Questo non è semplicemente il secondo volume di una storia già cominciata e rimasta incompiuta. Qui non ci sono i racconti rimasti nel cassetto dopo la prima stesura di un volume di successo come “Amarcord Piombino” con la prosa poetica di Gordiano Lupi e le immagini romantiche di Riccardo Marchionni.
Questo secondo volume Mi rammento Piombino (Il Foglio Letterario Edizioni – Pag. 240 – Euro 15) in realtà è un tutt’uno con il primo e, personale impressione, potrebbe essere anche il preludio a un terzo appuntamento in libreria. Quello che stanno facendo Gordiano Lupi e Riccardo Marchionni è molto più che un semplice rovistare nel cassetto dei ricordi.
Questo libro e il precedente non fanno altro che mettere ordine nella memoria collettiva. Grazie a questi ricordi gli autori riescono a riempire il cuore di una struggente felicità. Non c’è nostalgia, non c’è rimpianto, qui si tratta di ricostruire un cammino tortuoso e controversosenza avere la pretesa di dare un giudizio, anche se il confronto di fatto lo è. Perché è inevitabile far emergere errori e storture in un cammino che non ha certo migliorato la prospettiva di una comunità che ha visto passo dopo passo peggiorare la propria condizione.
E, va precisato subito, questo e il precedente non sono solamente libri di storia locale e non sono neanche scritti per chi ha vissuto in prima persona i ricordi o ne ha ascoltati di molto simili da nonne, nonni, madri e padri, fratelli e cugini più grandi.
Una piazza del tempo perduto, come Gordiano Lupi definisce quella intitolata a Giovanni Bovio e meravigliosamente affacciata sul mare, c’è in ogni paese o cittadina, al di là della bellezza che esprime. L’epopea di radio e televisioni private è stata vissuta qui come altrove, cambiano i personaggi ma il profumo di quei ricordi può essere trasferito ovunque.
In questo secondo volume ci sono molti più personaggi, volti noti e meno noti, rispetto al primo. Ma lo spirito del racconto è proiettato anche in questo caso al recupero del significato dell’identità e dell’orgoglio dell’appartenenza. Che non è quella becera delle felpe e del “siamo meglio noi”. No, non c’è questa pretesa. C’è semmai quella di valorizzare esperienze che prese a sé stanti non hanno la stessa forza del contesto.
C’è anche un indiretto confronto fra un personaggio del passato, una parrucchiera di un quartiere di periferia, con una giovane impegnata nelle sfilate di moda e nello studio universitario con un sogno nel cassetto, quello di lavorare nel campo dei diritti umani alle Nazioni Unite. Quelle due donne sono nonna e nipote e rappresentano la testimonianza di un passaggio generazionale, un ponte fra passato e futuro che questo libro cerca di mettere in campoper stimolare una riflessione più ampia.
Ci sono i ricordi dei cinema, della stazione ferroviaria finita a rappresentare un rudere dove le macerie sono le biglietterie abbandonate e con le tapparelle abbassate in attesa di una riapertura che non ci sarà mai più, il bar e l’edicola chiusi con le tracce di un tempo trascorso e impresso in muri decrepiti. Il deserto di pochi treni in partenza, nessun ferroviere e gli annunci automatici che neanche somigliano a quelli degli altoparlanti gracchianti del tempo che fu.
In questo secondo volume c’è anche un’appendice poetica che ben si accosta al resto della narrazione che tende sempre un po’ alla lirica. E qui si ritrovano note dolci e amare, tutte quante intrise nell’amore per le radici, che va al di là dei giudizi su come siano andate le cose. Quello di Gordiano Lupi, grazie anche alle immagini di Riccardo Marchionni – rigorosamente in bianco e nero come era consuetudine nelle epoche raccontate – è uno sforzo ben riuscito di lasciare una testimonianza che altrimenti sarebbe andata perduta.
E non solo perché allora non esisteva una wikipedia dei ricordi e non c’erano social dove immagazzinare alla rinfusa immagini che si sarebbero moltiplicate fino a diventare marmellata senza reale gusto. Queste sono testimonianze ragionate, confronto che diventa il ponte ideale per un domani fatto anche di consapevolezza sui punti di partenza, sui capisaldi di una storia che è orgoglio e appartenenza. È l’opera di due sommelier che degustano e scelgono per i lettori parole che sono come immagini e fotografie che parlano.
Alla fine della lettura resta l’impressione di un futuro che è già passato senza avere avuto il tempo di accorgersene. E di un passato che è ancora presente, per chi l’ha visto e per chi non c’era. Cose che restano dentro e che Lupi e Marchionni ci trasmettono. Da cuore a cuore, dai loro occhi a quelli di chi legge e di chi guarda le foto.
Lupi chiude la sua narrazione confessando che gli manca tutto, anche quello che non c’è stato. È l’unico cedimento a una nostalgia che è più per la gioventù e per un’epoca in cui nascono le speranze. Non so se l’intento era quello ma le speranze che erano di Gordiano e di tanti che allora si affacciavano all’adolescenza, alla fine della lettura in gran parte diventano di chi sfoglia queste pagine.
Restano soprattutto le radici di questo grande albero chiamato comunità che vede cambiare le foglie ma resta sempre lì, magari più storto e malmesso. Ma è da quel tronco che nasce sempre tutto. Dai ricordi che non sono solo ricordi. Puoi anche non pensarci, a ciò che è stato, ma prima o poi torna. E in queste pagine non può esserci tutto ma c’è tanto, tantissimo. C’è soprattutto sentimento, c’è soprattutto il rispetto che non è indulgenza, assoluzione postuma o rimpianto. È una sinfonia di emozioni. (Stefano Tamburini)