Prima di ogni altra considerazione, è lecito procurare la cosiddetta “immunità telefonica” al figlio della seconda carica dello Stato? Insomma, il presidente del Senato – Ignazio la Russa – poteva “cedere” la sua impunità comunicativa al figlio? Credo che ciò dovrebbe essere semplicemente Illegale!
Le prerogative parlamentari non possono essere trasferite ai parenti prossimi degli incaricati pubblici, sono privilegi, peraltro molto discutibili, che non si trasferiscono.
La seconda carica statale ha il dovere morale, prima ancora che giuridico, di mettere a disposizione degli inquirenti la scheda telefonica in proprio possesso poiché è una utenza pubblica, quindi, deve dar conto dell’uso in ogni suo aspetto, tranne quelli strettamente personali. Il problema è che sia la scheda che la chat sono “coperte”, quindi, bisogna chiedere autorizzazione al Senato, molto probabilmente, per venire in possesso degli elementi tecnologici a disposizione della seconda carica dello Stato (ceduti al figlio).
Ma andando indietro a leggere la scheda parlamentare di Ignazio La Russa si scopre che è firmatario di una proposta di legge, poi diventata tale, per la “Istituzione di un fondo per la solidarietà alle vittime dei reati intenzionali violenti”.
Correva l’anno 2019 quando Ignazio La Russa risultava cofirmatario di un Disegno di Legge, guarda caso anche la Santanché, per la tutela delle vittime della violenza di genere.
Da garantista “pro vittime violenza di genere” nella posizione istituzionale di “oppositore parolaio”, a strenuo difensore della casta parlamentare quando questa viene sfiorata dal sospetto di una presunta violenza contro una donna, appena passa a far parte della maggioranza di governo.
Nel momento in cui vi è il minimo sospetto di una violenza sessuale che coinvolga le mura domestiche della seconda carica dello Stato, questi deve immediatamente mettere tutto a disposizione degli inquirenti, proprio in onore di quel garantismo (solo a parole?) che Ignazio La Russa andava predicando a destra e a manca.
Non si tratta di fare speculazione politica, di strumentalizzare la battaglia istituzionale per fini diversi da un accaduto grave (di presunto rilievo penale) che deve essere chiarito, ma per il messaggio “devastante” che viene dato all’opinione pubblica: inutile denunciare la casta e i suoi simili, tanto non la processeranno mai.
Come si può pretendere di chiedere ai cittadini di “esporsi” contro soprusi e violenze se non vi è luogo a procedere contro il figlio del presidente del Senato, una volta appurati i fatti? Ma se questi fatti vengono ostacolati, ovvero la strada della verità viene cosparsa da mine per non far procedere la giustizia, come potrebbero mai essere appurati? E perché invogliare i cittadini a comportarsi diversamente e a crederci? Ignazio la Russa, nel frattempo, non si è mai tenuto fuori, come avrebbe richiesto l’alta carica istituzionale ricoperta, ma ha sin dall’inizio della vicenda difeso pubblicamente e a spada tratta il figlio, lo ha interrogato e pure assolto. Stabilendo una sua idea di sentenza, senza nemmeno far iniziare l’eventuale processo a suo carico.
Ma è una modalità questa? In qualsiasi altro paese civile non lo sarebbe. Basta con il garantismo a giorni alterni, dietro questo tipo di “protezione” si possono nascondere le peggiori nefandezze. Le istituzioni, per prime, badino a tracciare bene e con trasparenza il confine tra garanzie di giustizia e garantismo politico, affinché dietro quest’ultimo non si nascondano porcherie che gettano fango sulla politica e sulla stessa giustizia.
Altrimenti in questa vicenda perderemo tutti. Se ancora non è successo.
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