SECONDA PARTE
Sergio Bruni ha avuto anche qualche esperienza cinematografica, ma il suo primo film come protagonista non ebbe grande successo. Si tratta di Serenata a Maria diretto da Luogi Capuano. Siamo nel 1957.
Successivamente avrà molte proposte ma accetta nel 1972 di partecipare come cantante al film di Billy Wilder e nel 1974 a un altro diretto da Vittorio De Sica. Il cinema proprio non gli interessa, mentre la pittura lo appassiona e sempre come autodidatta inizia a dipingere. Le sue opere trovano buoni consensi tra i critici: questo accade tra il 1960 e il 1970.
Bruni si è anche cimentato a cantare brani non solo scritti per lui e da lui: possiamo almeno citare almeno questi testi che lui proponeva: l’indimenticabile Fenesta vascia, La serenata di Pulcinella, attribuita a Cimarosa e A rumba d’’e scugnizzi di Raffaele Viviani. Un’operazione di recupero della tradizione.
Il patrimonio artistico che Sergio Bruni ci ha lasciato è ricco di brani preziosi, vere gemme, incastonate nei tanti lp, ma portate anche in giro per il mondo. Dall’America alla Russia dove i suoi concerti sono un trionfo.
Ma quello che a lui preme in vita è soprattutto lo studio della canzone partenopea e in suo insegnamento. Rigoroso e pignoloanche nell’accettare contratti: infatti rifiuta favolosi ingaggi nonostante la corte serrata da parte degli impresari. Decide, infine, di prendersi un periodo di riposo ritirandosi nella sua villa partenopea di Parco Comola Ricci, nel quartiere Chiaia.
Comunque non si ferma, stipendia per anni il pianista Gianni Aterrano per dedicarsi quasi esclusivamente allo studio della canzone napoletana classica. Anche se rifiuta di esibirsi, resta nei cuori dei napoletani, attivissimo nel dedicarsi a un repertorio classico cantando brani che si avvicinano al proprio stile canoro, recuperando tradizioni antiche -in contrasto con l’avvento rokkettaro e la musica moderna che si affaccia all’orizzonte. Il tempo gli darà ragione, sempre più apprezzato e stimato.
Nel 1975 firma le musiche di Levate ‘a maschera Pulicenella”. Per i versi sono di Salvatore Palomba. Otto brani che daranno poi corpo all’omonimo spettacolo televisivo e teatrale.
Sempre dal connubio con Palomba nasce la storica Amaro è ò bbene da cui prende spunto il disco Una voce una città, contenente il brano È asciuto pazzo ‘o padrone musicato da Bruni con parole di Eduardo de Filippo.
Ma quante altre belle canzoni sono legate al suo nome… Come non ricordare O gigante da muntagna o Marechiaro marechiaro?
E arriviamo agli anni Duemila. Bruni si trasferisce nella capitale dove vivono due delle sue quattro figlie. Una scelta determinata da motivi di salute ma anche da ragioni artistiche: Roma offre altre opportunità.
Intanto Villaricca organizza una giornata per il maestro, partecipa Nino D’Angelo, grande estimatore di Brun che nel dicembre 2008 pubblicherà un Cd in suo onore intitolato D’Angelo canta Bruni.
Ancora nel 2001 il maestro incide il suo ultimo brano dal titolo Ma dov’è. Due anni dopo Sergio Bruni ci lascia per sempre: si spegne all’ospedale Santo Spirito di Roma per una crisi respiratoria. Affidando a noi tutti un vero tesoro.
Ma facciamo qualche passo indietro. Tra il 1980 e 1990 il maestro realizza insieme a Roberto De Simone (con cui cura l’orchestrazione di brani del ‘500 ma anche alcune di sua composizione) un’antologia (prodotta dallo stesso Bruni) raccolta in un cofanetto contenente quattro 33 giri, e un libro curato da De Simone. Il tutto verrà di nuovo pubblicato nel 1991 in formato Cd e Mc, ma aggiungendo un secondo cofanetto con oltre 40 brani, per completare l’excursus.
Bruni è stato un cultore vero della musica che non ha mai dimenticato le sue origini, il suo passato. Non a caso decide di insegnare la sua arte gratuitamente. E nel 1990 fonda il Centro di cultura per la canzone napoletana che ospita a casa sua: qui svolge insieme a alcuni amici attività didattiche. Lezioni di canto e chitarra per i giovani.
Crea anche un piccolo teatro di 25 posti, dove insieme si esibisce con gli allievi. E’ un boom di richieste ma possono assistere solo persone invitato o prenotate. L’ingresso è libero.
A 90 anni dalla nascita, la figlia, Bruna Chianese, gli dedica un libro: Mio padre Sergio Bruni la voce di Napoli presentato nel settembre 2011 nel foyer del Teatro San Carlo, una bellissima manifestazione dove artisti e istituzioni ricordano il maestro. Mentre nel 2013 Nino D’Angelo gli dedicherà un concerto.
Concludiamo questo omaggio con il ricordo di un suo allievo, collaboratore e amico, Peppe Napolitano: «Negli anni ottanta, Bruni era un idolo canoro: tutti i partiti lo corteggiavano per averlo in lista, offrendogli l’assessorato alla cultura. Ma lui rifiutò sempre. Era stato combattente partigiano, devotissimo alla Madonna di Loreto, ma si teneva lontano dalla politica. Poi ci lascio il 22 giugno del 2003. Era una domenica, fu sepolto momentaneamente a Somma Vesuviana, in una tomba anonima offerta da un parente. I politici del tempo presero l’impegno solenne di riportarlo presto nel cimitero di Napoli, a Poggioreale. Invece sono passati anni ed è ancora lì».
(2.fine)
PRIMA PARTE
Dice una canzone di Sergio Bruni: Levateme ‘a cravatta, levateme ‘a giacchetta, ma lasciateme ‘a libertà. Queste parole la dicono lunga sul personaggio di uno dei più grandi indimenticabili maestri dimenticati.
Ma come si può dimenticare chi fa parte della grande storia musicale napoletana? Un uomo della resistenza: viene arruolato nel 91esimo reggimento di fanteria di Torino e nel settembre del 1943, mentre si trova a casa in licenza di convalescenza, apprende che a Napoli la gente sta insorgendo contro le truppe tedesche, così forma con una decina di giovani della sua età un gruppo di volontari. Si procurano armi: il 29 settembre, con l’aiuto di un capitano d’artiglieria, riescono a “liberare” il ponte di Chiaiano, minato dai tedeschi. Sulla via del ritorno, in uno scontro a fuoco con una pattuglia di militari tedeschi, viene ferito gravemente , i compagni di avventura lo caricano su un mezzo di trasporto di fortuna (‘na carrettella) e, dopo varie peripezie raggiungono l’ospedale, per metterlo in salvo.
Come trascurare la sua bellissima Carmela? Stu’ vico niro nun fernesce majee pur ‘o sole passa, e se ne fuje/ma tuu staje lla’ tu rosa,/preta e stella…carmela carme’
tu chiagne sulo si’ nisciuno vede/e strille sulo si’ nisciuno sente/ma nunn’e’ acqua’ ‘o sanghe dint’e vene… carmela… carme… Il brano è stato definito l’ultima canzone classica napoletana. Le bellissime parole di Bruni musicate dal maestro Salvatore Palomba ancora oggi sono interpretate da cantanti che posseggono particolare voci, già perché “Carmela” non la possono interpretare tutti.
Si ll’ammore è ‘o ccuntrario d’a morte/E tu ‘o ssaie,/si dimane è sultanto speranza,
e tu ‘o ssaie/Nun me può fa’ aspettà fino a dimane:/astrigneme int’ e braccia pe stasera,
Carmela…Carmeee.
Vera poesia, parole che descrivono una Napoli con mille problematiche, una Napoli, con le sue sofferenze, prendendo come emblema una donna, Carmela.
Sergio Bruni, nome d’arte di Guglielmo Chianese, nasce a Villaricca il 15 settembre 1921 da Gennaro e Michela Percacciuolo, famiglia umile e molto povera. Gugliemo lascia la scuola non avendo la famiglia la possibilità di comprargli nemmeno le scarpe.
Ha undici anni quando viene istituita una scuola serale di musica per formare una banda musicale, Guglielmo si iscrive e diventa suonatore di clarinetto. La famiglia si trasferisce da Villaricca a Chiaiano, dove il futuro Maestro (titolo che meritava davvero) inizia a lavorare come operaio, senza mai dimenticare e abbandonare la sua passione per la musica. I suoi amici diventano i suoi primi fan. Apprezzandone le doti canore, lo invogliano a continuare su questa strada, spingendolo a frequentare una scuola di canto: Docenti, due grandi personaggi, Gaetano Lama e Vittorio Parisi.
Guglielmo si distingue subito per la sua bravura, tanto che Parisi lo propone come cantante al Teatro Reale di Napoli, il successo è immediato, gli impresari rifiutano di farlo cantare ancora, oscura gli artisti scritturati.
Arriva, poi, la grande occasione. Partecipa e vince un concorso bandito dalla Rai. Il concorso per voci nuove si svolge al Teatro delle Palme di Napoli. Da questo momento inizia la sua ascesa. Primo posto con 298 voti, il premio 3000 lire e un contratto con Radio Napoli… un vero riscatto, un vero trionfo, è il 1945.
Dicono che fosse una persona pignola, severa nell’insegnamento, molto professionale e professionista, ma se scaviamo nella sua storia questo suo atteggiamento è giusto e giustificabile. Infatti al suo debutto in Radio Napoli, viene messo a dura è prova con estenuanti esercizi di dizione e canto guidato dal maestro Gino Campese, che gli suggerisce il nome d’arte … Sergio Bruni.
Campese è molto esigente, pretende qualità e professionalità. Umile, Sergio Bruni, usando la sua grande intelligenza, contemporaneamente alle trasmissioni, inizia a studiare da autodidatta e con il sostegno di un insegnante. Con grandi sacrifici e immensa dedizione. Finalmente il periodo di inutili soste sotto la galleria, ritrovo di artisti in cerca di scritture, diventano un ricordo.
Nel 1948 incide il suo primo disco per l’etichetta La voce del padrone. E nello stesso anno sposa Maria Cerulli. Arrivano le edizioni di Piedigrotta, il festival più ambito, la kermesse musicale che ha lanciato grandi nomi. Sergio Bruni ottiene un grande successo con la casa editrice la Canzonetta dove viene scritturato e partecipa alla sua prima Piedigrotta con il brano Vocca ‘e rose. In seguito parteciperà ancora e sempre con un successo e una accoglienza da parte dei napoletani.
Citiamo ancora brani come Surriento d’’e nnammurate di Bonagura – Benedetto (1950); ‘A rossa e ‘O rammariello di L. Cioffi e G. Cioffi (1952); ‘A luciana e Chitarrella chitarrè di L. Cioffi e G. Cioffi (1953); Vienetenne a Positano di Bonagura – De Angelis (1955) e Piscaturella di Pisano – Alfieri (1956). Alcuni di questi diventeranno veri cult della melodia partenopea grazie alla sua gestualità composta e signorile.
Il suo più grande momento di popolarità e di espressione è stato il Festival della Canzone napoletana. Pensiamo a Sciummo di Bonagura – Concina (1952), cantata anche da Mario Abbate, Mina, Claudio Villa, Enzo Gragnianiello, tanto per citarne alcuni, tanto per dire quando sia stato emulato dai grandi. Poi arrivano gli storici ‘O ritratto ‘e Nanninella di Scarfò – Vian (1955); Suonno a Marechiaro di Fiore – Vian (1958);la stupenda Vieneme nzuonno di Zanfagna – Benedetto (1959). E pass’ ‘o tiempo
sunnanno ll’ammore,/sultanto ll’ammore,/e nun s’arrènne stu core/penzanno, aspettanno a te.
Quest’ultima, portata anche in Brasile da Fausto Cigliano e ripresa pure da Giacomo Rondinella. I successi sono innumerevoli: da Marechiaro Marechiaro di Murolo – Forlani a Serenata a Margellina di Martucci – Mazzocco. E nel 1960 per la prima volta partecipa al Festival di Sanremo, trionferà con Il mare e E mezzanotte. E su quel palco sarà consacrato come ‘a voce ‘e Napule.
(1.continua)