Clara Garesio la passione per la ceramica l’ha da sempre. Quando bambina, a Torino, suonata la campanella della scuola (elementare) la madre doveva andarla a cercare. "Sulla via del ritorno mi fermavo sempre in un piccolo laboratorio, cercando di apprendere più che potevo".
La via era tracciata. Prima un percorso di studi a Torino: "ho avuto ottimi maestri e sono stata nelle più importanti manifatture dell’epoca, come Victor Cerrato". Poi Faenza, sede del più importante istituto d’arte per chi sceglie ceramica. "L – ricorda Garesio- sono stata collega di Zauli, Gaeta, Spagnulo, tutti ceramisti affermati". Un passaggio all’istituto d’arte d’Isernia, dove trova l’amore. "Mio marito (lo scultore Giuseppe Pirozzi) insegnava scultura, io disegno professionale e… ci siamo conosciuti". Uniti da "un comune interesse per l’arte e il fare. Erano anni in cui i giovani erano portati a dare tutti se stessi". Correnti diverse (scultura e ceramica), ma passione in comune (arte).
Sconfinamenti? Tutt’altro. "Ci siamo sempre rispettati come artisti, ci siamo consigliati naturalmente, però non ci siamo mai invasi nei campi. Ognuno ha continuato a essere se stesso, nel modo che gli era più congeniale. Ci siamo voluti bene, ma nell’arte ci siamo divisi".
Infine Napoli, dove contribuisce alla nascita dell’Istituto per la porcellana di Capodimonte. Era il 1962. E due destini si incrociarono. La Garesio voleva tornare a Torino, ma… "Ebbi la proposta di matrimonio. Mi sono sposata e, in contemporanea, il ministero mi propose di insegnare all’Istituto per la porcellana che si fondava allora". Un’esperienza capace di salvare e tramandare un’arte che si rischiava di perdere. "Gli allievi di ieri sono le piccole manifatture che esistono a Napoli oggi. Prima non c’erano" afferma orgogliosa l’artista e continua: "i De Palma, i Maiello. Tutti sono passati dalla scuola per poter riprendere questa antica tradizione napoletana".
Ceramica primo amore, ma gli orizzonti di Clara Garesio sono infiniti. Ed è cos che d una seconda vita agli oggetti. " un modo di esprimersi anche quello, trovare vecchi oggetti e rianimarli, farli diventare nuovi e attuali. Ho cominciato con dei manichini dei primi del Novecento che ho mutato e sono diventate delle opere". Un atto che nasce da dentro. Forte. "Perch la mia generazione viene dalla guerra e non si buttava via niente. Quando si è raggiunta quella parvenza di benessere, alcuni oggetti a cui ero affezionata, li ho voluti interpretare per averli sempre con me. una ricerca e al contempo un umore che mi porto dentro".
Umori come (anche) quelli trasmessi dalla citt , Napoli. Torinese doc, "lo sono da sette generazioni" come ci tiene a precisare, ammette: "A Napoli mi sono trovata molto bene, era una cosa a cui non avrei creduto. Quando eravamo ragazzi, chiesi a mio marito: non darmi una data, ma promettimi che torneremo a Torino. Lui acconsent. Poi… mamm , pap , la casa, il sole… siamo rimasti qui… e sono felice che i miei figli siano napoletani. Ho insegnato loro ad amare questa citt . Uno mi è scappato, perch non c’erano grandi possibilit . La ragazza è rimasta qui".
La sirena Partenope seduce gli artisti con il suo canto. "Napoli è una citt dove tutto è artistico. Non c’è nulla che esuli dall’arte. Potrebbe vivere di quest’arte, ma purtroppo… si sono aperti altri canali, terribili, per i giovani. Se si fosse rispettata questa grande risorsa, questa grande capacit creativa di tutto il popolo forse non avremmo i problemi che abbiamo. L’aver fondato qui la scuola di porcellana è un esempio di quello che la citt è capace di dare. Avrebbero dovuto seguire espereinze simili. In ogni campo, dagli strumenti musicali ai presepi. un popolo che può reggersi e produrre cose fantastiche. C’è da chiedersi perch non si fa, perch ciò che è stato fatto è andato perduto".
E il futuro? "Una mezza promessa per una mostra in costiera". Un luogo speciale per la Garesio: "Noi la viviamo parecchi mesi l’anno. Vedere quel paesaggio, quella luce che si infrange in mille colori unici, estasianti. Ne ho fatto tesoro e mi esprimo con quei colori".
Nelle foto (di Maria Volpe Prignano), l’artista e una sua opera