Al grido d’allarme della Corte dei Conti verso la Regione Lombardia, “sferzata” dai giudici contabili nel fare i controlli per le spese della sanità pubblica regionale, quest’ultima risponde allocando un soggetto sanitario privato proprio all’interno del palazzo della Regione. Un ambulatorio polispecialistico privato che garantisce visite in soli tre giorni, a partire da 60 euro.
È proprio così, Formigoni-Maroni-Moratti hanno costruito il terreno affinché i cittadini lombardi si ritrovassero con il 60% delle strutture sanitarie accreditate, spostando l’asse verso i baroni della sanità privata, a tutto svantaggio del servizio sanitario pubblico di quella Regione. Con l’impudicizia di allocarvi uno di questi privati proprio negli stessi uffici dove risiede l’amministrazione regionale lombarda. Ovviamente tutto regolare.
La condizione è più che paradossale: un cittadino milanese, ad esempio, aspetta oltre un anno per una visita oculistica se si rivolge alla sanità pubblica lombarda, accorcia di moltissimo il tempo per usufruire della medesima prestazione se la chiede a un privato, pagando molto di più (ovviamente), oppure “sceglie” un privato accreditato dalla Regione Lombardia, senza rincorrerlo, ma avendolo a disposizione nella stessa sede istituzionale di questa, peraltro a un prezzo calmierato (cliente solvibile).
In siffatta condizione, il luogo da dove dovrebbero partire i “controlli” sul flusso economico regionale per la sanità lombarda “mescola” pubblico, privato e privato convenzionato, non distinguendo in maniera evidente i procedimenti che combinano potere di indirizzo e di controllo. Un gran guazzabuglio che non discerne in maniera trasparente e limpida la gestione delle prestazioni sanitarie, vanificando, del tutto, l’indirizzo di quella stessa Corte dei Conti che avrebbe preteso chiarezza in tal senso.
Chi combina queste scelte sono quegli stessi Signori che, nel primo lockdown da pandemia da Covid-19, hanno dimostrato a tutta Europa, contrariamente a quanto si andava decantando di quel presunto “modello lombardo”, la più totale e manifesta inefficienza (leggi Bergamo) di quel privato sanitario, nel frattempo passato per affidabile e professionale.
Questa leggenda metropolitana a tutt’oggi è finanche peggiorata. Quella politica che dovrebbe efficientare la sanità pubblica, non solo ne permette l’aggravamento delle liste d’attesa per le visite ordinarie e specialistiche, ma lavora quotidianamente a rinforzare il “sostituto naturale” di quel sistema malato, ovvero il privato sanitario, indebolendo quello che, al contrario, dovrebbe difendere e valorizzare.
Altro che potenziare la medicina di base, il rafforzamento delle strutture  socio-sanitarie territoriali e pretendere un medico di famiglia dal servizio sanitario regionale. Quella Regione, purtroppo non la sola, pensa di mettere sullo stesso piano “quel” pubblico e “quel” privato, scegliendo chi deve funzionare e chi no, chi deve interloquire con le istituzioni e chi deve essere allontanato. Insomma, chi deve “gestire” la spesa sanitaria di milioni di cittadini e chi ne deve essere escluso.
Questa non è quella politica che dovrebbe scegliere il migliore e più vantaggioso interesse di una collettività amministrata, secondo il principio della oculatezza della spesa pubblica (cit. Corte dei Conti), ma è quella politica che permette la desertificazione delle professioni che compongono lo Stato Sociale, per poi (far finta di) interrogarsi e scegliere di dare altre risposte, volendoci convincere che “quel” privato è meglio e più efficiente di “quel” pubblico. Eresia!
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