L’apertura di nuovi spazi in un grande edificio come il Palazzo Reale di Napoli ci porta a riflettere sul ruolo che assume l’architettura a disegnare le aree urbane. Ogni edificio assolve prima di tutto il compito di rispondere alle esigenze abitative e alla funzione che è chiamato a svolgere.
Palazzo Reale di Napoli non solo segna il paesaggio in cui è inserito ma, in armonia col contesto, dialoga con esso e ci racconta dei desideri dei committenti che si sono succeduti nella sua costruzione.
La sua architettura sembra richiamare il pensiero di Marco Vitruvio Pollione, architetto e scrittore romano, attivo nella seconda metà del I secolo a.C., secondo cui tale arte si basa essenzialmente su tre categorie: la saldezza strutturale e costruttiva, definita come soliditas o firmitas, la rispondenza a precise funzioni, le cosiddette utilitas e la bellezza indicata con il termine romano venustas.
Il primo spazio che incontriamo racchiude il passato di altri spazi. Si tratta di modellini, opere e video che illustrano la storia del Palazzo Reale in un nuova realtà espositiva permanente realizzata accanto alla nuova biglietteria e che introduce alla visita dell’Appartamento di Etichetta. Collocata al pianterreno, con accesso dal Cortile d’Onore, questa mostra racconta la storia del palazzo attraverso vari blocchi narrativi che partono dalla fondazione del palazzo nel periodo vicereale, continua con la configurazione nel periodo borbonico e si completa con le vicissitudini conseguenti all’unità d’Italia e alla trasformazione a Museo.
Nella prima sezione 1600-1734: La fondazione del Palazzo nel periodo vicereale viene proposto la storia della Reggia nel periodo vicereale. Nel 1503 è il Gran Capitano Gonzalo Fernández de Córdoba a conquistare per gli spagnoli tutto il regno di Napoli che perde la propria autonomia e per oltre due secoli è governato da un viceré per conto di Madrid[1].
È stato Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga, governatore e illuminato urbanista a decidere la costruzione di un palazzo Vicereale nell’area dell’odierna piazza Trieste e Trento. I lavori iniziano nel 1543, su progetto degli architetti Ferdinando Manlio e Giovanni Benincasa: si tratta di una costruzione a corte, una residenza fortificata, tipica dell’epoca, con due torri angolari e una facciata modesta che si apre su piazza S. Spirito, l’attuale piazza Trieste e Trento.
È stata la contessa di Lemos, moglie di Fernando Ruiz de Castro, viceré di Napoli dal luglio 1599 all’ottobre del 1601, a far balenare a re Filippo l’idea di una visita ufficiale al suo regno napoletano, in realtà mai effettuata. Il Palazzo dei viceré è troppo piccolo e modesto per ospitare il sovrano spagnolo con tutta la sua corte.
A questo punto don Fernando, ordina la costruzione del nuovo Palazzo e l’area scelta per la nuova costruzione è situata accanto al palazzo Vicereale, utilizzando una parte dei giardini di quest’ultimo; in posizione dominante sul porto è un’ottima via di fuga per il re in caso di attacco nemico. Il progetto viene affidato a Domenico Fontana, considerato il più prestigioso architetto di quel periodo e la prima pietra viene posta nel 1600 in quella che all’epoca è chiamata piazza San Luigi e che corrisponde in parte all’attuale piazza Plebiscito; per fare spazio al nuovo Palazzo Reale viene demolita una delle sue due torri angolari del Palazzo Vicereale.
A differenza delle sedi adibite a residenze reali fino in quel momento mirate alla fortificazione e alla difesa del potere, questa volta ci si orienta verso una costruzione più rappresentativa che militare. L’architetto ticinese, che si era distinto a Roma al servizio di Papa Sisto V, realizza una maestosa facciata verso Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito.
Sul versante orientale la nuova costruzione ingloba i giardini reali che si espandono verso Castelnuovo mentre il fronte meridionale sul mare rimane incompiuto a causa di un’interruzione dei lavori già nel 1604, anno in cui lo stesso Fontana descrive il palazzo nell’edizione napoletana del volume in cui illustra le proprie opere. Alcuni anni dopo, con il riavvio dei lavori, si procede alla decorazione degli interni: diversi dipinti sono ancora oggi in parte visibili, come gli affreschi di Battistello Caracciolo e di Belisario Corenzio, altri sono stati distrutti da interventi successivi[2].
Nel 1648 con l’elezione del viceré Don Iñigo Vélez de Guevara per il palazzo si apre una nuova fase. Il nuovo viceré oltre a gestire uno dei periodi più complessi della storia napoletana, l’insurrezione di Masaniello, l’occupazione di Ischia da parte dei francesi, la rivolta della famiglia Pignatelli, la Real Repubblica Napoletana[3], la congiura ordita da Andrea d’Avalos, principe di Montesarchio, si dedica al completamento dell’edificio affidando l’incarico all’architetto Francesco Antonio Picchiatti.
Con gli interventi di questo periodo viene completato il fabbricato verso il mare con un collegamento diretto con il sottostante arsenale con la darsena, si porta a termine la cappella già prevista da Domenico Fontana, viene inserito un nuovo maestoso scalone d’onore e realizzata la grande Sala dei Viceré, l’attuale Salone d’Ercole, che ebbe un’importante funzione di rappresentanza anche durante il viceregno austriaco durato dal 1707 al 1734, anno in cui Carlo di Borbone salì sul trono del Regno di Napoli.
La seconda sezione ha come tema 1734-1806: La reggia di Carlo di Borbone, il regno di Ferdinando IV e la Repubblica napoletana Nel 1734 Carlo di Borbone diventa re di un Regno autonomo e Palazzo Reale diviene la sua residenza ufficiale. Per accogliere il re e la sua numerosa corte si rendono necessari importanti interventi di ristrutturazione dell’edificio: c’è la costruzione del cosiddetto braccio nuovo verso est, viene creato un giardino pensile con affaccio sul Golfo, sono edificati due nuovi cortili e riorganizzati gli appartamenti privati del re e della regina.
Dopo aver inaugurato, nel 1737, il teatro di San Carlo, collegato direttamente alla Reggia, nel 1738 il palazzo è pronto ad accogliere la nuova coppia di sovrani Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia giunta a Napoli da Dresda il 6 luglio di quell’anno.
Per l’evento nozze vengono decorati alcuni ambienti del palazzo dai migliori pittori allora attivi a Napoli. Alcune di queste pitture, come quelle dell’appartamento del re di Francesco Solimena e di Francesco de Mura, si sono perdute mentre altre che si credevano distrutte, in occasione dei restauri, sono state ritrovate.
Si tratta degli affreschi che ornavano l’appartamento della regina: sulla volta dell’alcova l’Allegoria della Fecondità di Nicola Maria Rossi mentre nei due gabinetti adiacenti le Allegorie dell’Unione Matrimoniale e della Regalità realizzati da Domenico Antonio Vaccaro.
Nelle stanze della regina sono ancora visibili le raffinate volte settecentesche impreziosite da ornati in stucco bianco su fondo oro in puro stile rococò. Nella volta della prima anticamera dell’Appartamento di Etichetta è possibile ammirare, dello stesso periodo, il dipinto di Francesco De Mura che raffigura il Genio Reale e le virtù del Re e della Regina incorniciate dalle quadrature architettoniche di Vincenzo Re, scenografo di Corte per il teatro di San Carlo, oltre agli arazzi tessuti della manifattura fondata da Carlo di Borbone nel 1737. Una serie di incisioni della metà del 700, realizzate in occasione delle celebrazioni per la nascita del primogenito Filippo, documentano l’assetto del Palazzo Reale al tempo di re Carlo.
Nel 1753, su progetto di Luigi Vanvitelli, per motivi statici, vengono murate alternativamente otto delle sedici arcate della facciata seicentesca e inglobati i vecchi giardini vicereali verso Castelnuovo: con quest’ultimo il Palazzo Reale resta collegato attraverso un ponte tuttora esistente. Nel 1759 Carlo, chiamato sul trono di Spagna, abdica in favore del figlio Ferdinando che ha appena 8 anni: per questo viene affiancato da un consiglio di reggenza fino al compimento dei 16 anni.
Nel 1766 il nuovo re sposa Maria Carolina d’Austria e per l’occasione la sala regia, in precedenza utilizzata per feste e commedie in musica, viene definitivamente trasformata in teatro di Corte dall’architetto Ferdinando Fuga.
Durante il suo Regno Ferdinando IV, oltre ad avvalersi della manifattura degli arazzi fondata dal padre Carlo, promuove la Fondazione della Real fabbrica di porcellane, che colloca negli ambienti a pianterreno nell’area del precedente giardino vicereale.
Il 15 agosto 1790 nella cappella reale viene celebrato il matrimonio per procura delle due figlie di Ferdinando: la primogenita Maria Teresa sposa il cugino Francesco II d’Asburgo Lorena, futuro imperatore del Sacro Romano Impero, mentre la principessa Luisa Maria Amalia va in sposa al cugino Ferdinando III d’Asburgo Lorena granduca di Toscana.
Il sontuoso evento è descritto nel dipinto di Antonio Dominici il corteo nuziale sosta sullo scalone d’onore rappresentato prima della sua riconfigurazione ottocentesca. In primo piano è ancora visibile una delle personificazioni dei fiumi spagnoli Ebro e Tago che affiancano la prima rampa mentre la parte superiore viene liberamente modificata per esigenze scenografiche dal pittore.
Nel 1798 con l’approssimarsi della conquista della città da parte dell’esercito francese Ferdinando e la sua famiglia lasciano Napoli per trasferirsi a Palermo. In effetti nel gennaio 1799 i francesi occupano Napoli e instaurano la Repubblica napoletana durata però soltanto pochi mesi perché già all’inizio dell’estate la città viene riconquistata dalle truppe borboniche: tuttavia il rientro dei reali nella capitale del Regno avviene soltanto nel 1802.
L’oggetto della terza sezione è: 1806-1816: Dalla Dominazione francese alla Restaurazione. Con l’ingresso trionfale a Napoli di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, il 15 Febbraio 1806 ha inizio il decennio francese.
Due anni dopo è Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore, a continuare quel processo di ammodernamento dello Stato e della società civile intrapreso dai nuovi regnanti. In questo periodo vengono avviati importanti interventi urbanistici che coinvolgono anche il Palazzo Reale di Napoli che rappresenta la sede ufficiale della corte.
Gioacchino e sua moglie Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone, affidano all’architetto francese Etienne-Chérubin Leconte e al toscano Antonio Niccolini il rinnovamento degli appartamenti reali e la sistemazione esterna del complesso monumentale. La disomogeneità architettonica di questo spazio è ben visibile nel dipinto di Alexandre Dunouy Veduta di Palazzo Reale da Santa Lucia che lo ritrae dai giardini di palazzo Salerno, residenza del principe Achille, erede al trono, e degli altri tre figli di Gioacchino Murat. Sulla terrazza del palazzo dei principi si scorgono una donna e due giovinette identificabili con le principesse Letizia e Luisa Murat e la loro governante.
Le fanciulle sembrano indicare un calessino guidato da un giovane con indosso una feluca, probabilmente il principe Achille. Per la facciata sull’attuale via Acton l’architetto Niccolini immagina due corpi sporgenti uniti da una gran terrazza concepita come giardino pensile: un sistema articolato di gradinate avrebbe collegato il palazzo ai vasti giardini da realizzarsi al posto delle antiche fonderie e del vicino Arsenale con l’apertura di una strada litoranea che univa le due marine del molo e di Santa Lucia. Sebbene non attuato questo progetto è stato certamente di ispirazione per i successivi interventi di restauro intrapresi dai Borbone durante il Regno di Ferdinando II quando Gaetano Genovese restaura il fronte a mare seppure con un progetto meno articolato di quello dell’età Murattiana.
Carolina Bonaparte contrassegna con il proprio gusto l’allestimento del Palazzo Reale di Napoli che in quegli anni si arricchisce delle sue collezioni di pittura e sculture antiche e moderne poi disperse ma anche di una preziosa serie di arredi inviati da Parigi per il palazzo del Quirinale scelto dall’imperatore come propria residenza a Roma.
Dopo la caduta di Napoleone nel 1814 gli arredi vengono portati dal cognato Gioacchino Murat nella reggia di Napoli dove sono tuttora conservati. Durante il decennio francese si avvia la sistemazione e la regolarizzazione del Largo di Palazzo con la creazione del grande emiciclo colonnato: il foro Gioacchino che viene modificato dopo il ritorno di Ferdinando di Borbone con l’inserimento della basilica di San Francesco di Paola, eretta come ex voto per la riconquista del Regno delle due Sicilie.
Nel dipinto di Aniello de Aloysio raffigurante la posa della prima pietra vediamo il centro della scena il re che getta in un pozzo la pietra di Fondazione del nuovo maestoso tempio dedicato al Santo calabrese. Alla solenne cerimonia religiosa partecipano la corte, il clero e una folla festante di sudditi. Sullo sfondo a destra svettano in lontananza il forte di Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martin.
Nella sezione successiva 1830-1859: La riconfigurazione del Palazzo al Tempo di Ferdinando II delle Due Sicilie viene riportata l’aspetto ottocentesco che assume il palazzo in questo periodo. Il dipinto di Paolo Albertis Entrata a Napoli di Ferdinando I immortala una folla festante che il 17 giugno 1815 saluta il ritorno di Ferdinando dall’esilio palermitano ormai non più come re di Napoli ma come primo re delle due Sicilie.
Sullo sfondo è raffigurata la facciata di Palazzo Reale con l’adiacente palazzo cinquecentesco dei viceré e sulla sinistra il palazzo della foresteria borbonica, attuale sede della prefettura, in fase di costruzione.
La condizione in cui versava Palazzo Reale agli inizi dell’Ottocento è fornita dal modellino attribuito all’architetto di Corte Antonio Niccolini e databile al 1811: il Palazzo Vecchio è ancora annesso al palazzo realizzato da Domenico Fontana, lo scalone d’onore è rappresentato nel suo aspetto seicentesco privo dei grandi finestroni che oggi illuminano l’ambiente. Dietro la cappella reale si sviluppa il braccio nuovo che durante il periodo napoleonico è adibito ad appartamento della regina con accesso indipendente da un nuovo scalone ed ora ingresso della Biblioteca Nazionale.
Particolare la presenza della cosiddetta baracca dei tremuoto un singolare edificio costruito come riparo per la famiglia reale in caso di eventi sismici. L’aspetto del Palazzo Reale mostrato nel modellino rimane immutato fino agli anni 30 dell’Ottocento quando matura l’idea di una riorganizzazione architettonica e funzionale della Reggia. In più c’è la necessità di rimediare ai danni dell’incendio che la notte del 6 febbraio 1837 è divampato nell’ala settecentesca del palazzo a partire dalle stanza abitate dalla regina madre dove si trova l’appartamento della regina consorte, moglie di Ferdinando II, raffigurato nel dipinto di Carlo De Falco La regina Maria Cristina di Savoia nel suo studio.
Nel 1837 il re approva il progetto elaborato dall’architetto di casa Gaetano Genovese che si propone di conferire omogeneità formale all’intero complesso. Alcuni degli interventi vengono riprodotti in modelli di legno realizzati per essere sottoposti all’approvazione del re.
Il modello della cosiddetta Sala T rappresenta il vestibolo ideato dal Genovese al piano nobile come snodo tra l’appartamento di etichetta e gli appartamenti privati che si trovavano nei locali oggi occupati dalla Biblioteca Nazionale.
Il modello dello scalone d’onore che si compone di due parti per essere accostate ed osservate da tutti i lati ha ancora gli stemmi borbonici sostituiti dai Savoia. L’ultimo modello riproduce la parte centrale del porticato nel cortile d’onore col fondale della fontana significativo punto focale rispetto all’ingresso principale del palazzo. Nel progetto originario la grande nicchia avrebbe dovuto accogliere il gruppo scultoreo con Partenope che incorona il genio delle arti commissionato allo scultore Tito Angelini ma mai portato a compimento per motivi economici.
Nel 1847 Gaetano Genovese dona al re Ferdinando II un disegno ad acquerello dove l’architetto riporta attraverso vedute prospettiche i punti salienti del progetto di riforma per Palazzo Reale in cui sono inseriti i medaglioni con i ritratti del re e della regina Maria Teresa d’Austria e i simboli di Napoli e della Sicilia: il cavallo rampante e la trinacria.
Sul fronte settentrionale l’architetto elimina il palazzo vicereale, realizza come raccordo con il teatro S. Carlo un porticato con una cancellata in ghisa, e apre grandi finestroni sullo scalone d’onore che viene inondato di luce e dotato di un nuovo apparato decorativo che gli conferisce una marcata impronta neoclassica.
Il prospetto principale su Largo di palazzo viene prolungato simmetricamente con due arcate cieche sovrastate da terrazze collegate da una parte al nuovo fronte verso il teatro S. Carlo e dall’altro al giardino pensile prolungato fino al limite della piazza.
Sul fronte meridionale Genovese abbatte l’edificio del Belvedere e rettifica la facciata elevandola per intero fino al secondo piano. La maestosità di questo fronte è sottolineata dall’inserimento del nuovo Belvedere un piccolo padiglione aperto con tre serliane[4] aperte verso il mare. In asse con il Belvedere al piano nobile viene inserito un ponte in ghisa che scavalca il cortile e collega direttamente gli appartamenti alla terrazza del giardino pensile.
Abbattute le strutture settecentesche sul lato settentrionale viene creato un giardino all’inglese con la collaborazione del botanico e giardiniere tedesco Friedrich Dehnhardt. Lungo la cancellata disegnata dal Genovese, accanto all’ingresso, furono posti i gruppi bronzei dei Palafrenieri realizzate dallo scultore russo Peter Jakob Clodt von Jürgensburg, donati a Ferdinando II dallo zar di Russia Nicola I nel 1846.
Le scuderie vengono sistemate negli spazi sottostanti il maneggio settecentesco verso il fossato di Castelnuovo Altre parti del Palazzo che hanno subito trasformazioni rappresentate nel disegno di Genovese sono il cortile d’onore riconfigurato con l’inserimento di vetrate al primo piano, la cappella reale con il suo nuovo portale d’ingresso dall’ambulacro e il piccolo oratorio neo-gotico collocato negli appartamenti privati al II piano. Con la riorganizzazione funzionale l’antico appartamento diventa l’appartamento di etichetta mentre le stanze private del re e della regina sono trasferite al II piano dell’ala est dotato di ambienti più ampi e luminosi. Al piano nobile settecentesco è sistemato l’appartamento delle feste con ingresso indipendente dello scalone dell’epoca napoleonica che oggi dà l’accesso alla biblioteca nazionale.
I lavori terminano nel 1858 e da allora il Palazzo non ha subito altri interventi sostanziali di rifacimento e di ampliamento; per questo motivo si può dire che la sua immagine attuale è quella che gli è stata conferita con i lavori diretti da Gaetano Genovese
Nell’ultima sezione 1861-1949 Dall’Unità d’Italia al Museo sono esposti i busti di re e regine fino a Vittorio Emanuele III. Il referendum del 21 ottobre 1860 sancisce l’annessione del Regno delle due Sicilie al Regno di Sardegna mentre il 17 marzo 1861 viene proclamato il nuovo stato unitario il Regno d’Italia con Vittorio Emanuele primo re d’Italia. In linea di massima a Palazzo Reale gli allestimenti borbonici non subiscono sostanziali variazioni.
Alcune sale di rappresentanza come la prima anticamera, che apre il percorso della sala delle udienze nell’appartamento di etichetta, diventa dopo il 1862 sala da pranzo del corpo diplomatico e l’arredo in sintonia con la volta settecentesca viene radicalmente modificato secondo il gusto neo barocco allora in voga. Il trono borbonico simbolo per eccellenza del potere regio viene conservato ma privato di ogni riferimento alla precedente casa regnante: c’è solo l’aggiunta dell’emblema di casa Savoia l’aquila con lo scudo crociato. Per rafforzare l’unità del nuovo Regno la dinastia sabauda soggiorna spesso a Napoli utilizzando il Palazzo Reale fino alla fine della monarchia.
Nel 1919 durante il Regno di Vittorio Emanuele III e di Elena di Montenegro il palazzo viene ceduto con un apposito decreto al demanio. La famiglia reale conserva i propri appartamenti privati ma viene aperto ai visitatori l’appartamento di etichetta per due pomeriggi a settimana. Nel 1927 una notevole porzione della Reggia diventa sede della Biblioteca Nazionale. L’appartamento delle feste che già durante la prima guerra mondiale era stato allestito come ricovero per i feriti viene sgomberato e adattato alla nuova funzione d’uso.
I drammatici anni della seconda guerra mondiale e i bombardamenti che colpirono gravemente Palazzo Reale, riportati alla fine del percorso espositivo, hanno l’aspetto di uno stretto corridoio, una sorta di tunnel del terrore.
Il resto della storia è recente: l’armistizio al termine del conflitto, il re costretto all’esilio dall’esito del referendum del 2 giugno 1946, la nascita della Repubblica italiana il 22 dicembre 1947 (con l’approvazione della Costituzione).
Questa esposizione permanente che consente di ripercorrere la storia del palazzo è importante perché focalizza le radici. L’apertura di nuovi spazi in un grande edificio come il Palazzo Reale di Napoli ci porta a riflettere sul ruolo che assume l’architettura a disegnare le aree urbane. Ogni edificio assolve prima di tutto il compito di rispondere alle esigenze abitative di chi ci deve vivere, e alla funzione che è chiamato a svolgere.
La storia più interessante del Palazzo inizia ora perché deve aiutare a immaginare e a disegnare il futuro. «l futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte». (Karl Popper)
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NOTE
[1] Per le vicissitudini relative a questo periodo vedi anche https://www.ilmondodisuk.com/palazzo-reale-di-napoli-riaperta-al-pubblico-la-prima-anticamera-dellappartamento-di-etichetta-il-potere-della-vita-nel-luccichio-sfavillante/
[2] Nella prima anticamera sopravvive una porzione dell’originario fregio ad affresco attribuito allo stesso Corenzio. Nel frammento compaiono due stemmi con aquile dalle ali spiegate e il collare dell’ordine cavalleresco del Toson d’oro emblemi del re di Spagna
[3] La prima Repubblica napoletana fu una breve entità politica seicentesca (1647), istituita a Napoli dopo la fine della rivolta popolare, animata da Masaniello e Giulio Genoino, contro il regime vicereale spagnolo.
[4] Finestra a tre luci, quella centrale archivoltata e quelle laterali architravate, ideata da Sebastiano Serlio che la illustra ne Il primo libro dell’architettura, Venezia 1551, ma già nota nell’antichità, Raffaello è il primo a darne una rappresentazione pittorica nell’Incendio di Borgo. Giulio Romano la diffonderà in area padana e Palladio ne farà uno dei principali motivi delle sue composizioni.
Per saperne di più
https://palazzorealedinapoli.org/
[…] Prosegue l’itinerario di Carmine Negro tra i nuovi spazi di Palazzo Reale. Il primo articolo è stato pubblicato il 29 luglio. Potete leggerlo a questo link. […]
[…] come il Palazzo Reale di Napoli ci insegna.(3. fine. Per integrare la lettura, basta cliccare link 1 e link 2)©Riproduzione […]