procinto di essere incoronati da Athena[3] e da due Nikai[4]. Sulla destra è una giovane donna, anch’essa intenta a dipingere un grande vaso, che sembra essere isolata dalla scena principale»[5].
In un secondo articolo del 22 marzo 1876 Giovanni Jatta, afferma che l’hydria attica con la raffigurazione di una bottega di vasai, è stata rinvenuta in una tomba contenente una deposizione femminile che ha restituito, tra i vari oggetti, numerosi pendenti in ambra figurati, fibule in argento e aghi crinali in argento e osso:
«Questo pensiero … è nato in me dopo aver conosciuta la intera autopsia della tomba … Essa apparteneva ad una donna, e di ciò fanno pruova aghi crinali, orecchini, fibule di argento, e preziosi lavori in ambra nella medesima rinvenuti. Un vaso seppellito con la donna (che fu probabilmente la stessa che vien ritratta in esso) non poté certamente servire ad indicarne la inferiorità nell’arte; … viene forse a rivelarci la destinazione del vaso in discorso[6]…».
L’intricata vicenda delineata dai documenti d’archivio, sembra indicare che nella sepoltura di una ricca principessa esponente dell’élite peuceta[7] del V e IV secolo a.C. furono deposti insieme vasi come l’hydria attica con ceramografi (pittori di vasi) ed un ricco corredo di ambre.
Nella tomba, scoperta nei fondi Caputi nel 1876, infatti, si trovarono, oltre a vasi, numerosi pendenti del raro e prezioso materiale a cui venivano attribuite proprietà terapeutiche e magiche. I reperti furono smembrati al momento del ritrovamento ed ebbero una storia distinta: i vasi entrarono a far parte della collezione Caputi, mentre le ambre e altri ornamenti furono acquistati dal Ministero della Pubblica Istruzione e assegnati al Museo Archeologico di Napoli.
Nel percorso espositivo di Napoli, accanto alla collezione di Banca Intesa sono presenti alcuni reperti provenienti dal Museo Archeologico di Napoli: consentono di riunire e dunque di mettere a confronto le principali eccellenze artistiche restituite dal territorio. Prima di andare via sono colpito da una decorazione pittorica che descrive una scena di toilette ricca di particolari. Al centro della rappresentazione è raffigurata la padrona seduta e vestita di un chitone trasparente; è fiancheggiata da due ancelle che le offrono una cassetta porta gioie e la proteggono con un parasole.
La donna è raffigurata nell’atto di specchiarsi in uno specchio circolare con manico nell’attesa di farsi acconciare i capelli che, come suggeriscono le ciocche arruffate e scomposte, sono ancora da pettinare. Platone ci ricorda che Il comportamento umano scaturisce da tre fonti principali: desiderio, emozione, e conoscenza. I vasi, con i loro minuziosi disegni, raccontano la vita di altri tempi e qualche volta storie senza tempo.
L’allestimento dei reperti, presentati in bacheche di vetro temperato e acciaio, collocati su ripiani a tre vetrine tipico del gusto espositivo ottocentesco, è stato curato da Fabrizio Paolucci.
Opere del Novecento
Sempre al secondo piano una selezione di opere che vanno dal dopoguerra al contemporaneo arricchisce le collezioni permanenti di una nuova sezione:
Il Novecento. Sono Autori di primo piano del XX secolo che hanno mostrato interesse per Napoli, per il suo ambiente culturale e che la città ha saputo ricambiare con quella forte vocazione che la rende tutt’oggi un’importante crocevia dell’arte contemporanea. La sezione, curata da Luca Massimo Barbero, intitolata “Vitalità del tempo“, invita a riflettere sull’arte che sviluppa e mantiene la sua vitalità attraverso chi la guarda, la studia, la scopre con nuovi significati nel tempo.
Le luci soffuse della prima sala accompagnano le diverse espressioni dell’acromia: “Il Monocromo come spazio ideale di un nuovo inizio”. Al centro una scultura in marmo bianco realizzata nel 1964 dallo scultore belga Georges Vantongerloo dal titolo Costructions dans la sphere; con le sue opere astratto-geometriche è stato uno dei pionieri della scultura moderna in Europa. Tutt’intorno opere di Alberto Burri, Piero Manzoni, Castellani, Fontana a testimoniare ciò che il monocromo rappresenta per le avanguardie: la ripartenza, uno schermo su cui agire con un unico colore e lievi segni.
Jannis Kounnellis, presente con Senza Titolo del 1963, mentre fa affiorare dal monocromo una barca, la mitologia del viaggio, indica il percorso della nuova arte contemporanea italiana.
L’esplosione di colori caratterizza il secondo ambiente: “Pittura come gesto. Materia e colore”. Artisti come Afro, Richter e Rotella, riuniti in quello che viene chiamato Informale, si esprimono attraverso il gesto del dipingere che diventa azione e coinvolge il colore come una nuova e densa materia.
Gerhard Richter, considerato uno dei protagonisti dell’arte contemporanea, è presente con Abstraktes Bild del1984: attraverso le azioni di stendere, togliere e raschiare il colore riproduce una pittura che sa sintetizzare in una grande immagine, magistralmente dipinta, tutta la forza della storia dell’arte astratta.
È il “Il Mistero e la Bellezza del quotidiano”, a raccontare quel movimento internazionale dedicato alla figura e agli oggetti di ogni giorno e alla vita quotidiana conosciuto come Pop Art. In America si identifica con immagini legate al consumismo, alla vita che esce dal supermarket e dal cinema, mentre in Italia fa riferimento alla bellezza degli oggetti di uso quotidiano, a ciò che si incontra in città, ad un monumento, al paesaggio italiano.
È rappresentato da artisti come Mario Schifano, Mario Ceroli, Cesare Tacchi, Aldo Mondino. Ernesto Tatafiore con Campi Flegrei narra la grande storia partenopea mentre per Giosetta Fioroni un particolare della Venere di Botticelli si moltiplica nella bellezza della classicità e della storia per presentarsi come un’icona moderna d’argento.
La Sala successiva l’”Opera come icona concettuale” presenta la corrente artistica denominata Arte Concettuale definita in Italia da Germano Celant come Arte Povera. Qui la composizione artistica, non più legata ai canoni della pittura e della scultura, stimola il pensiero dello spettatore, guidandolo verso un concetto che essa vuole racchiudere o rappresentare.
Nell’opera realizzata a ricamo Mappa di Alighieri Boetti l’artista riunisce i temi del viaggio, del tempo e dell’artigianato; in questo modo narra le modifiche, l’espansione, il cambiamento della geografia e della politica, ma soprattutto del destino mutevole degli esseri umani.
A rappresentare questo movimento, oltre alle opere di Zorio e Paolini, c’è Mario Merz che, attraverso schematiche e sintetiche tavole ispirate alla serie numerica del matematico del XIII secolo Leonardo Pisa detto Fibonacci, ci conduce alla costruzione di una spirale.
La geometria, il rapporto tra la costruzione matematica e la tridimensionalità, l’essenza delle forme, sono temi centrali nella ricerca artistica, dalle avanguardie del XX secolo, nel secondo dopoguerra, fino all’arte contemporanea. A rappresentare questo segmento espositivo denominato Strutture Primarie, artisti come Vincenzo Agnetti, Alberto Burri, Giuseppe Uncini.
Sol Lewitt, protagonista dell’Arte minimale e concettuale, idea e progetta immagini grafiche tracciate con linee, perimetri descrittivi e geometrici che diventano grandi sculture o installazioni, in una interazione con lo spazio che diviene architettura.
Lewitt è presente in mostra con la scultura Complex Form, costituita da cinque piramidi composte da cubi sovrapposti ed uno straordinario Wall Drawing #340A, eseguito appositamente per le sale delle Gallerie d’Italia: mentre i dipinti murali, costituiti da moduli geometrici disposti a formare un disegno possono mutare ed adattarsi alla struttura che li accoglie, lo spazio vive del segno e della forza delle strutture primarie che, al tempo stesso, uniscono il progetto con l’ambiente e si confrontano con lo spettatore.
L’iconico specchio di Pistoletto, i due Vesuvius di Andy Warhol ed una lunga e sottile teoria di fotografie di Luigi Ghirri, sono gli altri componimenti artistici che completano questa interessante sezione.
Le sale che contengono le opere di Arte contemporanea si aprono su via Toledo e i finestroni consentono di entrare direttamente nella superficie dei vicoli, uno spazio che sembra cristallizzato nel tempo. Fu abitato, durante le sua permanenza a Napoli, da un altro sperimentatore che lasciò un forte segno nella vita artistica della città: Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi.
Il vicolo con i panni stesi, quell’intreccio di personaggi presi dalla strada, il forte contrasto di luci, la composizione complessa e rivoluzionaria, la capacità di rappresentare una visione diretta della realtà, rimanda alla tela “Le opere della Misericordia”, capolavoro senza tempo realizzato per la Cappella del Pio Monte.
Il compenso per il dipinto fu corrisposto attraverso il Banco di Sant’Eligio, una delle banche che Ferdinando IV di Borbone prima caricò di debiti e poi, nel 1794, fece confluire nel Banco Nazionale di Napoli, progenitore del Banco di Napoli; ora quell’antico istituto di credito rappresenta una delle radici di Banca Intesa.
Il Banco di S. Eligio svolgeva la propria attività a piazza Mercato in passato un territorio di grande vivacità economica sia per il commercio che le attività produttive. L’istituto di credito aveva come sede delle proprie attività uno dei luoghi più interessanti e particolare della città: lo straordinario Complesso di S. Eligio[8], un edificio che malgrado le inaccettabili e massive sottrazioni di opere d’arte porta incise nelle sue mura le impronte del tempo con i segni dello sviluppo e della civiltà.
A incarnare l’antica vitalità economica, la capacità decisionale di un territorio ma anche l’odierno senso di indolenza e di abbandono di uno spazio incredibile: la Sala del Governatorato.
Questo spazio decisionale del Banco, luogo di accoglienza dei reali che dai balconi potevano assistere all’incendio del Campanile durante la festa del Carmine, malgrado la perdita delle tele del soffitto e di altri addobbi preziosi riesce ancora ad affascinare con i suoi affreschi su “La Gerusalemme Liberata”.
Gli alunni della scuola del territorio cercarono con un video[9] di far conoscere questo tesoro abbandonato e sottrarlo dal cono d’ombra che da anni lo tiene prigioniero ma senza successo. Banca Intesa potrebbe cercare con il programma Restituzioni di aiutare a riportarlo in vita, restituirlo alla fruizione, rinsaldare il vincolo con la città restituire a se stessa e alla comunità una vecchia radice. Sarebbe un bel modo per ricordare il passaggio di Caravaggio in città e condividere la storia della città.
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(2.continua)
NOTE
[1] Andrea C Montanaro Ruvo di Puglia e il suo territorio : le necropoli Roma : L’Erma di Bretschneider, [2007] pag. 279
2] La collezione attualmente è esposta nella Room 73 del British Museum di Londra
[3]Atena è la dea greca della sapienza, delle arti e della strategia in battaglia. Dea guerriera e vergine, una delle più rispettate, ha varie funzioni: difende e consiglia gli eroi, istruisce le donne industriose, orienta i giudici dei tribunali, ispira gli artigiani e protegge i fanciulli. Ma quando è in collera, questa dea può diventare spietata.
[4]Sul vaso due Nikai, impersonificazione della vittoria, emissari della dea Atena, con le ali si avvicinano a due vasai della bottega con in mano corone d’alloro.
[5] Andrea C. Montanaro Tipologie tombali e contesti funerari a Ruvo di Puglia. Il corredo della “Tomba dell’hydria dei vasai” Academia.edu/1066332 pag. 100
[6] Andrea C. Montanaro Opera citata pag. 103
[7] I Peucezi, o Peuceti furono un’antica popolazione che abitava in un territorio che, a grandi linee, corrisponde a quello dell’attuale regione Puglia
[8]http://www.larassegnadischia.it/rassegna2015/rass03-15/sant-eligio.pdf
[9]https://www.youtube.com/watch?v=t54BerJ54es
Quasi tutte le foto della pagina sono di Carmine Negro. Qualcuna (della collezione archeologica, e quella dell’opera di Giosetta Fioroni) fa parte della cartella stampa di Banca Intesa