Prosegue l’itinerario di Carmine Negro tra i nuovi spazi di Palazzo Reale. Il primo articolo è stato pubblicato il 29 luglio (ecco il link ).
Nella Reggia, il pubblico potrà ammirare il Belvedere, il Museo della Fabbrica, con la nuova biglietteria e accoglienza nel cortile d’Onore e la mostra temporanea che attraversa i quattro secoli della sua storia nella Galleria del Genovese al piano nobile. Eccone il racconto.
Lasciato il Museo della Fabbrica, per la seconda tappa di questo viaggio a Palazzo Reale, devo raggiungere il piano nobile. Mentre salgo i gradini che mi devono portare nella Galleria Genovese, sono rapito dalla bellezza e dalla grandiosità dello Scalone d’Onore, definito da Montesquieu nel 1729 le plus beau escalier d’Europe[1].
Un flusso luminoso oltrepassa i finestroni e inonda lo spazio sottolineando il candore delle balaustre finemente lavorate. Quando alzo lo sguardo sulle pareti laterali gli occhi sono colpiti dalle quattro nicchie che accolgono le virtù regie: la Giustizia e la Fortezza a destra, la Clemenza e la Prudenza[2] a sinistra. Ancora più in alto la salita è protetta da una volta decorata con stucchi bianchi festoni e stemmi del Regno delle Due Sicilie[3].
Il percorso visivo sembra portarmi nella struttura di un romanzo dell’Ottocento: l’universo delle idee realizza l’impalcatura necessaria entro cui far muovere i personaggi, sottolineando il distacco tra soggettivo e oggettivo.
Con l’opera di Marcel Proust c’è un’evoluzione: l’oggettivo non è più una quinta teatrale ma diventa essa stessa una specie di protagonista. È come se il microcosmo dei personaggi e il macrocosmo dei concetti diventassero inscindibili disegnando un’idea del mondo totalmente nuova in cui l’Io non è in contrapposizione con l’esterno, piuttosto è interrelato ad esso in una sorta di rapporto osmotico. Una concezione che consente di guardare il mondo con uno sguardo che permette di abolire la distanza tra soggetto e oggetto[4].
Guardando le strutture che disegnano lo spazio e gli oggetti che gli danno forma, dalle mura agli infissi, dai lampadari ai marmi, dagli intonaci ai gessi ho come la sensazione di vedere impressi i sogni e le abilità degli uomini che le hanno richieste, immaginate e rese reali. La storia, che nel suo significato più profondo si identifica con ispezione, ricerca e conoscenza, anche qui come in altri luoghi è presente con un aspetto: le tracce di una vita che travalica la morte, dove ogni traccia e quindi ogni vita è necessaria anzi indispensabile per poter conoscere e osservare ogni manufatto del contesto.
Le riflessioni che mi hanno tenuto compagnia in questo passaggio danno spazio ad altre considerazioni quando oltrepasso la soglia verso questa mostra che, attraverso dipinti, sculture, disegni e stampe, intende descrivere la storia del Palazzo dalla sua fondazione fino all’Ottocento. Si tratta di una storia che, in questa parte della città, ha ridisegnato l’urbanistica, collegandosi al centro di potere di età angioina e aragonese come Castel Nuovo, costruito una struttura rilevante e prestigiosa come il Teatro San Carlo, definito l’evoluzione di piazza del Plebiscito, che, circoscritta da due palazzi e dalla Real Basilica di S. Francesco di Paola, si completa con la Reggia.
Già prima della ristrutturazione ottocentesca il complesso monumentale ha ospitato svariate funzioni della corte: da quelle militari, in particolare i collegamenti con la Darsena, alla cavallerizza con relative scuderie, dal teatro alle manifatture degli arazzi e delle porcellane, fino alla Real Stamperia Borbonica. Una pluralità di funzioni che si ritrova ancora oggi nella coesistenza all’interno del Palazzo Reale di più istituti culturali, come il Museo, la Biblioteca e il Teatro.
Il Palazzo Reale di Napoli, così come lo vediamo oggi, è frutto di una stratificazione di interventi avvenuti nell’arco di quasi quattro secoli, ovvero dalla costruzione del palazzo vicereale nel 1600 fino ai restauri successivi, ai bombardamenti e all’occupazione militare che la reggia subì durante la Seconda guerra mondiale.
Per il direttore Mario Epifani Il viaggio attraverso i “quattro secoli di storia” … è qui illustrato da diverse opere d’arte … ripercorre la cronologia di Palazzo Reale dalla sua fondazione fino ai più recenti lavori di restauro e riallestimento. … Si tratta di un importante tassello nel percorso di recupero dell’identità storica del complesso monumentale, avviato nel 2020 con la gestione autonoma del museo: un percorso in cui lo sguardo si allarga fino a includere la storia di Napoli, d’Italia e di tutta l’Europa in età moderna. Queste ricerche e questa stessa esposizione rappresentano una solida base per l’impostazione del lavoro di tutela e valorizzazione svolto dal museo”.
Questa mostra che, grazie a piante, vedute, disegni, ma anche dipinti, sculture, incisioni e stampe, documenta lo stretto rapporto del palazzo con la città, si propone di arricchire il racconto della storia del Palazzo in occasione dell’apertura del Museo della Fabbrica, percorso introduttivo alla visita dell’Appartamento di Etichetta.
1600-1734: I VICERE’ E IL PALAZZO DI DOMENICO FONTANA (CORRIDOIO)
Il percorso di visita inizia passando attraverso due quinte che riproducono le ante del cinquecentesco Palazzo vicereale una costruzione antecedente a quella di Palazzo Reale.
Nel 1837 il re approva il progetto elaborato dall’architetto Gaetano Genovese che, oltre ad una riorganizzazione architettonica e funzionale della Reggia e a rimediare ai danni dell’incendio sviluppatosi nella notte del 6 febbraio 1837, prevede l’abbattimento del Palazzo Vicereale. Tra gli arredi superstiti venduti c’è il portale principale del Palazzo che viene acquistato e collocato in vico Spezzano, dove si trova tuttora.
Le colonne impresse in rilievo, che raffigurano le Colonne d’Ercole, simbolo dello stretto di Gibilterra, lo scudo ovale accollato all’aquila bicipite simbolo del potere imperiale, il galero in rilievo, identificato per alcuni come cappello arcivescovile e per altri cardinalizio, la caldaia manicata recante sei serpi con le teste uscenti da essa, emblema della famiglia Pacheco[5], sottolineano la straordinaria testimonianza storica oltre che artistica di questo manufatto.
Vincenzo Amorosi autore de I Colori Araldici del Reggio Portone Vicereale di Napoli[6],[7] ricorda quanto scritto da Antonio Maresca su Napoli Nobilissima: Gaetano Filangieri, Principe di Satriano, propone di acquistare il portale per collocarlo nel Museo Industriale da lui fondato, oggi museo Filangieri, ottenendo un rifiuto dai proprietari del palazzo di vico Spezzano e dagli eredi del duca Carmine Maria Muscettola dei principi Leporano e duca di Spezzano. Un rifiuto che si è ripetuto successivamente, quando si è ventilato di trasferire il portale in un’altra sede, prima del restauro finanziato dagli Amici dei Musei di Napoli e dai Condomini del palazzo di vico Spezzano 5.
Bisogna essere grati a quanti si sono adoperati per l’acquisto delle ante di questo portone ma il suo luogo naturale di esposizione dovrebbe essere Palazzo Reale per consentire a studiosi e turisti, che visitano quel luogo di fruirne, e permettere a quel manufatto di raccontare a tutti la storia degli uomini che l’hanno realizzato. Un’operazione che se realizzata oculatamente potrebbe portare benefici per tutti.
Nel 1600 il viceré Fernando Ruiz de Castro, VI conte di Lemos, fa costruire una nuova residenza, per una degna accoglienza del re di Spagna, e affida il progetto all’architetto ticinese Domenico Fontana, ritratto nella medaglia di Domenico Poggini.
La maestosa facciata sul Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito è visibile nel dipinto raffigurante L’arrivo del cardinale Ascanio Filomarino in visita al viceré e nell’incisione di Nicolas Perrey Teatro al largo di palazzo. Feste … per la nascita del principe di Spagna. Dopo la morte di Fontana avvenuta nel 1607 restano da completare sia il lato verso il mare che quello a est, verso Castel Nuovo. La planimetria esposta evidenzia come la nuova residenza vicereale abbia progressivamente inglobato i preesistenti giardini, continuando a convivere per oltre due secoli con il vecchio palazzo vicereale. Nella prima metà del Seicento i viceré si dedicano alla decorazione degli interni con gli affreschi di Belisario Corenzio e Battistello Caracciolo, tuttora visibili nell’Appartamento di Etichetta.
Nel 1648 il nuovo viceré Íñigo Vélez de Guevara y Tassis, conte di Oñate, affida all’architetto Francesco Antonio Picchiatti il completamento dell’edificio verso il mare, che prevede un collegamento diretto con il sottostante arsenale e la darsena, la costruzione di una cappella, già prevista da Fontana e la realizzazione di un nuovo grandioso scalone ispirato a quello dell’Alcázar di Toledo.
La sistemazione seicentesca è documentata da dipinti, disegni e incisioni in cui è possibile vedere il versante meridionale del palazzo, come l’incisione acquerellata del tardo Seicento che mostra in particolare l’angolo tra l’arsenale e la salita del Gigante e la veduta a volo d’uccello che mostra la città dal golfo, risalente all’inizio del Settecento. Sulla parete in fondo al corridoio è esposto il dipinto raffigurante Il Largo di Palazzo, opera di Gaspar van Wittel, che introduce alla prima sala.
1734-1799: LA REGGIA DI CARLO DI BORBONE E FERDINANDO IV (PRIMA SALA)
Nel 1734 Carlo di Borbone sale sul trono del Regno di Napoli e Palazzo Reale diviene la residenza ufficiale di un sovrano presente in città. Per adeguarlo alla nuova funzione sono intrapresi importanti interventi di ristrutturazione dell’edificio come l’ampliamento del palazzo verso Castel Nuovo, la costruzione del Braccio Nuovo e la creazione del Giardino Pensile con affaccio sul golfo.
Nel progetto di Biase De Lellis per la pavimentazione della terrazza del Giardino Pensile sono chiaramente visibili i gigli borbonici. Vengono, inoltre, costruiti due nuovi cortili e riorganizzati gli spazi interni, in particolare gli appartamenti privati del re e della regina, decorati dai principali artisti del tempo. Nel 1759 Carlo di Borbone, chiamato sul trono di Spagna, deve abdicare in favore del figlio Ferdinando che, all’età di otto anni, eredita i regni di Napoli e di Sicilia. L’importante evento storico è illustrato dai due dipinti di Michele Foschini che raffigurano la Sala del Trono e la Cappella Reale, dove si svolgono le cerimonie dell’abdicazione e del giuramento.
Dopo un periodo di reggenza, nel 1767 Ferdinando può regnare in autonomia e l’anno successivo sposa Maria Carolina d’Austria: per l’occasione la Sala Regia, già utilizzata per feste e commedie in musica, come si vede nel volume illustrato da Vincenzo Re, viene trasformata in Teatro di Corte dall’architetto Ferdinando Fuga. Le modifiche proposte da Luigi Vanvitelli, la chiusura di parte delle arcate del portico per garantire maggiore stabilità all’edificio, caratterizzano l’aspetto settecentesco della facciata del Palazzo. Nei dipinti di Antonio Joli, che illustrano scorci urbani vengono visualizzate tali trasformazioni e illustrato il collegamento con Castel Nuovo tramite un ponte tuttora esistente.
1799-1837: DAL VENTO DI CAMBIAMENTO ALLA RESTAURAZIONE (II SALA)
La breve e drammatica esperienza della Repubblica Napoletana, nata nel gennaio 1799 col sostegno dell’esercito francese e soffocata nel sangue della prima restaurazione borbonica si chiude dopo solo cinque mesi.
Questa tumultuosa fase storica è rappresentata dal dipinto di Saverio Della Gatta che raffigura La distruzione dell’albero della libertà a Largo di Palazzo del 1800, con la scultura antica e la fontana poi trasferite rispettivamente al Museo Archeologico Nazionale e in via Partenope. L’assetto del fronte meridionale della reggia, prima della radicale ristrutturazione di metà Ottocento, è ben documentato dalla veduta del Museo Filangieri, in cui spicca il corridoio coperto, che collegava il Palazzo al sottostante arsenale.
Nel decennio francese, 1806-1815, sul trono di Napoli si avvicendano Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat che promuovono importanti interventi urbanistici, affidando ad Antonio Niccolini la sistemazione del complesso monumentale e dell’area urbana circostante. Il Progetto Grande dell’architetto toscano, mai realizzato, è illustrato da un gruppo di disegni del Museo di San Martino. In particolare, per la facciata meridionale Niccolini prevede un complesso di giardini che avrebbe incluso l’area dell’arsenale, collegando la zona di Santa Lucia e il molo mentre in sostituzione del Palazzo Vecchio, progetta l’edificio della Guardia Reale, dal prospetto curvilineo. è il dipinto di Louis Lemasle, raffigurante il matrimonio per procura della principessa Carolina di Borbone, primogenita dell’erede al trono Francesco, con Charles-Ferdinand d’Artois, duca di Berry, celebrato nella Cappella Reale nel 1816 a documentare gli ambienti interni del Palazzo nel primo Ottocento.
1837-1860: INTERVENTO DI GENOVESE E LA FINE DEL REGNO (III SALA)
Il piano di Riduzione del Real Palazzo, che si propone una riorganizzazione architettonica e funzionale della Reggia, dopo il disordine edilizio generato nei secoli precedenti, viene avviato durante il regno di Ferdinando II di Borbone, presente in questa sezione con un ritratto realizzato dal pittore Giuseppe Martorelli nel 1844. Ad accelerare l’esecuzione la necessità di rimediare ai danni dell’incendio sviluppato nella notte del 6 febbraio 1837[8], riportato in un dipinto del pittore Anton Sminck Pitloo, che ha distrutto buona parte dell’ampliamento settecentesco del palazzo.
Nello stesso anno il re approva il progetto dell’architetto Gaetano Genovese, che tiene conto delle proposte non realizzate degli architetti che lo hanno preceduto, come l’idea progettuale illustrata nella pianta attribuibile al luganese Pietro Bianchi[9]. Genovese demolisce il Palazzo Vecchio realizza una nuova facciata sul lato settentrionale e crea le condizioni per illuminare con grandi vetrate lo Scalone d’Onore al quale viene conferita una nuova veste neoclassica.
Sul fronte nord sistema il giardino all’inglese, col contributo del botanico Friedrich Dehnhardt e colloca ai lati del nuovo ingresso la coppia di Palafrenieri in bronzo, successivamente spostati verso Castel Nuovo. Sul lato meridionale dopo aver eliminato le fabbriche seicentesche viene ridisegnata la facciata con la riconfigurazione del Giardino Pensile, secondo l’originario allestimento borbonico testimoniata da un dipinto eseguito da Gabriele Smargiassi per lo zar di Russia, Nicola I, in cui sono rappresentati il berceau in legno e la ringhiera decorata con i gigli e le iniziali di Ferdinando II, successivamente rimosse dai Savoia.
Il disegno e il modello in gesso del gruppo scultoreo con Partenope che incorona il Genio delle Arti di Tito Angelini documentano un elemento, non realizzato per motivi economici, del progetto di Genovese. Al suo posto La Fontana della Fortuna che fa da sfondo alla parte centrale del Cortile d’Onore completata riutilizzando le parti dell’antica fontana del Molo[10].
Non ci sono significative trasformazioni architettoniche con l’annessione di Napoli al Regno d’Italia. Le modifiche messe in atto da Gaetano Genovese configurano l’aspetto della reggia a noi pervenuto fino a oggi. Nel 1861, i Savoia trovarono a Napoli una reggia rinnovata da poco e riccamente arredata. Gli unici interventi realizzati sono stati: la costruzione della nuova Cavallerizza verso Castel Nuovo e l’inserimento nelle nicchie della facciata seicentesca delle statue dei re di Napoli, da Ruggero il Normanno fino a Vittorio Emanuele II.
Quando dopo la visita vado via un grande silenzio domina lo Scalone. Non si sentono le persone che normalmente frequentano la Reggia, il frastuono della città, il rumore dei miei passi. Ci sono gli stucchi, le statue, gli infissi, i marmi delle balaustre finemente traforate, le quattro appliques, i due superstiti degli otto originari candelabri fusi in ghisa nel Real Opificio di Pietrarsa. Mi fermo un attimo e vedo le tante persone che hanno lavorato e trasformato quella materia adeguandola al gusto del momento secondo le abilità e le sensibilità di ciascuno. Non hanno un volto perchè il tempo cancella le forme delle cose e anche quelle degli uomini. Sono restati i sogni che si sono materializzati creando la bellezza, una risorsa immateriale indefinibile. Ricorda l’energia che si è trasformata in materia tanti anni fa quando ancora non c’era distinzione tra soggetto e oggetto, materia ed energia. Tutto si presenta come una massa informe ed indistinta, in attesa di una creazione primordiale che ciascuno può leggere secondo il proprio credo ma che ci riporta ad una origine comune.
(2. continua)
Per saperne di più
https://palazzorealedinapoli.org/
NOTE
[1] Costruito da Francesco Antonio Picchiatti tra il 1651 e il 1666 questo Scalone d’Onore viene riportato in un dipinto di Antonio Dominici del 1790 per ricordare il matrimonio delle principesse Maria Teresa e Maria Luisa di Borbone con Francesco II d’Asburgo e Ferdinando III di Lorena. Lo Scalone d’Onore attuale conserva la struttura originaria ma è stato arricchito da decorazioni di ispirazione neoclassica con le balaustre che delimitano le scale finemente ornate.
[2] Quattro nicchie, due per lato accolgono le sculture in gesso: a destra, la Giustizia e la Fortezza rispettivamente di Gennaro Cali e di Antonio Calì; a sinistra, la Clemenza e la Prudenza di Tito Angelini e di Tommaso Solari.
[3] Al centro si distingue lo scudo crociato sabaudo, posto nel 1861 a sostituire il precedente stemma borbonico.
[4] Liberamente tratto da Proust e il rapporto tra soggetto e oggetto. Platonismo e intenzionalità. di Claudia Cautillo / 15 dicembre 2022 https://www.flaneri.com/2022/12/15/proust-rapporto-soggetto-oggetto/
[5] Lo stemma arcivescovile è di Pedro Pacheco Ladròn de Guevara, nominato cardinale il 16 dicembre 1545 da Papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese , venne scelto come Viceré di Napoli da Carlo I nel 1553, sua la committenza del portone che abbelliva l’ingresso dell’antica reggia vicereale di Napoli.
[6] https://www.academia.edu/34513458/I_COLORI_ARALDICI_DEL_REGGIO_PORTONE_VICEREALE_DI_NAPOLI
[7] Vedi anche le Note 2, 3 e 4 dell’articolo https://www.ilmondodisuk.com/palazzo-reale-di-napoli-riaperta-al-pubblico-la-prima-anticamera-dellappartamento-di-etichetta-il-potere-della-vita-nel-luccichio-sfavillante/
[8] Smartphone su QRcode (a destra) per leggere la cronaca dell’evento e delle operazioni di spegnimento della Compagnia degli Artefici Pompieri di Napoli. Dal Fondo Pompieri dell’Archivio di Stato di Napoli Il collegamento è realizzato in occasione della mostra ed è stato gentilmente concesso dalla Direzione del Palazzo Reale di Napoli. Indirizzo pagina https://palazzorealedinapoli.org/wp-content/uploads/2021/05/QR-CODE_incendio.pdf
[9] Su una casa modesta di Salita Trinità degli Spagnoli c’è una lapide che ricorda un abitante speciale dei Quartieri Spagnoli: Pietro Bianchi. Nato a Lugano nel 1787 giunse a Napoli per costruire la Basilica di S. Francesco di Paola e da allora non si mosse più da Napoli dove morì a 62 anni il 6 dicembre 1849. Il suo volto è impresso in un busto all’ultimo piano della casa in cui visse. Raccomandato al re napoletano da Antonio Canova oltre alla Basilica di Largo di Palazzo è stato professore dell’Accademia delle Belle Arti, soprintendente agli scavi di Pompei, direttore del Museo Archeologico scopritore dell’Anfiteatro di Capua, progettista della fontana delle paparelle della Villa Comunale e di tante altre attività occupando le massime cariche dirigenziali del Regno.
[10] La Fontana della Fortuna allestita da Gaetano Genovese con una vasca allungata addossata ad una grande nicchia. Riceve l’acqua da una tazza decorata da eleganti mascheroni barbuti coronati da fiori che ha sul soprastante piedistallo poligonale una scultura, personificazione della Fortuna, sorreggente una cornucopia e un timone. L’opera, commissionata da Carlo di Borbone nel 1742 per adornare la fontana del Molo Grande, da cui proviene, è stata realizzata dallo scultore di corte Giuseppe Canart. Probabilmente anche la vasca circolare con mascheroni è stata recuperata dalla non più esistente fontana dei Quattro al Molo del XVI secolo.