“Il genio dell’abbandono” di Wanda Marasco (edito da Neri Pozza, pagg. 352, euro 18) vede protagonista “Vicienzo” Gemito, il grande scultore che visse fra otto e Novecento, raccontandone la vita tra verit storica e invenzione. E’ la narrazione di un’avventura esistenziale in cui il protagonista a tratti sembra potersi identificare con la stessa citt nella quale si perde sin dall’inizio, nel momento della sua fuga da Villa Fleurent, la clinica psichiatrica in cui era ricoverato.
La ricostruzione di un’esistenza marchiata dall’essere figlio di “enne-enne” marchio ancor più sottolineato dall’errore di trascrizione all’anagrafe ( dove Gemito fu l’errata trascrizione dell’usuale Genito). La ricostruzione di un apprendistato vissuto nei vicoli, nelle botteghe, con Antonio Mancini. A Parigi, poi di nuovo a Napoli. La descrizione epica di un personaggio “pazzo in latitudine e longitudine”.
Cesare Segre colse nel romanzo due tratti decisivi ” Il primo è la raffinatezza della scrittura, che occupa tutte le gradazioni dei registri linguistici… Il secondo tratto è lo slancio drammatico…portato entro la narrazione, d ai personaggi uno stacco e un dinamismo straordinari”. Ma lasciamo la parola all’autrice.
Come nasce l’incontro di Wanda Marasco con Vincenzo Gemito?
L’incontro con Gemito è avvenuto a Capodimonte, il luogo dove sono nata e abito, quando appresi che “lo scultore pazzo” aveva soggiornato per circa tre anni al Moiariello e che era stato ricoverato nella clinica Villa Fleurent ai Pontirossi. In seguito ho cercato di capire il suo percorso artistico e mi sono imbattuta in una vita straordinaria, che subito mi è apparsa metafora dell’orfanit e della battaglia per affermare l’innocenza dell’arte. Non ne potevo venire fuori, perch questi sono tra i temi fondamentali della mia scrittura.
Dove, all’interno del suo romanzo, la Storia ha ceduto il passo alla Fantasia?
Nel romanzo i fatti, gli aneddoti e naturalmente lo sfondo storico sono autentici, derivati dai documenti e dalle ricerche svolte presso i “luoghi” di Gemito. Ma la Storia e la biografia di “Vicienzo”, anche dove ho inserito brevi stralci dal diario e dalle lettere, cedono sempre il passo alla fantasia. La vita interiore di Gemito, i nuclei del dolore, della psiche, sono pura invenzione letteraria.
Cosa rappresenta la lingua napoletana ne “Il genio dell’abbandono”?
Come gi è stato detto la lingua napoletana nel romanzo è il “primo personaggio”. Necessaria a restituire mente e viscere di “Vicienzo” e a diventare “gesto” della sua disperata e geniale vitalit . A met del romanzo la presenza del dialetto diminuisce quasi azzerandosi. Lo scultore è a Parigi, si apre ad altri incontri, muta anche la sua lingua interiore.
Wanda Marasco è nata a Napoli, dove vive. Diplomata in regia e recitazione all’Accademia d’arte drammatica “Silvio D’Amico” di Roma. autrice di romanzi e raccolte poetiche. Ha ricevuto il Premio Bagutta Opera Prima per il romanzo ” L’arciere d’infanzia” (Manni editore, 2003) e il Premio Montale per la poesia con la raccolta ” Voc e P” (Campanotto 1997). Ha lavorato in teatro come regista e autrice; in questo doppio ruolo ha messo in scena “L’Asino d’oro” di Apuleio e “Quei fantasmi del presepe”, una rivisitazione del teatro di Eduardo. “Il genio dell’abbandono” è stato finalista della prima edizione del Premio letterario Neri Pozza e candidato al Premio Strega 2015.
Nelle foto, Wanda Marasco e la copertina del libro