SECONDA PARTE
Lucio Dalla è storia, ma ne riportiamo con piacere una doverosa minibiografia. Iniziamo- con la sua per noi dolorosa scomparsa, in un albergo di Montreux, (Svizzera). Stroncato da un infarto durante un tour europeo. Era il 1° marzo 2012, il 4 avrebbe compiuto 69 anni. E’ stato uno dei più innovativi, creativi, versatili interpreti e compositori della canzone italiana. Musicista nell’anima. La sua formazione musicale avviene nelle orchestrine jazz degli anni 60.
Nasce nella città di Bologna nel 1943, come ricorda la canzone. Dice che era un bell’uomo/e veniva, veniva dal mare/parlava un’altra lingua però sapeva amare/e quel giorno lui prese mia madre sopra un bel prato/l’ora più dolce prima d’essere ammazzato/E ancora adesso che gioco a carte/e bevo vino,/per la gente del porto/ mi chiamo Gesù Bambino.
La sua carriera è stata costellata anche da alti e bassi. All’inizio non veniva capito e apprezzato … certo… Lucio era troppo avanti… per questo suo proporre brani proiettati nel futuro… Che lo consacrerà come il più geniale cantautore con brani e musiche sempre stralunate, ironiche e al tempo stesso cariche di profonda poesia e umanità.
Non aveva un physique du rôle, la prestanza fisica dei cantanti di quella epoca, che si proponevano in primis per la loro bellezza. Lucio si affidava solo alla sua capacità di autore, alla sua personale e unica genialià di proporre brani come Attenti al Lupo, Anna e Marco, Stella di mare, L’anno che verrà, Disperato erotico stomp.
Impossibile non pensare ai successi inanellati durante oltre 50 anni di carriera, da duetti con Francesco De Gregori e Gianna Nannini, passando per Gianni Morandi, Ron, Zucchero, Renato Zero e Fiorella Mannoia, fino a brani storici. Con il tempo fu apprezzato dai media e dal pubblico nonostante che Lucio fosse un personaggio diretto nel dire e nel proporre, capace di spaziare dalla canzone politica a struggenti ballate notturne, rappresentando un personaggio scomodo.
Irrequieto ragazzo bolognese con la passione della musica, inizia a suonare il clarinetto passando dal repertorio popolare emiliano al jazz di New Orleans. Si esibisce in pubblico fin da giovanissimo: sale da ballo a iosa, poi il jazz tradizionale, a Roma. Prima una breve militanza nella Reno Jazz Gang, poi l’approdo nella Seconda Roman New Orleans e infine nei Flippers, dove ottiene visibiltà.
A scoprirlo come cantante solista è Gino Paoli. Ne apprezza lo stile “black” che si rifà più alle asprezze proto-funk di James Brown che al “bel canto” soul di Marvin Gaye. Inizialmente i suoi buffi divertissement musicali, scritti quasi per gioco, non vengono molti apprezzati, nemmeno la sua particolare voce, ma Lucio è uno spirito libero, provocatore: se ne infischia della etichetta, va in giro vestito male, sempre fuori dagli schemi.
Inizia il periodo beat e Lucio propone un brano strano e bislacco firmato da Reverberi e Bardotti, Paff… bum con questo titolo si esibisce a Sanremo: al suo fianco nientedimeno che gli Yardbirds, leggendario gruppo-culla del blues rock inglese , il brano passerà praticamente inosservato, Lucio negli anni successivi si propone e ripropone con incisioni, partecipazioni televisive.
Di nuovo a Sanremo con Bisogna saper perdere insieme a i Rokers. Poi arriva il successo, scrive per Gianni Morandi Occhi di ragazza. Finalmente l’Italia si accorge di Lucio mentre brani precedenti come Quando ero soldato, la raffinata Tutto il male del mondo oppure Lucio dove vai vengono praticamente snobbati.
Forte dell’attenzione del pubblico, Lucio incide l’album Terra di Gaibola con suoi graffianti testi, avvalendosi di autori come Paoli, il giovanissimo Ron, Sergio Bardotti, Gianfranco Baldazzi e Paola Pallottino, i fratelli De Angelis.
Nel 1971 Lucio Dalla si riscatta: è la rivelazione dell’edizione di Sanremo (accoppiato con il gruppo Equipe 84) con il brano 4 marzo 1943 ( come abbiamo già sottolineato, è la data di nascita del cantante). Diventa così il nostro beniamino.
Segue l’album Storie di casa mia con cui conferma la sua vena a corrente alternata, tra piccoli gioielli di struggente pop melodico (La casa in riva al mare, Per due innamorati e Il gigante e la bambina“, destinato a divenire hit dell’amico Ron che si presenta sul famoso palco sempre nel 1971), confusi quadretti naif (Un uomo come me, Il bambino di fumo) e piccole cadute di stile (il coro un po’ pacchiano di Itaca). Ma a trascinare il disco è il singolo 4 marzo 1943 , benedetto tra i fiori di Sanremo e lanciato anche in Brasile (nella versione di Chico Buarque De Hollanda), in Francia (a cura di Dalida) e in Giappone.
Nel 1972 con Piazza Grande: ancora sul palco di Sanremo presenta una toccante storia di marginalità e solitudine. Santi che pagano il mio pranzo non ce n’è/sulle panchine in Piazza Grande,/ma quando ho fame di mercanti come me qui non ce n’è./E se non ci sarà più gente come me/voglio morire in Piazza Grande,/ tra i gatti che non han padrone come me attorno a me.
Da queste parole emerge la passione, il sociale, la carnalità, la poesia dell’essere artista. Forte di questo successo Lucio, propone quello che è il suo stile, il suo mondo. Brani con arrangiamenti stranianti, linee melodiche eccentriche, suoni e rumori “concreti”, storie spiazzanti e interpretazioni vocali d’impronta jazzistica, tutte giocate sulle improvvisazioni e sui cambi di registro. Un universo musicale avanti anni luce rispetto alla scena italiana dell’epoca.
Inizia così la sua collaborazione con il poeta bolognese Roberto Roversi, intellettuale marxista e fondatore, insieme a Pasolini e Fortini, della rivista letteraria “Officina”.
I due primi album sono pioneristici, con brani mai tradizionali ma politicizzati, forti, un urlo contro il potere, contro il falso perbenismo, altalenanti parole che si incastrano tra il poetico e la cruda verità. Quando, per esempio, parla di immigrazione ( attuale oggi nel 2017) o di cementificazione. Questo luogo del cielo è chiamato Torino/ lunghi e grandi viali/ splendidi monti di neve/ illuminate tutte le sponde del Po/ mattoni su mattoni/ sono condannati i terroni/ a costruire per gli altri/ appartamenti da 50 milioni.
Il duo propone Il giorno aveva cinque teste che racchiude tutto quello che succedeva negli anni 70 a livello di vita sociale e politica. Poi arriva Anidride solforosa. Dove raccontano l’inquinamento che oggi è un incubo: i due già denunciano le industrie che avvelenavano l’aria, l’emarginazione, ma propongono anche con Mela da scarto, la storia di un detenuto nel carcere minorile.
Conclude la trilogia Automobili: per la sua musicalità, per la sua modernità, per i suoi chiari oscuri ritmi, riesce ad attirare l’attenzione del grande pubblico, un vero meritato trionfo che porta il lavoro discografico ai vertici delle classifiche. Il brano portante è sicuramente Nuvolari, ritratto in chiave eroica di uno dei miti delle corse automobilistiche, ma il cuore del disco è rappresentato dalla canzone Il motore del 2000, belle melodie, belli i testi. Lucio, dopo anni di oscurantismo- ma solo dalla parte del pubblico- ritorna alla grande, riempie gli spazi a ogni suo concerto, inizia l’ escalation.
Finito il connubio con Roversi esce Come è profondo il mare (noi diciamo come è profondo Lucio). Un disco di storie quotidiane a sfondo autobiografico, di cani randagi braccati e di anime perse: emozione e poesia dei testi, alla ricerca dell’uomo e della vita, fluidità ed estro delle musiche, attacco folgorante alla quotidianità, tenerezza, sogni.
In una sua intervista racconta: «Avevo undici anni quando mia madre, donna strana, una stilista che non sapeva mettere un bottone, mi portò in un istituto psicotecnico di Bologna per un test sulle mie attitudini. Risultò che ero un mezzo deficiente… ».
Il mezzo deficiente diventa una star. La conferma ancora una volta con l’album Lucio Dalla che contiene brani di infinita dolcezza. Testi d’incredibile intensità giocati sulle assonanze in un miscuglio di lingua colta, sintassi parlata e dialetto, e interpretazioni sanguigne, ricche di colpi di scena, completano un quadro pressoché perfetto con una musicalità fine e ricercata.
Alla fine degli anni 70 Lucio propone allegri ritmi che non nascondono profonde malinconie come Cosa sarà, primo frutto del sodalizio con De Gregori. Dall’unione artistica nasce Banana Republic lo storico tour: i due artisti riempiranno gli stadi proponendo i loro repertori con vecchi e nuovi brani del tipo Come fanno i marinai. Un grande evento, un successo incredibile dal quale saranno tratti l’omonimo doppio live e un film.
Finito il sodalizio con Francesco De Gregori esce Futura: emblematico titolo con cui Lucio auspica un futuro migliore per tutte e per tutti, usando l’unico strumento che possiede, la sua grande mente di musicista e uomo. L’album contiene la trascinante Balla balla ballerina.
Dopo questo ennesimo successo, un declino intellettuale, un momento di proposte poche apprezzate dal grande pubblico. Nemmeno Viaggi organizzati e due anni dopo Bugie fanno decollare di nuovo Lucio.
Nel 1986 arriva Caruso, un brano che non ha bisogno di presentazioni, cantato da tutti, un vero hit. Lucio è di nuovo in auge. Con Gianni Morandi affronta un fortunato tour Poi arriva la mitica Attenti al lupo, Lucio spopola.
Negli anni successivi Lucio si inventa e si reinventa. Arrivano album come Amen – un live- ancora Henna, Canzoni. Viene premiato con la laurea honoris causa del Dams di Bologna in Discipline dell’arte, musica e spettacolo. Propone concerti spettacolo, con le sue pantomime. Il suo modo buffo di ballare, e le sue coriste- bravissime- ma sempre un poco sopra le righe. Alti e bassi come è sempre stata la sua carriera.
Poi nel 2001 Einaudi gli dedica Parole e canzoni (2001), un cofanetto con tutti i testi delle canzoni e un video; nello stesso anno Dalla pubblica il suo primo libro di racconti Bella la vita, edito da Rizzoli. Abbraccia la lirica, i mondo delle favole: sempre interessanti lavori, a volte poche apprezzati, duetta con Mina, con Mengoni, la Consoli, Ron, Tiromancino, Pavarotti, Guccini e Vecchioni. Bellissimo duetto anche con Nino D’Angelo in ‘O Surdato ‘nnammurato.
Ritorna con Francesco de Gregorio in tour. Parallelamente a questi eventi diventa compositore di colonne sonore per Monicelli, Antonioni, Giannarelli, Verdone, Campiotti, Placido. Si distinque anche come conduttore televisivo in uno show tutto suo La Bella e la Bestia affiancato dal sex symbol Sabrina Ferilli.
Parlando di lui, poliedrico è un eufemismo. Si cimenta anche come gallerista, organizzatore di eventi, talent scout. Lucio su, Lucio giù. Ma resta sempre il grande Dalla per tutti. Nel 2012 torna anche a Sanremo, accompagnando Pierdavide Carone nel pezzo Nanì apprezzatissimo dalla critica.
Lucio continua le sue fortunate e seguitissime tournée e durante una di queste si addormenterà per sempre. I funerali non possono che svolgersi il 4 marzo, giorno in cui avrebbe compiuto 69 anni. La sua vita privata è rimasta sempre avvolta da un velo di riservatezza.
Ciao Lucio, Napoli vuole salutarti con queste tue parole. Te voglio bene assaje/ Ma tanto tanto bene sai/ È una catena ormai/ Che scioglie il sangue dint’ ‘e ‘vvene sai…
Dalla, quel napoletano nato a Bologna
PRIMA PARTE
Tra Ferrara e la Luna ci può essere il mondo, ma tra Marte e l’Africa c’è Napoli (Lucio Dalla). Desideriamo cominciare così il nostro ricordo dedicato a uno dei più grandi cantautori italiani del Novecento. Lo faremo trascrivendo tutto quello che gli artisti, la gente comune, gli uomini di cultura del popolo partenopeo hanno detto e scritto di lui. Lucio Dalla, un napoletano nato a Bologna e rinato a Napoli, L’amore viscerale del cantautore bolognese per la città partenopea, Diceva di sentirsi un uomo del sud, è che la cicogna probabilmente in quel momento doveva essere stata cieca.
Evidentemente la cicogna non poteva sapere che Lucio Dalla (foto) avrebbe scritto e cantato Caruso, diventato un cult, un inno alla bellezza campana, oppure Fiuto (Fiuto/ogni angolo è un rifiuto/E’ un rifiuto sistemato/Neanche tanto squilibrato/Che trase ‘a na parte ‘a n’ata iesce/Miezo ‘o mare e vvote cresce/ La schiumazza d’ ‘o passato) contenuto nell’album Angeli nel Cielo del 2009 e interpretato con Toni Servillo,tributo che l’artista sentiva di dare a Napoli e ai suoi cittadini.
La cicogna non sapeva nemmeno che avrebbe cantato brani come Anima e core ed Era de Maggio, testo che lui arricchiva con una sua versione contemporanea, mantenendone la poesia e la musicalità: «è poesia allo stato puro- diceva- la mia è solo una testimonianza della memoria, ma anche del valore contemporaneo da ascoltare mentre si fa l’amore, mentre ci si guarda negli occhi o si fa un viaggio. Gli autori di queste canzoni erano persone comuni, niente di che sul piano antologico: questa è la dimostrazione che l’arte e la creatività sono totalmente diffuse nei napoletani e non solo in pochi geni».
Ancora la cicogna non sapeva che Lucio accennava nei suoi concerti Addio a Napoli, uno dei cavalli di battaglia del tenore Enrico Caruso. Come non conosceva le dichiarazioni che Lucio avrebbe fatto da adulto. «Napoli si fa presto a dire sembra una città non lo è, è una nazione, una repubblica. Tra Ferrara e la Luna ci può essere il mondo, ma tra Marte e l’Africa c’è Napoli … Io non posso fare a meno, almeno due o tre volte al giorno di sognare di essere a Napoli. Sono dodici anni che studio tre ore alla settimana il napoletano, perché se ci fosse una puntura da fare intramuscolare con dentro il napoletano, tutto il napoletano, che costasse anche duecentomila euro, me la farei, per poter parlare e ragionare come ragionano loro da millenni». E, ancora aggiungeva: «il mistero della vita dove bene e male si confondono, ma comunque pulsano».
Parole carnali, viscerali, che solo un poeta partenopeo come lui poteva pronunciare. Sì, perché Lucio era napoletano nell’ anima. Grazie Lucio, e perdona la cicogna…. L’abbiamo perdonata anche noi napoletani.
Napoli ricambiava amorevolmente. Quando si esibiva a Piazza del Plebiscito, la città accorreva, migliaia di persone lo applaudivano anche per sentire con la sua voce Buon Anno Napoli. Amato, ammirato, stimato anche dagli artisti partenopei.
Lucio viveva la nostra città, sostenitore del teatro San Carlo, socio del del Real Yacht Club Canottieri Savoia. Amava il babà e Totò che definiva non mistificazione, ma espressione dell’arte. Sicuramente indirizzandosi ai critici che avevano recensito il nostro Principe in modo poco dignitoso… E come non ricordare che il cantautore bolognese (solo all’anagrafe) si recava spesso nello lo storico tempio della sceneggiata, il Teatro 2000?
E a proposito di Lucio, ci piace riportare un piacevole aneddoto di un uomo qualunque. «Sono un napoletano che ama andare in vacanze a Taormina, alcuni anni fa giravo per i vicoletti stretti del paesino, dove baretti, ristoranti, negozietti vivono le loro attività. In questi luoghi ho incontrato il mondo delle star internazionali. Da lontano sento la voce inconfondibile di Lucio Dalla, mi avvicino al baretto …. Era lui che cantava dal vivo accompagnato semplicemente da una pianola… che grande emozione, il mio idolo a pochi passi: sembrava che cantasse solo per me. Come diciamo a Napoli Mi arricreiai. Mi chiedevo come mai un personaggio come lui si esibiva per pochi eletti, in un semplice bar…In seguito, l’ho incontrato spesso sul corso di Taormina, lo guardavo, mi sorrideva cortese, passeggiava con il suo bastone di legno indossando pantalaccio e canottiera blu. Venni così a sapere della sua passione per l’isola siciliana, per il suo amore per il Sud… e in special modo per la mia città…».
(1.continua)