Governatori che non parlano e governatori che parlano troppo.
È lo specchio dell’Italia delle regioni, amministratori locali che incappano nella giustizia, che difendono l’impossibile, che offendono gratuitamente.
Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, arrestato, piuttosto che chiarire immediatamente la propria posizione dalle accuse di corruttela, si avvale della facoltà di non rispondere.
Mezz’ora di silenzio assordante. Renato Schifani, presidente della Regione Sicilia, difende l’indifendibile ministro dell’agricoltura Francesco Lollobrigida. Quest’ultimo sostiene che per fortuna la siccità ha colpito il Sud. Un ministro che interpreta un evento meteorico avverso e devastante al pari di una grazia terrena.
Ma più di tutti il presidente della Regione Campania – Vincenzo De Luca – colui che fonda la sua esistenza politica su linguaggio e parole tracimanti, del resto quasi sempre volgari. Ora anche sull’estetica di don Patriciello, facendo arretrare la linea del buon gusto e della decenza.
Una classe dirigente locale che si adopera per fare quello che non dovrebbe, che parla di cose non dovute e non richieste, che fugge dai problemi strutturali che attanagliano le comunità locali. Tra sermoni in dirette televisive e comparsate pubbliche lasciano intendere di avere l’Italia in mano, salvo scoprire esattamente il contrario.
Tre esempi di altrettanti uomini che hanno usato tattiche politiche predatorie, molto accorti ai propri destini personali, molto indietro rispetto ai problemi generali.
L’attuale governatore siciliano è in processo, accusato di associazione a delinquere semplice e di aver fatto parte di una cordata che spiava le indagini più segrete dei magistrati.
Il “nostro” Vincenzo De Luca è stato condannato in via definitiva (I° Sezione Giurisdizionale centrale d’Appello della Corte dei Conti) a restituire 100 mila euro per aver “promosso” 4 vigili urbani a dirigenti della “sua” segreteria politica.
E da ultimo il famoso “modello Liguria”, così sosteneva l’attuale presidente del Consiglio – Giorgia Meloni – come esempio di buon governo dell’Italia più avanti, salvo scoprire una ragnatela corruttiva del suo presidente e diversi sodali.
Tre cattivi esempi di gestione della cosa pubblica, di relazioni sbagliate con il potere, di condotte personali, che rimarranno nell’immaginario collettivo come elementi di negatività. Comportamenti che allontanano i cittadini dalla speranza di un cambiamento radicale ed incoraggiano la disaffezione al voto.
Ormai vota poco più della metà degli italiani, gli altri faticano ad identificarsi con qualcuno da preferire, anche perché un tempo esisteva la “selezione” di chi doveva rappresentare le istituzioni, esistevano i partiti che facevano scuola, la mediazione sociale e politica era sentita ed esprimeva un suo peso. Oggi siamo tutti orfani di un tempo che fu.
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Foto da Pixabay

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