Gallerie d’Italia Napoli/ Tra i luoghi del Grand Tour con Sir William e Lady Hamilton: una mostra che racconta la città come spazio vivo

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Sir William e Lady Hamilton è la mostra che Gallerie d’Italia Napoli propone fino al prossimo 2 marzo. Dopo il primo e il secondo articolo, pubblichiamo di seguito l’ultimo che chiude le osservazioni su questo interessante percorso espositivo.

Nel suo The Voyage of Italy, pubblicato a Parigi nel 1670, il canonico inglese Richard Lassels descrive i luoghi da lui personalmente visitati durante i suoi cinque viaggi in Italia e invita ogni studente di architettura, di antichità e d’arte a visitarne le città e i paesi.
Lassels è il primo ad adottare l’espressione Grand Tour, che viene poi universalmente accolta; nel suo Voyage suggerisce a tutti i giovani lords di effettuare il Grand Tour per potersi fare una cultura, per conoscere e capire le varie realtà politiche, sociali ed economiche d’Europa e, in particolare, dell’Italia.
Nel Settecento il Grand Tour diventa sinonimo di lungo viaggio attraverso l’Europa, e soprattutto l’Italia diventa un itinerario ritenuto di fondamentale importanza per l’educazione e la formazione culturale di scrittori, intellettuali, esponenti delle classi sociali superiori in particolare di quegli esponenti dell’aristocrazia europea che intendono perfezionare il loro sapere.
Napoli, distesa tra il golfo e il Vesuvio, è una delle mete privilegiate del Grand Tour per lo splendore dell’ambiente naturale, per la ricchezza delle sue chiese e dei suoi palazzi e per i dintorni che trasudano di memoria dell’antico. Si tratta di luoghi speciali e magici come la tomba di Virgilio, la Grotta di Posillipo, la grande galleria scavata ai tempi di Augusto per collegare Napoli a Pozzuoli, i resti del tempio della Sibilla Cumana, quelli di Serapide a Pozzuoli, lo straordinario lago di Averno attraverso cui Enea discende agli Inferi[1].
Non sono solo i luoghi più o meno famosi a suscitare l’attenzione degli ospiti illustri, spesso è la vita della città ad affascinare e sedurre i visitatori del Grand Tour: un’attrazione che Goethe rende bene con la frase Siehe Neapel und stirbVedi Napoli e poi muori. Per l’autore di Italienische Reise[2] la città, per le sue caratteristiche, è il meglio che si possa desiderare: è riuscita addirittura a cambiarlo. Nello stesso brano in cui è contenuta questa frase il poeta scrive: Napoli è un paradiso. (…) Tutti vivono una specie di ebbrezza e di oblio di sé stessi. (…) Non mi riconosco quasi più, mi sembra di essere un altro uomo. Ieri mi dicevo: o sei stato folle fin qui, o lo sei adesso.
Quando Goethe arriva a Napoli trova un luogo completamente differente da quello in cui è vissuto: una città viva, calda e senza affanni, molto diversa dal clima freddo, distaccato e formale da cui proviene. Quando rientra in patria fa fatica a riabituarsi alla sua vita passata e per sua stessa ammissione viene colto da una enorme malinconia. Il soggiorno napoletano l’ha stravolto tanto da ritenere che non c’è niente da vedere di più bello dopo aver visto Napoli, ecco perché si può anche morire.
Le straordinarie scoperte archeologiche delle città sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., riportata da Plinio il giovane per lo storico Tacito, e venute alla luce a seguito degli scavi del 1738 per Ercolano e di quelli del 1748 per Pompei, voluti fortemente dal re Carlo di Borbone, aggiungono nuovi motivi di interesse ai viaggiatori del Grand Tour.
Il ritrovamento di una grande quantità di oggetti, statue, bronzi, suppellettili e pitture murali, che vengono collocati a partire dal 1750 in un museo appositamente allestito nella Villa Reale di Portici, consentono di scoprire un’idea di arte antica molto diversa da quella tramandata dai marmi che hanno rappresentato per secoli, a partire dal Rinascimento, i canoni di bellezza ideale.
Questi rinvenimenti permettono di mostrare gli usi della vita delle due città romane, rimaste sepolte per diciassette secoli sotto una fitta coltre di ceneri e lapilli. Le nuove scoperte suscitano curiosità, emozioni ed entusiasmo, invogliano nuovi studi e sviluppano un desiderio di imitazione delle manifatture e delle decorazioni grazie anche alla pubblicazione, tra il 1757 e il 1792, di otto volumi illustrati per iniziativa dell’Accademia Ercolanense. Nel 1762 la bonifica dell’area di Paestum, invasa dalle paludi e dalle vegetazioni, permette l’accesso alle rovine di viaggiatori e artisti e consente di ammirare la sublime bellezza dell’architettura dei templi dorici.

In copertina, Antonio Joli, Interno del tempio di Poseidone. A Paestum, 1756-1760 circa
Olio su tela, 76 x101,5 cm. Qui sopra, Tempio di Atene a Paestum, 1756-1760 circa Olio su tela, collezione privata Robilant + Voena, Londra, Milano, Parigi


Appartengono a questa sezione denominata Le scoperte di Paestum e di Pompei le opere di Antonio Joli; i capolavori dell’antichità sono ripresi dall’artista in particolari condizioni di luce per esaltare il colore del travertino. Nel primo dipinto Interno del tempio di Poseidone o Nettuno la visione centrale ribassata enfatizza la struttura interna del tempio e fa risaltare i fusti e i capitelli delle colonne mentre sullo sfondo si intravede il porto di Salerno animato dalle barche dei pescatori. Nel Tempio di Atena Joli, che accompagna la veduta dell’imponente monumento con una descrizione minuziosa della morfologia del territorio, ritrae sé stesso, seduto su un enorme masso, mentre disegna le architetture del tempio sotto la supervisione di un ufficiale dell’esercito borbonico[3].

Giovanni Battista Lusieri, I templi di Paestum, 1793 circa
Matita, penna e acquerello su carta, 630 x 968 mm, Charlestown, Broomhall Home, Farm Partnership


Il pittore Giovanni Battista Lusieri giunge a Napoli verso la fine del 1781 e, con il sostegno della corte borbonica e di collezionisti stranieri facoltosi come l’ambasciatore Hamilton, si inserisce in breve tempo nell’ambiente artistico locale. Con la moglie abita a vicolo Canale, sulla strada che porta a Capodimonte, poco lontano dall’abitazione del pittore gallese Thomas Jones, di cui diventa amico e con il quale condivide intere giornate a disegnare il panorama della città o gli antichi monumenti dei dintorni. L’opera I Templi di Paestum fa parte di un gruppo di quattro vedute definite da Hamilton magnifiche e molto ammirate: è Lord Elgin ad acquistarle nel 1824 dagli eredi di Lusieri. Nel Tempio di Serapide a Pozzuoli Lusieri riprende in primo piano i reperti archeologici con le tre colonne in marmo cipollino danneggiate, nella parte bassa, dall’acqua salmastra e dai litofagi a seguito dell’attività bradisismica della zona.
L’opera lascia trapelare la lacerante afflizione di fronte alla grandezza del passato rappresentata dall’uomo seduto con la testa fra le mani, forse l’artista stesso: un’immagine malinconica, una percezione ed elaborazione poetica che sembra preludere all’età romantica. La Veduta della Porta di Ercolano a Pompei di Lusieri, abbozzata molto probabilmente durante la gita di studio fatta con Jones il 29 luglio 1783 e da lui riportata nel suo diario di viaggio[4], è una straordinaria e meticolosa veduta del sito archeologico.


Abraham-Louis- Rodolphe Ducros, Tempio della Fortuna a Marechiaro, 1794 -1810.Penna, inchiostro di china e acquerello su carta applicata su tela, 76,5 x 113,4 cm
Losanna, Musèe cantonal des Beaux Arts, acquisizione 1816


La grande stagione del vedutismo iniziata con Gaspar van Wittel sembra concludersi con l’opera visionaria del celebre acquerellista e incisore svizzero Abraham-Louis-Rudolphe Ducros. Nato nel 1748 a Moudon in Svizzera, alla morte del padre continua il suo lavoro come insegnante di calligrafia e disegno prima di spostarsi nel 1769 a Ginevra per frequentare un corso di pittura. Nel 1776 si trasferisce a Roma dove continua la sua formazione artistica e tra il 1784 ed il 1792 si specializza a produrre vedute di Roma antica di grande precisione topografica; l’artista è uno dei primi ad eseguire acquerelli di grandi dimensioni. Nel 1793, sospettato di giacobinismo, è costretto ad abbandonare Roma per l’Abruzzo, allora sotto il Regno delle Due Sicilie: in questo territorio incontaminato e privo di qualsivoglia seduzione turistica, sperimenta nuove soluzioni compositive e nuovi approcci stilistici. Dal 1744 al 1799 dimora a Napoli nella parrocchia di S. Giuseppe a Chiaia dove dipinge il Vesuvio, le antiche rovine e si specializza nel genere della marina per importanti committenti come sir William Hamilton e il ministro John Francis Edward Acton.
Il fatto che Ducros disegna le scene con una grande fedeltà porta Auguste De la Rive ad affermare che questa riproduzione della realtà è dovuta all’uso della camera oscura[5]. Con la maturità gli acquerelli rivelano un artista sempre più inquieto: le antiche rovine sono sempre più invase dalla vegetazione come a sottolineare il prevalere del dato naturale sul singolo elemento architettonico e sulle maestose testimonianze del passato.
Gli acquerelli del periodo napoletano sono spesso ritoccati a tempera e ricoperti di vernice o gomma arabica con i quali il pittore cerca di competere con la pittura a olio. I dipinti, realizzati con velature sovrapposte atte ad arricchire i contrasti, a vivacizzare i colori, a gestire il chiarore dell’aria e la sua profondità scenica, spiegano la sua predilezione all’uso della carta e sembrano non curarsi della ripresa dal vero. Da scenografo della realtà interviene … sul dato paesistico mediante modifiche e manipolazioni di ogni sorta al fine di raggiungere effetti di emozionata irrequietezza e di rara repentinità visiva mai visti prima[6] contribuendo all’affermazione della pittura di paesaggio come genere autonomo.
È il caso del Tempio della Fortuna di Marechiaro dove gioca con le proporzioni, dilata gli spazi e attraverso la materia cromatica immerge ogni elemento, a partire dalla colonna corinzia posta in primo piano, in una luce chiara, nitida e quasi vetrosa, molto lontana dalle rappresentazioni utilizzate dagli artisti a Napoli in quel periodo. Il risultato è straordinario e molto vicino ad una moderna suggestione visiva.
Nell’opera di Ducros lo stile, il carattere dell’esecuzione e le tonalità cromatiche sottolineano un sorprendente talento e spiegano il successo dei suoi acquerelli presso tutte le corti europee. Al Museo cantonale delle Belle arti di Losanna c’è un altro acquerello con lo stesso tema: le antiche vestigia del tempio sono collocate a sinistra e fanno da quinta scenica ad una veduta del golfo e del Vesuvio.


Sir William Hamilton, Pietro Fabris
documentato a Napoli dal 1754 al 1781, Campi Phlegraei,
Observations on the Volcanos of the Two Sicilies, As They have been comunicated. To the Royal Society of London by Sir William Hamilton, 2 voll. Napoli 1776. Vol. II tav. LIV
Cristalli comunemente chiamati gemme del Vesuvio. Roma, Biblioteca Hertziana, Istituto Max Plank per la Storia dell’Arte


Quando nel settembre del 1765 il Vesuvio si risveglia Hamilton inizia le sue ascese al Vulcano e intraprende una serie di osservazioni sistematiche che si estendono ai Campi Flegrei, alle isole Eolie e all’Etna. Le osservazioni vengono riportate in alcune lettere inviate alla Royal Society di Londra tra il 1766 ed il 1771. Hamilton, per documentare attraverso le immagini nel modo più dettagliato possibile i fenomeni che stava studiando, incarica il pittore Pietro Fabris di riportare in immagini il Vesuvio, i Campi Flegrei e gli atri vulcani del regno borbonico. Per l’occasione vengono realizzati 60 dipinti colorati a gouache ed acquerello, 40 dei quali sono conservati oggi alla British Library di Londra. Sono gli stessi che vengono utilizzati per realizzare l’apparato iconografico di due volumi in folio dei Campi Phlegrei stampati a Napoli nel 1772 da Francesco Morelli. Le osservazioni sui vulcani di Hamilton hanno dato il via alla moderna vulcanologia scalzando l’antica concezione animista basata su credenze popolari e superstizioni. Le sue descrizioni permettono di considerare le eruzioni un atto di creazione e non di distruzione: un processo attraverso cui la natura si rigenera portando in superficie materiali appartenuti ad ere geologiche lontane.
Nella sesta sezione della mostra L’esplorazione del Vesuvio e dei Campi Flegrei oltre all’esposizione di materiale proveniente al Real Museo Mineralogico di Napoli sono presenti una serie di spettacolari dipinti del vulcano in eruzione. Hamilton studioso appassionato dei fenomeni vulcanologici è il corrispondente della Royal Society di Londra cui fa pervenire puntuali resoconti destinati al periodico che ospita le comunicazioni degli accademici: Philosophical Transactions. I suoi scritti permettono di accentuare il respiro del dibattito scientifico nella capitale borbonica e di far conoscere agli ambienti accademici inglesi i fenomeni eruttivi presenti nel Regno di Napoli[7].


Luis-Jean Desprez
Eruzione del Vesuvio, 1779-1780 circa
Acquerello e penna a inchiostro nero su carta, 690 x 480 mm
Palaiseau, Collections École Polytechnique (opera classificata come monumento storico con decreto del 20 dicembre 1911
)

Tra l’8 e l’11 agosto 1779 avviene una nuova e violenta eruzione ad assisterla c’è il pittore Luis-Jean Desprez impegnato a realizzare le illustrazioni del volume Voyage pittoresque dell’abate di Saint-Non. Per il pittore la partecipazione sentimentale non è mai distinta dall’impegno percettivo e il mezzo pittorico è l’unico a restituire verità e durata, negli occhi, nella mente e nel cuore quando si ha un confronto diretto con i diversi aspetti della natura. Nel dipinto Eruzione del Vesuvio, 1779-1780[8], al chiaro di luna, raffigura un Vesuvio furente che domina con improvvise colate laviche, vampate di fuoco e lanci di lapilli incandescenti mentre una folla di cittadini impauriti, in prossimità del fiume Sebeto, attraversa di corsa il ponte della Maddalena nel tentativo di salvare i propri averi. Una descrizione che fa del vulcano un’espressione del pittoresco e del sublime, dell’eroico e del demoniaco del sovrumano e dell’immanente[9].
Wright of Derby, autore de Il Vesuvio in eruzione con le isole del golfo di Napoli, che soggiorna a Napoli tra l’inizio di ottobre e l’inizio di novembre del 1774, nelle sue ascese al vulcano realizza studi grafici e bozzetti a olio per dare vita, al suo ritorno in patria, a più di trenta dipinti. Wright, che ha voluto studiare il Vesuvio con gli occhi dell’uomo di scienza ma anche con quelli di un visionario delle tenebre, lascia intendere che a Napoli, nonostante i progressi della scienza e le dottrine illuministe, la presenza del vulcano è ancora legata a visioni antiche e a passate superstizioni.


Joseph Wrigt of Derby, Il Vesuvio in eruzione con le isole del golfo di Napoli, 1776-1780, Olio su tela, 122 x 176,4 cm. Londra, Tate acquistato con il contributo di the National Heritage Memorial Fund, the Art Fund, Friends of the Tate Gallery and Mr John Ritblat 1990


La realistica resa notturna dell’incandescente ambiente vulcanico si contrappone ai freddi riverberi della luna su un mare calmo che lascia intravvedere il promontorio di Sorrento e Capri e con una certa creatività compositiva le isole di Ischia e Procida. I due personaggi in primo piano, che trasportano il cadavere di una figura vestita all’antica, riconducibile forse alla morte di Plinio il Vecchio, sembrano sottolineare la prorompente grandezza delle forze naturali e i disarmanti limiti dell’essere umano.
L’ultima sezione della mostra La corte e la società si apre con i ritratti dei reali di Napoli Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Austria realizzati da Angelika Kauffman che soggiorna a Napoli nell’estate del 1782. Il re è dipinto con il mantello di ermellino gettato sull’armatura, lo scettro in mano, la corona al suo fianco ed un tendaggio sullo sfondo mentre la regina indossa un prezioso abito di seta bianca rifinito con bordi dorati con il manto regale lasciato cadere alle spalle, quasi ad evocare un’elegante matrona dell’antica Roma.


Angelika Kauffmann
Ritratto di Maria Carolina d’Austria, 1782-1783
Olio su tela 93 x 76,5 cm
Bregenz, Voralberger Museum


Appartiene sempre alla pittrice Kauffman il Ritratto del medico e botanico Domenico Cirillo; probabilmente un attestato di riconoscenza per averla guarita da un malanno. Cirillo dedica larga parte della sua vita agli impegni legati alla sua professione lontano dalla vita politica. Critico severo della cattiva amministrazione delle carceri e degli ospedali ed artefice di molte iniziative sociali di assistenza e di carità gode comunque della fiducia della corte tanto da diventare medico personale della regina Maria Carolina. Per rinsaldare la sua cultura scientifica viaggia spesso in Italia ed in Europa e stringe rapporti di amicizia con esponenti del pensiero filosofico illuminista come Buffon, Diderot e Franklin. Dopo un primo diniego a partecipare al nuovo governo repubblicano propostogli dal generale Championnet accetta la nomina a presidente della giunta legislativa firmando diversi atti. Dopo il crollo della repubblica viene considerato un traditore e rinchiuso in Castel Nuovo; a nulla sono valse le richieste di Lord Hamilton alla regina per salvargli la vita. Reo confesso rifiuta di chiedere la grazia al re e il 29 ottobre 1799 viene impiccato.
Quello presentato da Tischbein, autore del Ritratto di Goethe nella campagna napoletana, è un modello figurativo molto diffuso tra i viaggiatori del Grand Tour che intendono portare a casa oltre ad oggetti anche il proprio ritratto.

Johan Heinrich Wilhelm Tischbein
Ritratto di Goethe nella campagna napoletana, 1787
Acquerello con traccia di matita nera su carta avorio
controfondata, 532 x 380 mm
Napoli, Certosa e Museo di San Martino


È raffigurato in piedi, in compagnia di un cane accanto a vestigia classiche; alle sue spalle, oltre ad una macchia boschiva, si intravede il golfo dominato dalla mole imponente del Vesuvio fumante. La relazione di Goethe con il pittore è intensa … la cosa più forte che mi trattiene in Italia è Tischbein; anche se il mio destino fosse di visitare una seconda volta il bel paese, mai potrò imparare tante cose in così breve tempo quanto ora in compagnia di quest’uomo istruito, esperto, fine e giusto e attaccato a me anima e corpo[10]. Sul piano artistico la nomina del pittore a condirettore dell’Accademia insieme a Domenico Mondo e il suo presunto allontanamento da quel neoclassicismo filoellenico, verso cui lo aveva orientato lo scrittore, probabilmente ha contribuito a quella frattura che porta Goethe a partire per la Sicilia in compagnia del pittore e disegnatore Christoph Heinrich Kniep.
Proviene dal Museo Arqueologico Nacional di Madrid un rarissimo gruppo in biscuit Ritratto della famiglia reale di Napoli in cui Ferdinando IV e Maria Carolina, insieme ai figli, sono raffigurati davanti al monumento equestre dedicato al fondatore della dinastia Carlo III.
Il pezzo di grande complessità, per le numerose figure, è opera dello scultore Filippo Tagliolini, attivo nella manifattura imperiale di Vienna fino al 1780 e capo dei modellatori della Real Fabbrica della Porcellana di Napoli dal 1781. La posa frontale e di primo piano della regina evidenzia la sua posizione di committente del gruppo scultoreo, ma sottolinea anche il suo ruolo politico e diplomatico a fronte della passività di Ferdinando IV. L’invio di questo dono ha intenti affettivi ma anche diplomatici: Maria Carolina vuole recarsi in Spagna per ricucire i rapporti tra suocero e marito particolarmente difficili.
Il re risponde con una lettera il 3 dicembre 1783 spiegando che avrebbe permesso la visita a condizione che il primo ministro, scelto dalla regina, l’inglese John Francis Edward Acton venisse destituito perché nemico dei Borbone. In più rimprovera al figlio di essersi lasciato trasformare dalla moglie e da Acton, con la loro politica filo austriaca, in un re di cartone. Le relazioni diplomatiche tra Napoli e Madrid furono interrotte in modo definitivo nel 1786 e riallacciate solo tre anni dopo la morte di Carlo III[11].
Nel quadro Preparativi per il pellegrinaggio al santuario della Madonna dell’Arco il pittore Pietro Fabris mette in scena il cammino di un gruppo di fedeli scalzi, provenienti da Napoli e dai paesi vesuviani, ritratti in gesti e comportamenti vissuti secondo usi e costumi che si fanno risalire all’antichità.


Pietro Fabris, (documentato a Napoli dal 1754 al 1781)
Preparativi per il pellegrinaggio alla Madonna dell’Arco, 1773, olio su tela, 128 x 182,5 cm, Napoli, collezione privata


Attorno al carro si ritrovano i suonatori di tamburello e mandolino, un festoso corteo di bambini, i ragazzi che mangiano spaghetti con le mani, le signore che gustano ricche colazioni, una coppia che danza. In quegli anni dagli scavi di Ercolano e Pompei affiorano strumenti musicali insieme a immagini di balli e culti religiosi. Knight riporta che Hamilton ha fatto eseguire dai pittori Philipp Hackert e Wilhelm Tischbein un dipinto che raffigura una danza dionisiaca ripresa da un vaso della sua collezione riconoscendo in quelle movenze le stesse della tarantella[12], danza nazionale del Regno di Napoli.
Palazzo Sessa, residenza degli Hamilton, ubicato a Pizzofacone, un’area elegante e salubre, diventa il centro culturale della città o secondo le parole di Tischbein il luogo di riunione di tutta la gente di gusto. Tutti i personaggi importanti che passano per Napoli dal 1764 al 1798 hanno frequentato questa residenza signorile dotata di una vista straordinaria, come I pittori che abbiamo incontrato in questa mostra, ma anche un giovanissimmo Wolfgang Amadeus Mozart che nel 1770 è affascinato dalle esibizioni al clavicembalo della dolce, elegante e riservata Lady Hamilton durante le immancabili serate di conversazione. Tra i tanti altri che hanno frequentato quella casa ricordiamo Winckelmann nel 1767, Goethe nel 1787, ambasciatori di tutta Europa, viaggiatori illustri come il granduca Paolo Petrovič, il futuro, zar di Russia Paolo I, insieme alla moglie Marija Fëdorovna nel 1782.
Sir William e Lady Emma Hamilton sono stati senza dubbio, negli ultimi trent’anni del Settecento, i personaggi più influenti di Napoli, registi di una mondanità che ha consentito loro di restare sempre molto vicino alla famiglia reale.
Tra le passioni di Hamilton ci sono il mare, il nuoto e la caccia. D’estate pranza e trascorre il pomeriggio con gli amici, tra danze e canti popolari nella casa di Posillipo ribattezzata Villa Emma in onore di Lady Emma, sua seconda moglie dal 1791. Come ricorda bene Susan Sontag nel romanzo The Volcano Lover è stata la caccia la passione che ha unito per trent’anni Hamilton e Ferdinando IV.
Con il re si ritrova in lunghe battute di caccia nelle terre selvagge d’Abruzzo o nelle residenze reali di Carditello e di Persano. Ed appartiene proprio a quest’ultima tenuta il luogo rappresentato nel dipinto di Johann Heinrich Wilheilm Tischbein Caccia al cinghiale a Persano sotto Ferdinando IV che sembra essere soprattutto un ritratto della corte. Il re al centro in testa alla fila di cavalieri e amazzoni è ripreso in tenuta da caccia mentre si reca presso due grandi carri su cui siedono, come su un palco, delle dame. In piedi o seduti, come il conte di Saponara, sono dipinti nobili e dignitari. Il dipinto, che nasce in un momento di lotta tra le monarchie e la Repubblica francese, mostra un evento reale dove i partecipanti sono notabili inglesi e napoletani oltre alle figlie del re, fresche spose degli Asburgo e dei Savoia, stretti alleati dei Borbone.
A questa lettura se ne può aggiungere un’altra che si basa sulle relazioni personali come la posizione preminente di Hamilton sugli altri inglesi determinata non solo dal suo peso politico, ma anche dai rapporti di stima, quasi di amicizia con i sovrani. Lo stesso vale per Lady Hamilton, al centro di cosmopolite relazioni culturali e mondane, che è rafigurata accanto alla regina in atteggiamento poco formale e quasi confidenziale. Si tratta di un ritratto di una Napoli Ancien Régime che i venti della Rivoluzione stanno per portare via.
Il percorso di questa mostra, un intreccio tra opere d’arte e contesto espositivo, dove emerge forte il carico di storie personali dei protagonisti, consente di immergersi in un periodo della storia della città e di riscoprirne le radici.
Questa mostra racconta Napoli, vista non solo come quinta scenica di avvenimenti e fenomeni, ma spazio vivo che partecipa attivamente agli eventi e al loro sviluppo nel bene come nel male.
Chi abita questa terra lo sa; il rapporto viscerale che lo lega a questo luogo di origine scatena impulsi, passioni e sentimenti forti che lo porta a immaginarla e a percepirla a volte come madre e a volte come matrigna.

(3.fine)

 ©Riproduzione riservata


Real Fabbrica della Porcellana di Napoli
Filippo Tagliolini (modellatore)
Ritratto della famiglia reale di Napoli, 1783 circa
Biscuit, legno dorato a ferro
Madrid, Museo Arqueologico Nacional


NOTE

[1] Ernando Mazzocca Catalogo Mostra pag. 184

[2] Viaggio in Italia (in tedesco Italienische Reise) è un’opera che Johann Wolfgang von Goethe scrisse tra il 1813 e il 1817 e pubblicò in due volumi, il primo dei quali uscì nel 1816 e il secondo nel 1817. I due volumi contengono il resoconto di un Grand Tour che l’autore compì in Italia tra il 3 settembre 1786 e il 18 giugno 1788.

[3] Stefano Bassi Catalogo della mostra pag. 196

[4] Thomas C. Jones Diario di viaggio a Roma e Napoli 1776-1783 a cura di Maria Giuseppina Di Monte, Emilia Ludovici Quodlibet, 2022

[5] Verdone, Mario (1956). Carriera romana dell’acquarellista DuCros, in Strenna dei Romanisti, Vol. XVII, 1956. Roma: Straderini Editore, p. 210 (p. 147). Con criterio di fabbricatore di immagini in serie, DuCros si valse di numerosi aiuti, di professori di storia per i personaggi e di architetti per le fabbriche, e disegnò le scene con una fedeltà che non poteva non fare affermare al De la Rive che «questa riproduzione del vero è dovuta all’aiuto della camera obscura

[6] Stefano Bosi Catalogo mostra pag. 199

[7] Maria Gabriella Mansi, Mariolina Rascaglia Catalogo mostra pag. 214

[8] Per le date, diversamente dal Catalogo, ci si riferisce a https://vvh.uniroma3.it/vesuvio1779-desprez-e-piranesi-c-1780/

[9] Stefano Bosi Catalogo mostra pag. 217

[10] J. Heinrich Tischbein Dalla mia vita. Viaggi e soggiorno a Napoli a cura di M. Novelli Radice Edizioni Scientifiche Italiane, 1993 pag. 9

[11] Maria Angela Granados Ortega Catalogo mostra pagg. 244-245

[12] C. Knight Hamilton a Napoli. Cultura, svaghi, civiltà di una grande capitale europea. Napoli Electa 1990 pag. 192

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