Con una barbara e inappropriata modalità di comunicazione, l’INPS ha avvisato i percettori del reddito di cittadinanza della fine del sostegno inclusivo da questi previsto. Un macabro sms ha avvisato che a luglio è stato sospeso l’assegno mensile.
Dal 1° agosto, pertanto, sono esclusi quei nuclei familiari i cui componenti sono soggetti occupabili, ovvero che possono potenzialmente lavorare (18-59 anni), con un ISEE fino a 6 mila euro annui.
Mentre le famiglie con presenza di disabili, minori oppure over 60, con ISEE fino a 9360 euro annui, continueranno a percepire il reddito di cittadinanza fino al 31 dicembre del 2023. Dal 1° gennaio 2024, quest’ultimi, potranno fare richiesta dell’Assegno di inclusione.
Come si dovrà governare quest’anno di transizione per la “divisione” delle famiglie che percepivano il reddito di cittadinanza? Per quanto riguarda i nuclei familiari i cui componenti sono attivabili al lavoro (18-59 anni), questi dovranno fare richiesta all’INPS attraverso piattaforma informatica, per poi sottoscrivere un “patto di attivazione digitale”. Quindi, si passa a un “patto per l’inclusione”, previa valutazione multidimensionale dei bisogni, a cura dei servizi sociali (Comune). Successivamente dovranno sottoscrivere un ulteriorepatto di servizio personalizzato”, a cura dei centri per l’impiego (Regione).
L’attivazione deitre patti”, oltre alle attività di segretariato e degli strumenti operativi necessari a selezionare la platea, saranno definiti da successivi decreti a cura dei vari ministeri competenti, nonché dall’ANPAL, previa intesa in sede di Conferenza unificata.
Nel frattempo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovrà istituire il sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (SIISL), con la banca dati dell’INPS. Ciò al fine di favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, nonché per l’attivazione di corsi di formazione, tirocini e progetti utili alla collettività.
Nel merito, queste nuove regole per il sostegno al reddito non fanno altro che dividere la platea degli ex beneficiari, tentando di indebolire una protesta sociale che va prendendo forma nelle grandi città, principalmente del sud (leggi Napoli).
La stessa Agenzia Nazionale per le Politiche Attive per il Lavoro (ANPAL), soggetto coinvolto in questo sistema di regole, qualche hanno fa ha presentato una fotografia impietosa dei Centri per l’Impiego: scarse opportunità di lavoro, prevalenza di proposte contrattuali a termine, crisi industriali, richiesta di figure specializzate, elevata stagionalità delle richieste di lavoro, presenza di lavoro sommerso, opportunità per qualifiche prevalentemente basse. Una plastica rappresentazione di un mercato del lavoro bloccato, dove le difficoltà riguardano tanto il Sud quanto il Nord, sia pure con caratteristiche diverse.
Mentre nel Mezzogiorno vi è un’alta percentuale di disoccupati di lunga durata, al Nord il divario tra le competenze tecniche richieste dalle imprese e quelle degli aspiranti lavoratori sono un problema di non poco conto.
Ma questi Centri per l’Impiego sono gli stessi che hanno fatto evidenziare carenza di personale, competenze e attrezzature? In questi luoghi si trovano figure specializzate quali orientatori, consulenti aziendali, giuristi, ovvero figure professionali richieste dai moderni rapporti di lavoro? Le dotazioni informatiche, elementi determinanti, sono tali da soddisfare banche dati flessibili e in grado di rispondere immediatamente a quanto richiesto? Gli attuali Centri per l’Impiego risultano essere fondamentali, o piuttosto marginali, nel ricollocamento dei disoccupati? 
Per quanto riguarda i Comuni, i servizi sociali dovranno adoperarsi alla valutazione del bisogno del nucleo familiare richiedente il reddito. Una relazione socio assistenziale, previo riscontri mirati, che faccia risultare tutta la complessità della famiglia multiproblematica. Una lettura domiciliare che faccia emergere che tipo di intervento è più efficace per l’inclusione del nucleo preso in carico.
Il Comune di Napoli “conserva” un sistema di servizi sociali “statico”, incapace di realizzare un modello inclusivo finalizzato a generare coesione e valore sociale. L’ente di palazzo san Giacomo si attarda a implementare l’infrastrutturazione sociale sul territorio, nelle Municipalità, non è pronto a concepire servizi polivalenti, stenta a fare progettazione pubblica e partenariati.
Dentro questa cornice sostanzialmente fallimentare le assistenti sociali, ovvero il personale competente che dovrà impattare con le famiglie a rischio di esclusione, da anni non sono messe nelle condizioni di poter espletare al meglio i compiti d’istituto, per mancanza di risorse umane, tecniche e addirittura per luoghi inadatti ad “ascoltare” le marginalità. Da oltre un decennio non si fa più “la lettura del bisogno” con pianificazioni a larga indagine territoriale, attraverso interventi presso i domicili dei nuclei in difficoltà.
Le varie spinte alla monetizzazione del bisogno, con misure nazionali, attraverso assegni sociali, bonus, fondi una tantum, di fatto, hanno deresponsabilizzato il personale pubblico in capo ai Comuni, disperdendo il rapporto con il territorio. Un rapporto “conquistato”, nel frattempo, dai Centri di Assistenza Fiscale (CAF), capaci di canalizzare la domanda sociale direttamente verso gli enti erogatori (INPS).
A tutt’oggi, gli strumenti operativi previsti dal nuovo regime normativo, dai tre “patti” al sistema informativo, non sono stati strutturati, così come mancano i decreti attuativi per definire le modalità organizzative sulle quali far reggere il nuovo impianto amministrativo.
La disarticolazione della platea degli ex beneficiari del reddito di cittadinanza è sembrato essere l’unico scopo di questo governo, all’insegna del “dividi et impera”. Anzi, di fronte alle rivendicazioni sociali che si vanno strutturando sui territori, la maggioranza parlamentare alza addirittura il tiro e vorrebbe inventarsi una Commissione d’inchiesta per i mancati controlli nella fase di avvio della misura monetaria in questione. Il fine ultimo di questo governo è quello di togliere definitivamente il sostegno ai poveri, non di rimodularlo.
L’arroganza e l’impunità di questa compagine governativa fa coincidere la cessazione del reddito di cittadinanza per circa 130 mila famiglie con il ripristino dei vitalizi agli ex parlamentari, anche post mortem. Una vera e propria sfida alla “società bassa”.
Conservare i privilegi alla casta e risanare i conti pubblici chiedendo sacrifici agli “incapienti”, questa è la cifra dell’esecutivo di centrodestra. Non rimane che la rivolta.
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Foto da pixabay

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