SECONDA PUNTATA
Cardarelli era un ammiratore di Raimondo di Sangro, principe di San Severo. Lo considerava un pioniere della scienza universale, un grande alchimista e scienziato. Studiò a lungo i morti metallizzati situati nella Cappella di Sansevero. Ma anche il mistero della liquefazione del sangue di San Gennaro.
Il nostro gran dottore era un uomo scontroso, dai modi bruschi. In viaggio in treno da Napoli verso Roma nella carrozza dove prendeva posto insieme a una coppia di giovani sposi si alzò piu volte chiudendo il finestrino per evitare il vento. Il giovane marito, infastidito, riaprì il finestrino e la scena si ripeté più volte.
Alla fine lo sposino protestò dicendo che il vento non gli dava fastidio. Cardarelli rispose: «Neanche a me, ma lo faccio per la giovane signora che le è accanto, è affetta da tbc ». Purtroppo era vero. Era burbero ma aveva un animo sensibile e buono. Non dimenticò mai le sue radici, il suo paese d’origine, Civitanova del Sannio.
Nel 1890 vinse la cattedra di patologia all’Università degli studi di Napoli,che tenne fino al suo pensionamento nel 1923, all’età di 92 anni. Dieci anni era stato ben tre volte deputato del collegio elettorale di Isernia al Parlamento di Torino. Fu inoltre un maestro insuperabile dotato di eccezionali doti didattiche. Nonostante il suo carattere, era venerato da numerose generazioni di allievi, poiché era insuperabile nell’insegnamento e nella conoscenza della medicina moderna.
Acuto spirito di osservazione e rigore nel ragionamento diagnostico lo portavano a raggiungere risultati con i mezzi più semplici, anche se contrastato da altre scuole di pensiero di altri illustri nomi del campo della medicina…
Lui aveva sempre ragione, ma era anche una persona umile, capace di mettersi in discussione e di riconoscere le doti degli altri colleghi. Più volte aveva ricordato nelle sue lezioni i meriti di Pietro Ramaglia, indicando nello studio semeiotico del malato il metodo più valido per far progredire le conoscenze ai fini della diagnosi e della interpretazione patogenetica dei fenomeni morbosi. Lo riteneva il vero fondatore della scuola medica napoletana, basata proprio sulla semeiotica e sullo studio anatomoclinico della medicina interna.
Tanto è stato scritto su Antonio Cardarelli. Tra le molte dichiarazioni sui suoi meriti, riportiamo questa: «Frutto della sua attività di clinico insigne furono numerose scoperte di sintomi e di nuove sindromi morbose, di cui alcuni portano il suo nome. Il sintomo più noto legato al suo nome è quello della pulsazione laringo-tracheale trasmessa dagli aneurismi dell’arco aortico, apprezzabile come uno spostamento laterale da sinistra a destra della laringe e della trachea sincrono con la sistole cardiaca, che descrisse nel 1868; questo segno è da alcuni indicato come segno di T. Oliver, che in realtà descrisse vari anni più tardi un sintomo analogo ma non uguale degli aneurismi dell’arco aortico. Altri segni di grande valore diagnostico da lui scoperti sono quello della percussione sul manubrio dello sterno ascoltata attraverso il cavo orale, e quello dell’ascoltazione del soffio laringo-tracheale trasmesso sul manubrio dello sterno dalle neoplasie del mediastino anteriore. Descrisse con precisione, nell’opera “Gli aneurismi dell’aorta”…, le algie di origine aneurismatica e la stasi venosa da compressione provocata da aneurismi della aorta, segni che pure meriterebbero di portare il suo nome».
Quella che andremo a scrivere è invece una citazione dello stesso scienziato da Come nasce un insegnante libero: Lo studente più dotato, preparato, viene scelto dai suoi compagni come colui al quale rivolgersi per delucidazioni e consigli. Tale riconoscimento gli è riconfermato dopo la laurea, i compagni gli chiedono aiuto per farsi preparare negli esami e lascia la scuola salutato Maestro dai suoi compagni.
Nelle sue sette legislature in Parlamento fece molto sollevando la questione dei problemi d’origine igienico-sanitaria, problemi legati all’insegnamento universitario, soprattutto nell’Ateneo di Napoli e dibattiti a favore delle popolazioni molisane, ancora particolarmente arretrate. Da ricordare il discorso in cui chiedeva una maggiore viabilità nel Molise e la richiesta di abbassare il prezzo del sale, un alimento indispensabile per il suo enorme valore nutritivo, che deve essere alla portata di tutti.
Sempre per il suo amato paese scrisse alle maggiori cariche istituzionali, chiedendo di porgere un occhio di riguardo alla sua terra natia, unica regione del Regno a non avere ancora un Ospedale. Ma fece tanto per i suoi compaesani, aiutò la popolazione a scampare alla tremenda carestia che afflisse, portò per la prima volta l’illuminazione elettrica nella piccola cittadina sannita finanziando la costruzione di una centrale idroelettrica sul fiume Trigno, fece costruire l’acquedotto, la rete fognaria e il cimitero.
Dove c’è una targa che lo ricorda: « L’otto gennaio 1927 moriva a Napoli il nostro concittadino Sen. Prof. Antonio Cardarelli che tanto lustro ha dato alla scienza medica e tanto bene ha operato in favore della sua gente. Per inchinarci riverenti a tanta bontà, in pari data, Civitanova inizia ufficialmente le celebrazioni del I cinquantenario della sua morte… » (Antonio Ciolfi, Sindaco di Civitanova Del Sannio, 8 gennaio 1977).
Ancora oggi, a 90 anni dalla sua morte, è altissima la gratitudine nei suoi confronti, da tutta la Campania. Non è raro vedere persone che portano davanti alla sua cripta sigarette accese , tazzine di caffè, bicchierini di brandy, ovvero quelle piccole cose che il grande clinico amava concedersi.
Delle sue opere si ricordano Gli aneurismi dell’aorta, Napoli 1868; Le malattie nervose e funzionali del cuore, ibid. 1882 (2 ed., ibid., 1891); Lezioni sulle malattie del fegato e delle vie biliari, ibid. 1890; Nosografia della pseudoleucemia splenica dei bambini, ibid. 1890; La ipermegalia splenica con cirrosi Firenze 1900; Lezioni di patologia e clinica medica, Napoli 1907.
(2.fine)
PRIMA PUNTATA
Essere nobili non significa solo possedere titoli. Lo si può essere di animo, di azioni, di cuore. E Antonio Cardarelli non solo aveva origini nobili, ma lo era nella sua persona.
Così lo ricorda Matilde Serao nel libro Il paese della cuccagna: « … tutta la gente lo chiamava, l’invocava, gli tendeva le mani, chiedendo aiuto, assediando il portone, le scale, la sua porta… con la pazienza e la rassegnazione di chi aspetta un salvatore».
Quante volte abbiamo ascoltato frasi del tipo Sono al Cardarelli o Vado al Cardarelli” riferendoci all’azienda ospedaliera ma non conosciamo la storia dell’illustre scienziato cui è dedicato l’ospedale.
I lavori di costruzione iniziano nel 1927. E terminano -almeno alcuni padiglioni-nel 1934. Fu completato negli anni 39/40 diventando il punto di riferimento di tutto il Meridione.
Inizialmente è chiamato il Nuovo ospedale moderno di Napoli. Poi 23 marzo, data che ricordava la data di fondazione dei fasci di combattimento. Infine, nel 1943 è intitolato ad Antonio Cardarelli, clinico ricercatissimo, maestro venerato, senatore del Regno.
Chi era questo illustre, amato e rispettato chirurgo? Cardarelli nasce il 29 di marzo del 1831 a Civitanova del Sannio provincia di Isernia (Molise) dal medico chirurgo Urbano Cardarelli e dalla baronessa di Belmonte molisano Clementina Lemme.
Il giovane Antonio è avviato agli studi classici nel seminario di Trivento a Campobasso, compiti gli studi, frequenta la facoltà di Medicina a Napoli dove si laurea brillantemente nel 1853.
Da studente prende in affitto una stanza con servizi in via Santa Maria a Fonseca, dove conosce la futura sposa, sua dirimpettaia, figlia di un ingegnere civile, Nunziatina Giannuzzi, donna coraggiosa e innamorata di lui tanto da nasconderlo che perché lui ha abbracciato la causa antiborbonica come volontario. Ha ideali patriottici, liberali e umanitari, ma deve ben presto scappare attraverso le fogne rifugiandosi – appunto- nella casa di Nunziatina dove continua gli studi.
Bravura e umanità gli consentono di fare una carriera veloce. Vince un concorso all’ospedale degli Incurabili di Napoli diventando assistente medico. Così sposa il suo amore e in seguito diventa direttore di sala e ben presto consulente medico presso il primario.
La sua fama di medico gli offre l’opportunità di conoscere illustri personaggi come Giuseppe Garibaldi, diventandone amico e medico personale, ma anche referente per i garibaldini in ospedale. Cardarelli, nonostante il suo lavoro, continua ad avere ideali liberali, mazziniano e membro della giovane Italia.
Nel 1886, dopo essere stato nominato senatore del Regno, diventa direttore generale sanitario della struttura. Un illustre medico amico suo, Giovanni Antonelli da Vastogirardi, lo presenta al re Umberto I e anche di questi diventa medico personale.
Tutti stimano Cardarelli perché, oltre ad essere un luminare di grande indole umanitaria, dona cibo e soldi ai poveri e fa visite gratuite, tanto che spesso deve intervenire la forza pubblica per mettere ordine tra i pazienti in attesa del loro turno.
Il popolo lo ama. Al suo funerale partecipano oltre 200 mila persone. Medico personale di tante celebrità ( tra le sue pazienti, anche la famosa cantante Elvira Donnarumma). Ma è amico anche di Giuseppe Moscati, suo collega agli Incurabili, divenuto poi santo- nonché di Giuseppe Verdi e del filosofo Benedetto Croce.
Eccezionale il suo intuito: senza alcun supporto di strumenti scientifici riesce a diagnosticare alcune malattie, basandosi sull’auscultazione e tastazione. E è non sbaglia mai diagnosi.
Un aneddoto che conferma questa sua qualità: la sua diagnosi circa la malattia che porta alla morte il Pontefice Leone XIII: contro tutta la nomenclatura accademica dell’epoca, Cardarelli dice che il Papa ha un cancro alla pleura. Ha ragione.
Si racconta che sia capace di diagnosticare l’aneurisma dissecante dell’aorta facendo pronunciare la lettera A ai pazienti. I suoi colleghi più volte lo mettono alla prova, durante il solito giro di visite nelle corsie degli Incurabili.
Gli fanno trovare un giovane medico che finge di essere stato ricoverato: Cardarelli lo osserva e afferma: «E’ affetto da Nefrite, morirà entro otto giorni». Il giovane salta dal letto e si prende beffe di lui ma il medico ribadisce la prognosi. Il giovane morirà qualche giorno più tardi.
Da queste cronache nasce l’espressione occhio clinico. Altri segni di grande valore diagnostico da lui scoperti sono quello della percussione sul manubrio dello sterno ascoltata attraverso il cavo orale e quello dell’ascoltazione del soffio laringo-tracheale trasmesso sul manubrio dello sterno dalle neoplasie del mediastino anteriore. Metodi che gli hanno permesso di salvare tante vite umane.
(1.continua)