SECONDA PARTE
VinArte 2019 nel borgo antico di Guardia Sanframondi si riconferma luogo della creatività. E dopo aver curiosato tra i sentieri della pittura e della scultura, eccoci nel mondo della fotografia proposto dalla manifestazione. A curarla è la giovane critica d’arte Azzurra Immediato, originaria di Benevento, ma bolognese d’adozione.
Riflettendo sul valore della fotografia, Azzurra indaga la valenza di durata, o meglio, di scansione temporale, nel corso di un parallelismo dialogante tra idea e tecnica, tra logos e techné. Il dialogo si inserisce in una speculazione certamente estetica, ma non solo.
Quando si scatta ci si interroga intimamente sulla durata: è un periodo di tempo differentemente misurabile o percettibile? La fugacità di un attimo può durare in eterno o, contrariamente e per antitesi, perdersi in un solo istante, nella sua naturale inafferrabilità. Così la fotografia, come narrazione del vero, interagisce con la ricerca di un equilibrio tra le dissonanze del presente e le incognite del futuro.
«La fotografia – spiega Pasquale Palmieri- è il tramite attraverso cui il mutamento, paradossalmente, sosta e acquisisce valore attoriale, seguendo il proprio percorso. Uno scatto trattiene ciò che era, ciò che è e ciò che non sarà più, mediante un codex del tutto peculiare, unico, in grado di fondere la realtà con l’immaginario». Ogni scatto, per lui, diventa illusione di aver catturato la fulgida identità di qualcosa che più non è.
Mentre le foto di Luigi Salierno sostano in una dimensione che reca con sé il senso più intimo di una presa di coscienza radicale: nella sua coerenza, rinuncia alla propria individualità verso un infinito universale.
Architetto e fotografo, Salierno conosce bene il senso di ciò che resta e ciò che scompare, del potere del tempo sulle cose umane, su quanto deriva da idee con destini immortali, segnate, tuttavia, dall’arrendersi alla caducità della natura.
Solchi Lucani è il cammino di Francesco Cardone nella sua terra d’origine, la Basilicata; una terra non semplice da raccontare. Terra di mezzo, commistione di influenze e caratterizzata da una indecifrabile peculiarità che la rende ricca di una atavica suggestione. Una sorta di luogo archetipico che l’autore ha voluto indagare con la sua fotocamera, inquadrandola secondo una visione che lascia da parte le città ed i monumenti su cui solitamente ci si concentra, per determinare, al contrario, una drammaturgia per immagini. Tra natura e umanità, bellezza ideale e bellezza reale.
Poi c’è Tempus Spiritus di Anna Rosati. Tre opere su un supporto in tela di grande formato: l’autrice mette un scena e racconta l’altrove, descrive e sublima la caduta del tempo, nella sua monumentale decadenza. Il ruolo di vita come ‘infinito apparato effimero’ ha generato nell’uomo la necessità di costruire architetture e simbologie per accogliere e trattenere ciò che passa, inafferrabilmente. Il suo trittico abbandona la realtà per trasformarsi in surreale spazialità, nel gioco di luci e ombre che abbraccia l’inquadratura, facendola propria ed agguantando l’occhio dell’osservatore.
Fotografo, scrittore, giornalista ma anche viaggiatore, Natalino Russo declina uno sguardo che abbraccia Oriente – la Giordania e la Grecia – con l’Occidente – Roma. E si confronta con l’ineffabile ma anche con la storia, cogliendo i segreti del mondo con lirismo e armonia.
Le cronache fotografiche di Pasquale Di Cosmo portano a rivivere luoghi antichi, come quello che fu il setificio leuciano o il borgo originario di Apice, abbandonato dopo un funesto terremoto; le fotografie dialogano nella cornice di una memoria della distruzione catturando misteriosi scorci: perturbanti manichini che si specchiano, mentre un estintore segnala un metaforico allarme, o ancora una vecchia auto sopravvive alle macerie, un putto marmoreo guarda un affresco.
Mariagrazia Pigna con Equilibrio si concentra su uno sguardo interiore che genera poesia narrativa attraverso dettagli evocativi . Tra una nivea camera da letto a Taranto, un angolo immerso d’un bosco del Matese, una piazza di Valencia. La solitudine dell’Io è momento da immergere in un determinato spazio, per fondere elementi del proprio sentire con la natura, l’architettura, l’intimità del quotidiano… Sussurri e enigmi nell’ineffabile prospettiva della durata.
Francesco Garofano propone il reportage La frana del tempo qui si è fermata. Viaggio visuale attraverso tre continenti: Africa, Europa e America, ma anche viaggio ideale nel Bello e nell’ Effimero. Garofano sonda il mondo, per scoprire “il tempo che è stato e sempre sarà” nella volatilità del pensiero umano e delle sue azioni. Ogni scatto mette in forma un pensiero che trionfa sulla naturale inerzia dell’uomo, mostrando la strada per inconsuete possibilità di cambiamento.
Momento importante della rassegna l’omaggio di Vinalia e VinArte a Salvatore Di Vilio (anima e sguardo delle immagini che raccontano l’avventura di Vinalia) con il libro La Cina è lontana? accompagnato da un testo di Giuseppe Montesano. Racconto di una geografia emotiva senza spazio e tempo.
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(2.fine)
Per saperne di più
Fino al 10 agosto
http://www.vinalia.it/
PRIMA PARTE
VinArte fa il pieno di visitatori. E le figure misteriose di Constantin Migliorini dialogano con l’uomo del quotidano dipinto da Jorit
Boom di presenze nel cuore antico Guardia Sanframondi per la rassegna “Vinalia” che mescola, in una sapiente alchimia enogastronomica, creatività e cultura. Fiore all’occhiello della manifestazione organizzata nel beneventano, “VinArte”, l’evento diretto da Giuseppe Leone (fino al 10 agosto).
Confronto d’artisti. Tra l’Antico Monte dei Pegni, l’ex Sagrestia dell’Ave Gratia Plena, l’ex municipio, la Chiesa dell’Ave Gratia Plena e Palazzo Marotta Romano è possibile ammirare le opere di Vishka e Amir Sabet Azar, le misteriche e oniriche figure di Constantin Migliorini, la tela di Jorit che sarà una pala d’altare laica, la scultura di Mariano Goglia e la fotografia di Anna Rosati, Francesco Cardone, Francesco Ciotola, Natalino Russo. A questi nomi si uniscono quelli dei fotografi guardiensi Mariagrazia Pigna, Pasquale Di Cosmo e Francesco Garofano.
I dipinti del toscano Constantin Migliorini sono contraddistinti da una esemplare trattazione della materia, protagonista di un ruolo attoriale in grado di farsi elemento di un processo attivato dalla relazione e dal serrato dialogo tra pars costruens e pars destruens, in senso metaforico e non solo.
Attraverso le scelte compiute dall’artista di Poggibonsi (in provincia di Siena), emerge che Migliorini punta a vivificare il legame che unisce la sua figurazione con le profondità della psiche, con la commistione tra afflato insondato e sua tangibilità, raffigurata in corpi che si moltiplicano, si assottigliano, mutano. Sullo sfondo, la storia della bellezza, fondata, a sua volta, sulla storia dei sensi, dell’uomo e della sua relazione con il tempo.
Le opere racchiuse in quello scrigno che è l’Ave Gratia Plena di Guardia Sanframondi raccontano di anime latrici di pathos ed estasi al contempo, in una fusione che giunge dal valore della creazione, in una dimensione cosmogonica ancora oggi inspiegabile. Il processo dialogico attuato da tali dipinti nello spazio ospite si nutre di un itinerario estetico definibile per via esperienziale, volta ad una nuova ricerca identitaria, non già e non solo descritta dalle titolazioni, essenziali – come accade per la palette cromatica scelta dall’artista – ma affidata al racconto di ricostruzione per frammenti. Tali frammenti, generati da una composizione pittorica e scenica in costante mutevolezza, propongono una reiterazione che plasma la materia assecondandone il trascorrere del tempo, negli istanti e nello spazio che attraversa.
I soggetti di Migliorini, nella loro plurima presenza, intonano un silente canto, originano un ritmo che è narrazione, un “respiro” altrimenti indicibile, oltre la mimesis pura per ricercare una differente e ben più complessa riconoscibilità. L’effimero della vita, l’essenza di ciò che resta e muta, è sostanziato dal gesto, dalla trattazione della superficie che, d’un tratto, si definisce per moltiplicazione, proponendo all’astante una pressoché inesauribile peregrinazione dei sensi e dell’inconscio.
“E tuttavia nello stato di grazia della durata finalmente non sono più io solo.” Le parole dello scrittore austriaco Peter Handke non potevano non introdurre anche l’opera di Jorit, intitolata Paolo e presente sempre in Ave Gratia Plena, uno dei luoghi di VinArte ove tornare a riflettere sul valore dell’arte, in comunione con quanto Vinalia, da ormai ventisei anni si propone, ovvero, lanciare dei forti messaggi attraverso la cultura e la sua epocale trasversalità.
Paolo, uomo del quotidiano, del reale, è il protagonista della grande tela che, come una novella pala d’altare, stravolge, finalmente, il senso di un’arte che ha finito per diventare ambito destinato ad una élite.
Jorit afferma : «Noi dichiariamo il mondo come nostra tela pittorica», attestando, dunque, l’abbattimento delle tradizionali modalità di veicolazione del messaggio artistico, la volontà di calarsi nello spazio urbano e sociale, la creazione di un legame profondo con la dimensione metropolitana, antropologica e il distacco, invece, dalla obsoleta idea di vandalizzazione del tessuto architettonico.
La Street Art, nella sua valenza contemporanea, ha ridisegnato il volto delle città, è divenuta dettaglio fondante della nuova idea di imago urbis, contrastando il grigiore di una archeologia cittadina del decadimento e della fatiscenza. Alla caducità del disinteresse umano, l’arte di strada ha offerto la possibilità di guardare oltre.
Soggetto di questa amplissima dimensione artistica è il deus ex machina, lo stratega di un ripensamento dello spazio urbano, ossia lo street artist, in grado di tessere la trama dell’incontro tra le due realtà, investendo su una trasformazione che è, in primis, culturale, oltre che fenomenica.
Jorit, dalle strade, dalle periferie o dai luoghi simbolo delle maggiori metropoli, a VinArte propone un dialogo con le opere di Constantin Migliorini, riflettendo sulle valenze della figura nel contemporaneo, sulla loro ‘durata’ in un itinerario estetico plurimo.
Già in passato il direttore artistico Leone, lo ha definito il Caravaggio degli anni 2000; lo street artist, mediante i volti di gente comune e di persone note o di simbolici personaggi, ha dato vita alla sua idea di umanità, un popolo che è divenuto icona, rimandando alla grande tradizione passata, traslandola, però, in un linguaggio attuale. Uomini e donne del popolo, come in gigantografie iperrealiste, calciatori come da figurine, santi come da pale d’altare, hanno generato quella che è stata definita una “tribù” eterogenea eppure profondamente inscindibile, iconograficamente legata ad una caratterizzazione peculiare – come, ad esempio, accade per i segni rossi tracciati sui visi di tutti i suoi protagonisti, quasi fossero emblemi di un rituale semiotico ma anche ancestrale di tradizione africana, che egli ben conosce.
L’idea del contrasto, tuttavia, si pone come una sorta di Leitmotiv nella ricerca di Jorit tesa ad un profondo rapporto con il reale, con il simbolo, con la storia e la conoscenza. Ecco, pertanto, l’occasione per originare una relazione che esce dalle periferie urbane e giunge in quella che, erroneamente, può considerarsi la periferia di un ampio territorio a tradizione rurale che, al contrario, trova nella gloriosa storia del passato il quid unico per raccontarsi, per proporre una traccia narrativa desueta, primigenia.
Dunque, un inconsueto canto della durata che dalla street art giunge in un edificio secentesco, oggi non più consacrato e che, in una sorta di percorso a ritroso, sancisce, in tale connubio artistico, un miracolo laico, rinnovato nel contemporaneo, ovvero quello affidato alla pittura, al suo parlare a tutti.
Paolo di Jorit sublima e unisce un legame atavico con le radici generazionali, con simboli, volti e loro interpretazioni, nel solco di una antropica cosmogonia destinata a durare nel tempo.
Una doppia personale, certamente, ma anche una residenza artistica, imperniata su giornate di laboratorio pittorico, è, invece, Profumo di Persia di Vishka ed Amir Sabet Azar: un progetto espositivo che vede i due fratelli, insieme con altri artisti ed alcuni dei fotografi presenti a VinArte 2019, protagonisti di un itinerario artistico immaginato come azione: Guardando ad Occidente.
Leone asserisce: «Ciò significa, in qualche modo, predisporsi ad ascoltare con gli occhi ciò che i due giovani artisti, Vishka e Amir, impegnati per una settimana “in loco” attraverso una serie di esperimenti e laboratori, intenderanno suggerire al loro pubblico attuale. In questo risiede anche l’opzione metodologica adottata, ovvero, considerare l’opera d’arte come una “realtà vivente”, capace di generare “abitazioni mentali”, strutture di senso e pulsioni emozionali, non informando solo l’intelletto e le ragioni storiche e/o della ragione, ma interpellando anche il sentimento, per motivare l’uomo in toto, nella sua durata».
Dalle loro opere si noterà un’aspirazione tesa verso un profondo desiderio di libertà e liberazione, di vita gemmante, affiancata, tuttavia, da costrizioni ingabbianti l’umanità e che, al contrario, grazie al potere salvifico dell’arte, si innalza in una dimensione che non pare più così sfuggente. Come ricorda Vishka Sabet Azar, «Il tempo passerà, i ricordi si dissiperanno. I sentimenti cambieranno, gli uomini se ne andranno, ma il cuore mai dimenticherà».
Nella rosa di opere proposte, emerge il fulcro di un apporto dialogico meraviglioso e fondamentale tra culture differenti, con uno sguardo centrato sull’universo dell’eterno femminile, dai tratti alteri, spirituali e dalla funzione precipuamente catartica o di una traduzione pittorica di attese, di oniriche o mnemoniche percezioni, in immanente attesa di libertà. Un esistenzialismo che accomuna la semiotica della pittura di Vishka, delicata e suggestiva, a quella del fratello Amir, più concreta e determinata.
Nell’Antico Monte dei Pegni, prende corpo una poesia visiva che fonde idiomi e calligrafie – in special modo nelle opere di Amir Sabet Azar – al fine di generare una nuova identità, allorquando i dipinti di Vishka Sabet Azar porranno l’accento su un’intrinseca femminilità, riflessione sul corpo della donna, inteso come luogo di liberazione culturale ed interiore, nel segno di una frattura con retropensieri del passato. Le donne descritte da Amir, invece, mostreranno la sfera più immaginifica, in cui emblemi e presenze animiche determinano una convivenza tra speranza e melancholia.
E poi c’è la scultura tra le antiche pietre del borgo vecchio di Guardia Sanframondi con Mariano Goglia. Le opere in marmo policromo di Vitulano raffigurante da vedere a Palazzo Marotta a Guardia Sanframondi.
Goglia, guidato da poesia interiore, scolpisce, affidandosi alla primigenia della materia ed alla bellezza della forma. Egli si presenta come alchimista che modula la materia, il marmo, in una primordiale unione con il metallo, secondo una sorta di rituale che fonde passato e contemporaneità, mediante cui i volti che egli scolpisce rimandano ad archetipiche bellezze, quelle che, da un tempo lontano, ancora oggi, racchiudono e custodiscono la forza degli elementi, il sentimento di costellazioni artistiche ed umane ataviche e persistenti.
L’autore crea un fil rouge millenario, delinea, secondo le istanze di un abbecedario riconoscibile, peculiare e custode della essenza delle forme, una ricerca che scopre nel legame con la terra, con la sua pietra e con la sua umanità, una panica risposta, la quale, puntuale, giunge a scomporre il velo che copre l’arte, originando opere, come quelle che animano il percorso di VinArte 2019, attestanti la vibrante presenza sottesa di pathos che, tuttavia, non eccede, non urla.
Le sue figure generano una varietà di letture che, a partire dalle titolazioni, adoperano una coralità di significazioni tese a iconografie, archeologie, espressionismi plurimi e in continua compenetrazione.
Tramite il proprio idioma scultoreo traduce una nostalgica suggestione, in grado di porsi come sentimento che somma in sé intuizioni giunte da un lontano passato, con la memoria personale dell’artista e collettiva, manifestando nel presente una traccia, un solco eterno, arcaico e contemporaneo, al contempo, fascino in fieri di altrimenti inenarrabili interiorità.
Infine, l’atelier Pietre Vive dell’artista Carmine Maffei. Un universo dall’identità unica, fucina creatrice, palcoscenico di una mise en scène collettiva che ospita artisti e studenti dell’Accademia di Belle Arti di Napoli per produrre un nuovo concettualismo “anticoncenttuale”. Obiettivo: attraverso le opere, trasmettere un messaggio chiaro agli spettatori.
Un discorso a parte merita la sezione fotografica di cui parleremo nel nostro prossimo excursus tra le strade di questa magnifica cittadella d’arte, orgoglio della Campania.
©Riproduzione riservata
(1. continua)
8 agosto 2019
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