La pittura è una professione da cieco:/uno non dipinge ciò che vede, /ma ciò che sente,/ciò che dice a se stesso riguardo a ciò che ha visto.
Pablo Picasso

Apre il 2 giugno in via Toledo nella sede napoletana delle Gallerie d’Italia una mostra su un maestro dell’arte italiana dal titolo “Mario Schifano: il nuovo Immaginario.1960 -1990. Oggi, primo giugno, conferenza stampa alle 12. Inaugurazione stasera dalle 19,30 alle 21,30. Ingresso libero.

Il nuovo museo delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo di Napoli è stato aperto al pubblico il 21 maggio 2022, nella prestigiosa sede del Banco di Napoli di via Toledo. Per festeggiare il suo primo anno di attività ha organizzato ed allestito una grande mostra dedicata ad uno dei pittori italiani più conosciuti dal grande pubblico. Si tratta di Mario Schifano considerato il principale esponente della Pop art italiana ed uno dei grandi protagonisti della scena artistica italiana a partire dagli anni Sessanta.
L’esposizione, curata da Luca Massimo Barbero, presenta oltre 50 lavori della produzione dell’artista nel periodo che va dagli anni Sessanta agli anni Novanta. Le opere provengono dalla Collezione di Intesa Sanpaolo e da importanti istituzioni culturali come il Museo del Novecento di Milano e la Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia, oltre che da gallerie d’arte e collezioni private nazionali ed internazionali. La realizzazione della mostra si è avvalsa della collaborazione dell’Archivio Mario Schifano.
Nato a Homs, città della Libia italiana nel 1934, dove il padre, di origine siciliana, era un impiegato del ministero della Pubblica Istruzione, Schifano torna a Roma dopo la fine della guerra. La sua personalità irrequieta lo porta a lasciare presto la scuola e ad entrare nel mondo del lavoro come commesso.

Mario Schifano, Mario Schifano, Picasso in TV, 1974-1975,Terni, Collezione Tonelli (logo della mostra). In copertina, la sede napoletana delle Gallerie d’Italia Intesa San Paolo in via Toledo (foto di Carmine Negro)


Successivamente attraverso il padre, che lavora al museo etrusco di Villa Giulia, come archeologo e restauratore, si avvicina al mondo dell’arte. In un primo periodo esegue opere che si rifanno all’Arte Informale che si  caratterizza per il rifiuto di qualsiasi forma, figurativa o astratta. L’Informale è una concezione un po’ ribelle dell’arte, in quanto “rifiuta la forma” per intervenire direttamente sulla materia con un segno espressivo e un gesto spontaneo, anche se non va intesa come “non forma“.
Sul finire degli anni cinquanta, assieme ad artisti come Francesco Lo Savio, Mimmo Rotella, Giuseppe Uncini, Giosetta Fioroni, Tano Festa e Franco Angeli, partecipa al movimento artistico Scuola di Piazza del Popolo con cui condivide le nuove ricerche postinformali. Il gruppo si riunisce al Caffè Rosati, un bar frequentato allora fra gli altri da Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia e Federico Fellini, situato proprio in quella piazza del Popolo, da cui prende il nome. Nel 1960 i lavori del gruppo vengono esposti, in una mostra collettiva, presso la Galleria La Salita.
La sua ricerca, nel primo periodo, è caratterizzata da una pittura monocroma, densa, che in parte sembra richiamare il suo lavoro di restauratore di opere antiche nel museo di Villa Giulia. Si tratta di opere informali, che hanno una caratteristica che ritroviamo nel ciclo dei Monocromi: dar vita a superfici di colore uniforme che rappresentano il grado zero di ogni possibile evento.
Il percorso espositivo parte proprio da queste prime opere monocrome rarissime che oggi fanno parte del patrimonio artistico del Gruppo Intesa Sanpaolo e che sono state riunite per la prima volta in questa occasione. Si tratta di grandi tele, che si propongono come spazi pittorici che rimandano all’idea degli schermi cinematografici. Ben presto questi schermi diventano spazi in cui entrano in scena segni urbani e immagini pubblicitarie.
In questa sezione di quadri si trova la Grande pittura del 1963 un’opera ironica e geniale, in cui è rappresentata una parete mezza dipinta di bianco con davanti un asse sospeso con delle corde a cui è agganciato un barattolo di vernice.
A seguire altre  opere con elementi pop come Segno d’energia del 1965, dove campeggia il logo della Esso o il dipinto Coca Cola che l’artista dedica alla famosa bibita statunitense. Schifani inizia a lavorare alla serie intitolata Coca-Cola negli anni sessanta, all’età di circa 30 anni; la sceglie perché simbolo feticcio della cultura giovanile e consumistica statunitense e mondiale. Nell’opera impiega solo una parte della scritta, trasforma il marchio in un oggetto estetico mentre con il colore e la forma delle lettere la rende riconoscibile. I soggiorni americani e le influenze di artisti come Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jim Dine e Andy Warhol si rivelano di fondamentale importanza per il passaggio della pittura di Schifano dalle istanze informali ad una figurazione legata all’iconografia Pop e massmediatica. Schifano ha fatto il suo primo viaggio a New York nel 1962; vi torna alla fine del 1963 e vi resta sei mesi. Nel 1970 viaggia di nuovo attraverso gli Stati Uniti, arriva fino alla California, alla ricerca di locations per un film, Laboratorio Umano, che non ha mai realizzato.
È stata Ileana Sonnabend a “importare” Schifano in America. Nel 1961 la Sonnabend frequenta Roma con l’intenzione di aprirvi una galleria, durante la sua permanenza in città visita una mostra e rimane colpita dalle opere del pittore a cui offre un contratto in esclusiva. Già dopo il primo soggiorno americano Schifano si avvicina alle istanze Pop, e la Sonnabend, che aveva puntato soprattutto sui  monocromi, non accoglie con favore la svolta neofigurativa. Questo fatto, unito alle ripetute violazioni del contratto da parte dell’artista, che continua a vendere anche “in proprio”, porta allo scioglimento del rapporto stipulato meno di un anno prima.
Dopo il debutto nell’ambito dell’Informale e la fase dei “monocromi”, con la sua prima serie di Paesaggi anemici, presentati alla Biennale di Venezia del 1964, affronta il tema della memoria. Negli eterei paesaggi, dominati dalla smaterializzazione del colore, il mondo naturale viene evocato attraverso segni particolari dell’immagine mentale: il ricordo.
Ed è sempre la memoria il tema alla base del quadro Futurismo Rivisitato, opera che diede origine a un celebre ciclo omonimo. Si tratta di un omaggio sincero a un’immagine culto dell’arte italiana e dell’Avanguardia storica particolare, quella del mitico gruppo dei futuristi, vestiti alla moda con tanto di bastone e bombetta, immortalati a Parigi in una fotografia del 1912 che l’artista trasforma nel suggestivo soggetto e punto di partenza della propria opera. Trasformati in sagome senza volti, i cinque futuristi in posa conservano la propria riconoscibilità, emergendo dal passato come emblemi della straordinaria stagione di ricerca di cui erano stati artefici. Schifano sceglie di lavorare su una fotografia del gruppo, e non invece su un singolo capolavoro futurista, per sottolineare l’immutata attualità della loro esperienza.
Dopo il Futurismo rivisitato, dedicato ai Maestri di quel movimento come Giacomo Balla, Gino Severini e Carlo Carrà che introduce il tema del movimento della figura umana il percorso espositivo procede con alcuni capolavori dedicati ai grandi paesaggi italiani come Ultimo autunno del 1964, opera fondamentale della Collezione Intesa Sanpaolo e Il vento era il fiato che usciva dagli alberi, composto e salubre del 1965.
Verso la metà degli anni Sessanta realizza dei film sperimentali con pellicole da 16mm e 35mm e affianca questa produzione a quella di quadri con i suoi temi più conosciuti come Ossigeno-ossigeno, Tutte stelle, OasiCompagni-compagni del 1968.
L’uso di sostanze stupefacenti, a partire dagli anni Sessanta, ha pesanti risvolti giudiziari e segna la vicenda umana di Schifano. Nel luglio 1966, arrestato per detenzione di marijuana trascorre tre mesi al carcere di Regina Coeli. Nel 1969 è oggetto di due ulteriori procedimenti penali seguiti, negli anni Settanta, da altri quattro fermi. L’ultimo, nel 1975, si conclude con un periodo di restrizione al manicomio di S. Maria della Pietà, scelto per evitare il carcere.
Negli anni Settanta Schifano produce opere riprendendo “in diretta” immagini televisive che fotografa e stampa in negativo su carta sensibile, prima di intervenire in seguito con colori alla nitro. Visioni di un discorso senza regole o di opere ossessivamente identiche, come la serie delle cinquanta tele dell’ora esatta che si differenziano l’una dall’altra per pochi secondi, si alternano tra loro costruendo un insiemedi immagini carpite dal flusso del tubo catodico o dalla miriade di fotografie ossessivamente scattate dall’artista. E’ il periodo cupo segnato dagli arresti per detenzione di stupefacenti che culmina con un tentativo di suicidio in seguito al periodo passato presso un ospedale psichiatrico. Schifano, profondamente segnato da questa esperienza, una volta a casa, sembra trovare sollievo nella compagnia della tv, sua delizia e dannazione.
Per la prima volta saranno esposte al pubblico una serie di opere degli anni Settanta denominate Paesaggi TV: creazioni che, rivedendo la pittura attraverso l’utilizzo della macchina fotografica e l’emulsione del colore sulla tela, ripropongono fatti di cronaca, arte e pubblicità.
Nel 1983 viene ancora una volta arrestato per droga. La sua vicenda giudiziaria si conclude in modo definitivo nel 1997, quando la Corte d’appello di Roma cancella le precedenti condanne e riabilita l’artista.
Con le opere presentate alla Biennale di Venezia del 1978 e a quella del 1984, Schifano si riscopre pittore. Su tele di dimensioni enormi, spennella vigorosamente il colore e fa esplodere tutta la vitalità e la freschezza della sua opera. Nel 1985 con l’arrivo di Marco, nato dalla relazione con sua giovane compagna Monica, Schifano scopre la gioia della paternità. Da questo momento la sua pittura, oltre a popolarsi dell’immaginario infantile di Marco, si ricongiunge al colore delle proprie origini, al deserto e alle palme della Libia, dove era nato nel 1934.
Nel Salone Toledo al piano terra sono ospitate le opere di grande formato rappresentative degli ultimi decenni della produzione artistica di Mario Schifano, anni che ben illustrano la felicità creativa dell’artista anche nella sua fase matura, espressa nella forma tanto colossale quanto festosa, tra cui Ninfee e Acerbo del 1987.
Nel 1990 al Palazzo delle Esposizioni di Roma allestisce la rassegna Divulgare, in cui dopo anni di intesa attività pittorica ripropone la sua passione per lo schermo e la realtà filtrata dalla tivù attraverso spettacolari immagini elaborate con stampe digitali a plotter su pvc, con interventi di colori acrilici.
Mario, il “pittore maledetto” sa perfettamente di vivere una società di massa, in una società delle immagini, ottica, visiva. E con le immagini gioca, “fa scarabocchi”, riflette…
Precursore dell’uso delle tecnologia in pittura ed esponente di spicco del cinema sperimentale italiano, concepisce la superficie pittorica come uno schermo su cui sfilano immagini della memoria collettiva estrapolate dai mass media e dalla tv in particolare: si tratta di immagini pubblicitarie, o di ricordi futuristi o di propaganda politica.
Schifano sotto il segno di una continuità tra arte e vita, bisogno e desiderio non smette mai di dipingere l’arte e la realtà, fino a quando un infarto non lo spegne nel 1998.

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