A chi potrebbe far comodo non nominare la commissione parlamentare antimafia? È solo una questione di nomine per la sua composizione, a partire dalla figura del presidente, oppure vi è altro? Perché i presidenti di Camera e Senato non mettono in mora quelle forze parlamentari che non indicano i nomi dei propri gruppi che dovrebbero far parte della Commissione?
Proviamo a mettere in fila i problemi.
- La pubblica amministrazione italiana, sia centrale che periferica, si trova a dover amministrare i 191,5 miliardi provenienti dalla Ue per concretizzare gli indirizzi espressi dal Pnrr, prestito scaturito all’indomani del Covid-19. Centinaia di gare d’appalto per onorare quei propositi enunciati all’Europa, un investimento che prevede, teoricamente, una crescita economica innanzitutto per le nuove generazioni.
- La riforma del Codice degli Appalti voluta dal ministro delle Infrastrutture e della Mobilità – Matteo Salvini – riceve critiche da più parti, non solo dal centrosinistra, ma anche dall’Autorità Anticorruzione, perchè a bocca del suo presidente, il Codice “mancherebbe di trasparenza, controllabilità e libera concorrenza”, poiché introduce elementi di deregolamentazione e semplificazione delle procedure pubbliche. Mentre secondo altri ancora, con questo nuovo quadro di regole per gli appalti pubblici si correrebbe il forte rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata.
- Dal 1991 a tutt’oggi sono stati emanati ben 630 decreti di scioglimento di enti locali per mafia. Un’attività florida che non si è mai fermata. Sono state messe in campo valutazioni continue sull’efficacia della legislazione antimafia, indagini sui rapporti tra mafia e politica, indagini sulle forme di arricchimento illecito, investimento e riciclaggio di denaro da parte delle organizzazioni mafiose. I principali titoli di esercizio di una Commissione Antimafia.
Ma tra i compiti d’istituto dell’organismo parlamentare bicamerale vi sono anche altre attività di non secondaria importanza. Ad esempio l’ultima Commissione, in continuità con le precedenti, stava approfondendo l’evento stragista di via dei Georgofili e più in generale le responsabilità in riferimento alle stragi del 1992 e del 1993, tra le altre gli attentati a Falcone e Borsellino. Sarebbe interessante se la nuova Commissione, quella che ancora non si nomina, approfondisse i legami tra Matteo Messina Denaro e le complicità locali e nazionali che hanno permesso all’ultimo mafioso stragista di Cosa Nostra 30 anni di latitanza. L’archivio segreto di Totò Riina, l’agenda rossa di Borsellino, la trattativa Stato-mafia.
Insomma, i cittadini italiani devono aspettare prima di conoscere la verità sull’uomo chiave del biennio stragista di Cosa Nostra, tra i più ricchi e pericolosi latitanti della storia di mafia, devono farsene una ragione perché gli attuali parlamentari hanno altre priorità da soddisfare. Gli eletti in Parlamento possono permettersi di lasciare indietro gli approfondimenti sulla mafia, possono tranquillamente disinteressarsi delle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione.
Non può esservi la possibilità di una ricostruzione alternativa rispetto alla “verità processuale” sulle stragi di Cosa Nostra. Meglio indirizzare i fondi del Pnrr senza dare conto più di tanto dei contenuti e delle finalità. E gli italiani lasciati nel mezzo ad aspettare.
Foto di Stefan Schweihofer da Pixabay