“Tempo che fu di Scioscia” (Tullio Pironti editori, pp. 93, € 12,00) la raccolta di racconti del drammaturgo e scrittore Enzo Moscato, di recentissima pubblicazione, è, a nostro avviso, al pari di una silloge poetica, con un ininterrotto filo conduttore che è quello delle storiche Quattro Giornate di Napoli.
Anche nella scrittura in prosa, infatti, ci sembra, che Enzo Moscato non rinunci alla cifra poetica che permea il suo teatro e tutti i suoi scritti. Poich il linguaggio che egli usa in questi undici racconti, in queste undici storie che ruotano intorno a uno degli eventi più importanti e significativi della Storia contemporanea, si permea di alta poesia, di struggente e profondo significato senza mai mancare alla vena ironica, talvolta sarcastica, o alla profonda volont dell’autore di scandagliare le ineludibili ferite di una Napoli da sempre martoriata, di trascinarci negli inferi della medesima per poi ritornare a una sacralit superiore che comunque appartiene alla citt e che emenda tutto.
Scrive Moscato nella introduzione ai racconti «Le Quattro Giornate di Napoli del 1943 naturalmente, non ho inteso rinarrarne la cronaca e la storia. Quelle ci sono gi nei libri pertinenti e vi sono raccontate e discusse molto bene. Volevo semmai attraversarle (io che non le ho vissute ma solo sentite riecheggiare dalle labbra di quelli più vecchi di me e che magari le avevano anche viste di persona) con la pura fantasia, l’immaginazione. E con esse penetrare in quella zona sempre oscura, sempre reticente, sempre irrivelata, sempre quasi al limite del dicibile (e, per tanti versi, anche ibrido, scarbroso) che è il “privato”, la sfera dell’individuale».
Ecco che questo attraversamento si concreta in undici storie di fantasia all’ombra della Storia con la “S” maiuscola, in cui si concretano accadimenti “probabili”, “possibili” ma tutti permeati da un fantastico e talvolta surreale alone, dove non ci sono nette distinzioni, linee di confine, dove i tedeschi oppressori si mescolano ai napoletani oppressi, in un unico grande affresco che ha i toni di una avvolgente partitura musicale, una suite che scandaglia nelle zone d’ombra di una citt di mare con i suoi abitanti, per parafrasare, in qualche modo, una famosa pièce dello stesso Moscato; dove l’autore dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, la sua straordinaria valentia non solo di drammaturgo ma anche di scrittore.
Undici racconti affascinanti che coinvolgono e si leggono tutti d’un fiato, senza perderne il sotteso ritmo che li accomuna.
Ed ecco che vengono incontro storie come Palla di Stocco, monaca aguzzina, vivandiera del Convento di Santa Maria Mercede all’Arenaccia, che mette una purga nel cibo che somministra ai Tedeschi, o ancora Mata Hari, racconto noir, gotico quasi, di impressionante impatto, ancora Carraturo, storia struggente, e cos Bagattelle per un altro malinteso, e le altre Zw i Taiblk Wase, Marmaglia, Correzionario Giovanile Comunale, Pedamentina, Tizzano, Scheie, L’incroyable.
Tutti questi bellissimi racconti hanno in epigrafe una citazione letteraria calzante, giusta, che Moscato ha scelto con cognizione di causa e che in qualche modo diventano speculari alle storie, ne sono il contraltare.
Racconti di grande fascinazione, si diceva, storie straordinarie in cui i personaggi, i suoni, le voci, i sentimenti, persino gli odori in qualche momento, vengono evocati dallo scrittore con una mano felice, in quel modo personalissimo che ha Moscato di raccontare, che mescola alto e basso, barocco e popolare.
Una fluidit del raccontare, dunque, unita a una grande forza visionaria che manipola in modo sapiente il linguaggio, gli ambienti, i personaggi straordinari che popolano le storie, facendo emergere un grande quadro corale dove Napoli sovrana, è lo sfondo.
Come negli antichi cunti popolari, che si dicevano intorno ai fuochi e si tramandavano oralmente, come le fiabe, come i miti, cos le storie che Enzo Moscato ha costruito sul crinale di un momento storico difficile, tragico, eroico, travalicano l’epoca contingente che le ospita e arrivano a noi in maniera universale.
Inoltre la maestria dell’autore risiede anche nel sapere restituire, con la non facile forma del racconto che ha i suoi tempi, le sue sintesi, i suoi ritmi, un mondo che vive e parla e che rompe gli argini del raccontare, per diventare materia vitale.
Un tempo, dunque, che fu di Scioscia («appellativo ci informa Moscato nella sua introduzione proverbialmente riferito a una figura, un personaggio antico, di cui tutti sentono dire, sentono parlare, ma che nessuno ha mai conosciuto o visto, concretamente, nella vita»), quindi un tempo lontano, quasi leggendario ma anche un tempo di tutti noi, un tempo attuale che ci riguarda, come la grande epopea della citt di Napoli.