A 40 anni dal rapimento di Emanuela Orlandi, cittadina dello Stato del Vaticano, il Papa esterna, all’Angelus di ieri, la vicinanza alla famiglia. Una storia misteriosa che intreccia rapporti perversi tra alcuni alti prelati, la banda della Magliana, servizi segreti, attentato a Papa Giovanni Paolo II, il terrorista di nazionalità turca, Mehmet Ali Agca.
Reticenze, omissioni, segreti, pedofilia, terrorismo internazionale, ricatti, organizzazioni criminali mafiose, prove ritoccate, sparizione di documenti, fascicoli introvabili, finanza vaticana, depistaggi. Queste le principali piste che da quattro decenni sono sul tappeto, senza che riescano ad incrociarsi, non mettendo ancora la parola fine ad una delle più tormentate vicende mai chiarite in Italia.
Proprio quest’anno, tuttavia, alcune cose nuove sono successe.
Il 9 gennaio scorso, il promotore della giustizia vaticana, Alessandro Diddi, su impulso di Papa Francesco, apre un’inchiesta sulla sparizione di Emanuela. Mai successo nei 40 anni precedenti. Così come pure l’incontro tra Diddi e Pietro Orlandi lo scorso mese di aprile, accompagnato dal suo avvocato, Laura Sgrò, rimane un fatto storico mai accaduto in precedenza. Un incontro dove le parti hanno potuto compartecipare informazioni e notizie di primaria importanza, nei rispettivi ruoli.
Parallelamente il Parlamento italiano decide di nominare una Commissione bicamerale d’inchiesta sul rapimento Orlandi. Un fatto istituzionale di assoluto rilievo.
La stessa Procura della Repubblica di Roma ha riaperto le indagini sul caso anni prima archiviato. Ma qualcosa torna a incepparsi.
Cominciano alcune pressioni giornalistiche sulla inutilità dell’apertura di una Commissione ad hoc sulle trame del rapimento, diversi Deputati rilasciano dichiarazioni ritenute addirittura imbarazzanti, l’atteggiamento ambivalente di Deputati e Senatori di Fratelli d’Italia, il partito della Meloni, che alla Camera votano compatti per la Commissione mentre al Senato gli stessi, di fatto, la bloccano.
Ma il fatto più clamoroso, in negativo, è proprio il comportamento del promotore della giustizia vaticana, Alessandro Diddi. Da un lato apre, per la prima volta, un’inchiesta per conto del Vaticano e, dall’altra, sentito dai Senatori lascia capire, chiaramente, che proprio il Vaticano non “desidera” questo strumento istituzionale d’indagine.
Poi si scopre che il promotore della giustizia per la Santa Sede, Diddi, è anche avvocato esercitante la professione sullo Stato italiano. Fin qui nulla di strano. Fino a quando il quotidiano con sede a Roma, Domani, spiega il possibile conflitto d’interesse dello “stipendiato” di Papa Francesco, nel momento in cui, nel proprio esercizio della professione forense, l’avvocato Diddi ha difeso, tra gli altri, anche uomini “vicini” alla banda della Magliana, criminali che avrebbero avuto un ruolo anche nel rapimento di Emanuela Orlandi.
A questo punto della vicenda, giornalisticamente, mi verrebbero alcune domande da rivolgere direttamente a Papa Francesco, colui che ha abbattuto alcuni “muri” pesantissimi riguardanti taluni atteggiamenti indecenti delle più alte gerarchie ecclesiastiche governate dal vaticano, come anche, in parte, essere stato l’autore di un rinnovato ruolo della dottrina della chiesa su importati (e sentiti) temi etici e sociali, accorciando di molto le distanze tra la chiesa cattolica e i fedeli.
Il sommo Pontefice ha la convinzione di mettere la parola fine a questa vergognosa vicenda omissiva dello Stato Vaticano, sul rapimento di Emanuela Orlandi, oppure l’atto motu proprio della promozione di una inchiesta da Egli stesso voluta, finirà col determinare e inevitabilmente sortire l’effetto di sempre, ovvero perdere ulteriore tempo in attesa del vuoto del nulla?
Ritiene, il sommo Pontefice, che la figura di Alessandro Diddi possa essere non proprio “libera” come si converrebbe, vista la doppia veste di rappresentante degli interessi del Vaticano e l’esercizio della professione forense nello stato Italiano, che ha rappresentato anche nella difesa istruttoria esponenti ritenuti vicini ai criminali della banda della Magliana, oggetto di uno dei più interessanti filoni d’indagine proprio sul rapimento di Emanuela Orlandi?
Perché Papa Francesco non intende incontrare de visu il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, così da lanciare un segnale inequivocabile a quella gerarchia ecclesiastica reticente e omissiva, riguardante alcuni Vescovi e Cardinali?
Così come verrebbe da chiedere al Presidente del Consiglio – On. Giorgia Meloni – le seguenti domande:
On. Presidente Meloni, perché non interviene in prima persona per dare impulso conclusivo e decidente al funzionamento della Commissione bicamerale d’inchiesta sul caso del rapimento di Emanuela Orlandi?
On. Presidente Meloni, perché i senatori del suo partito stanno perdendo tempo per la regolamentazione della Commissione ad hoc sul caso Orlandi?
On. Presidente Meloni, perché non matura l’idea di incontrare direttamente il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, per dare un netto segnale, in primo luogo al Parlamento, sulla serietà del Governo nel voler chiarire, definitivamente, una storia durata inopinatamente un interminabile quarantennio?
A questo punto, dopo 40 anni e un’agonia d’attesa (anche e soprattutto umana) della famiglia Orlandi, tutto ciò sarebbe giusto, dovuto e porterebbe “pace” nei cuori di chi ha amato Emanuela, oltre a fare chiarezza negli italiani.
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In copertina, il manifesto diffuso subito dopo la sua scomparsa